La morte centenaria del nazista Erich Priebke ha riaperto ferite che si credevano cicatrizzate. Il suo funerale si è trasformato nell’ennesima farsa con lo Stato che si è mostrato balbettante e incapace di gestire la situazione con buon senso e mano dura.
E mentre la bara di quell’uomo spietato viene scaricata senza trovare una terra così maledetta da accoglierla, i provocatori provocano e chi vuol mettersi in mostra coglie l’occasione per farsi -senza scrupoli- autopropaganda.
Assistiamo in questi giorni a rievocazioni drammatiche: la propaganda nazista che torna sotto forma del testamento della SS in cui afferma che le camere a gas non sono mai esistete e che gli ebrei hanno la loro parte di colpa. Viene da chiedersi quale colpa abbiamo avuto i bambini, i neonati trascinati nei lager e viene da chiedersi anche che fine abbiano fatto, dato che nessuno ha mai visto i loro cadaveri.
Assistiamo, dall’altro lato, alla versione 2.0 di Piazzale Loreto, con il carro funebre presso a calci e a insulti.
Negli anni ’50, il generale Kesselring, comandante delle forze tedesche in Germania e quindi superiore di Priebke, disse che non era affatto pentito dei suoi crimini e che anzi avrebbero dovuto fargli un monumento.
Gli italiani dell’epoca non fecero tante scene, non presero a calci i cadaveri, non si scaricarono le bare a vicende ma con molta dignità gli risposero così:
“Lo avrai camerata Kesselring, il monumento che pretendi da noi italiani ma con che pietra si costruirà, a deciderlo tocca a noi. Non coi sassi affumicati dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio; non colla terra dei cimiteri dove i nostri compagni giovinetti riposano in serenità; non colla neve inviolata delle montagne che per due inverni ti sfidarono; non colla primavera di queste valli che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati più duro d’ogni macigno; soltanto con la roccia di questo patto giurato fra uomini liberi che volontari si adunarono per dignità e non per odio, decisi a riscattarela vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama ora e sempre
Resistenza.”
(la poesia è opera di Piero Calamandrei ed è nota con il nome di “lapide ad ingnominia”)