La scorsa settimana l’Economist dedicava uno speciale ai due universi paralleli delle Coree. A dividere la penisola c’è molto più del 38esimo parallelo scrive il settimanale britannico: ricchezza, popolazione (48 milioni al Sud, 24 milioni al Nord), stili di vita. Uno, se non l’unico punto di contatto, è l’ostilità verso il Giappone. Appena ieri la presidentessa sudcoreana Park Geun-hye spiegava alla Bbc che un incontro con il premier nipponico Abe Shinzo sarebbe inutile finché Tokyo non chiederà scusa per le atrocità compiute dalle truppe d’occupazione durante la prima metà del secolo scorso e per la vicende delle donne costrette a prostituirsi per i soldati del Sol Levante.
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Le nuove generazioni di sudcoreani tuttavia cercano di dimenticare il legame con l’altra metà della penisola, con cui sentono di non essere uniti. “Non si infiammano di odio né hanno una visione romantica del nord, come invece facevano i vecchi simpatizzanti della sinistra. Semplicemente vogliono ignorarlo. Ma il nord non permette loro di farlo”. Le linee di divisione sono interne alla Corea del Sud stessa. Non soltanto per la presenza di disertori e rifugiati che cercano di rifarsi una vita fuori dal regime della dinastia Kim. I due Paesi sono ancora formalmente in guerra, non essendo mai stato firmato un trattato di pace. La legge sulla sicurezza nazionale cerca di impedire che sia pubblicato al sud materiale di sostegno al regime di Pyongyang. Una norma controversa, che negli ultimi anni ha attirato le critiche di quanti la considerano un ostacolo alla libertà di parola, tanto che il Paese è nella categoria delle nazioni “parzialmente libere” secondo la classifica stilata da Freedom House, almeno per quanto riguarda l’uso di internet.
A farne le spese la scorsa settimana è stato il sito NK News, fonte in inglese animata da diversi North Korea watcher, ossia da quella categoria di studiosi e giornalisti che cerca di capire cosa si muova dietro le quinte del regime. L’accesso al servizio che forniva una rassegna degli articoli pubblicati dall’agenzia ufficiale nordcoreana è stato bloccato al Sud, proprio per motivi di sicurezza”. Di ieri è invece la notizia della richiesta del governo di Seul alla Corte costituzionale affinché impedisca al Partito progressista unificato di partecipare alle elezioni perché accusato di simpatie per Pyongyang.
Si tratta della forza politica più a sinistra dell’arco parlamentare sudcoreano. Da mesi è nella bufera per l’arresto di un deputato e di altri militanti accusati di complotto e di aver pianificato attentati per sostenere la Corea del Nord nell’eventualità di un conflitto. Dentro l’UPP è in corso un dibattito su come approcciarsi al Nord e sulle violazioni dei diritti perpetrate dal regime. Le accuse mosse contro il piccolo partito dall’agenzia nazionale della sicurezza sono tuttavia respinte.
L’UPP ha nei mesi scorsi parlato di una strategia per sviare l’attenzione dalle accuse contro l’intelligence di aver cercato di pilotare le presidenziali dello scorso dicembre a favore dei conservatori -poi vittoriosi- con campagne per screditare il candidato liberale e i progressisti. Per la presidentessa Park si apre inoltre il confronto con la politica di persecuzione delle forze di sinistra portata avanti dal padre quando era a capo del regime autoritario che modernizzò il Paese tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Non a caso anche il Partito democratico, principale forza dell’opposizione che aveva votato a favore dell’arresto del deputato dell’UPP, parla di minaccia per la democrazia in caso di messa al bando dell’intero partito.