Se lo chiede, senza tanti giri di parole, un editoriale pubblicato su ‘Novi List’, (dal titolo, letterale, Hrvati kao ljubitelji Hitlera, che suona più o meno ‘I Croati in quanto amanti di Hitler’, qui il link all’originale). L’autore medita sull’impatto del gesto del calciatore Josip Šimunić dopo la qualificazione della nazionale croata ai mondiali del prossimo anno. Una ‘bravata’, quella di Šimunić, che sconfina nell’apologia di nazismo, e che però ha avuto il merito di scatenare una riflessione sulle derive reazionarie e nazionaliste all’interno della società croata.
«Su facebook», constata l’autore, Ladislav Tomičić, «il gruppo di sostegno a Šimunić ha raggiunto qualcosa come 137.000 persone, mentre quello nominato ‘espellete Šimunić dalla nazionale’ non ha più di mille sostenitori». E prosegue: «in tutti i media occidentali, grazie al gesto del ‘patriota’ Šimunić, ora il nome della Croazia è nuovamente accostato a quello del neo-nazismo». Tomičić ricorda che il saluto ‘Za dom spremni‘ (Per la patria, pronti), «era il motto ufficiale del regime di Ante Pavelić, un motto che veniva usato anche dalle guardie del campo di concentramento di Jasenovac, dove decine di migliaia di persone innocenti, per lo più Serbi, furono sterminate. Questa frase è a tal punto legata al male che nessun cittadino croato potrebbe usarla, senza provare vergogna».
A preoccupare Tomičić non è solo il gesto di Šimunić, ma la risposta che ha avuto tra gli spalti, dai quali sono poi partiti anche cori come «ajmo, ajmo ustaše» (forza, forza Ustascia) e la mancanza di una reazione ferma e univoca da parte delle autorità. «Non c’era bisogno certo di questo episodio per far capire ai nostri vicini come una buona parte della popolazione croata abbia romanticizzato il regime ustascia, e di come nel nostro paese si guardi con molta simpatia a queste odiosi formazioni naziste […]. Se guardate alle facce delle persone che hanno risposto a Šimunić, ne vedrete ben pochi che sarebbero capaci di ammazzare un uomo. Eppure, festeggiano con questa retorica». Come mai, si chiede Tomičić, la Croazia non è capace di distanziarsi con forza da uno dei momenti più bui della sua storia?
«Questo è il risultato delle politiche di Franjo Tudjman (primo presidente della Croazia indipendente) e di Gojko Susak (ministro della difesa dal 1991 al 1998) che hanno a lungo sostenuto e potenziato il movimento Ustascia, vedendolo come un fattore positivo e coagulante per resistere all’aggressione serba degli anni novanta. Sono stati loro a fare uscire il demone dalla bottiglia, e ora non si riesce a rinchiuderlo di nuovo».
Della stessa opinione è Florian Bieber, scienziato politico dell’Università di Graz, che nel suo blog personale ha parlato di «un fascismo normale: il regime di Tudjman, mentre ufficialmente prendeva le distanze dal passato fascista di Zagabria, ha riportato in auge simboli e riferimenti al regime degli Ustascia, che si sono poi diffusi all’interno della società croata». Ma per Bieber, questo dipende anche da una strategia precisa, messa in atto dall’opposizione per contrastare il governo di centrosinistra, e che gode di enorme successo a causa della crisi economica e del clima di disillusione che dopo l’ingresso nell’Unione Europea si è diffuso nella popolazione (nel fine settimana, il primo ministro Zoran Milanović ha dichiarato che la recessione – che in Croazia dura da cinque anni – non si esaurirà fino al 2015).
Il dibattito innestato da quanto accaduto al termine di Croazia-Islanda, la scorsa settimana, è quindi interessante perché s’inserisce in un contesto più ampio, nel quale la destra croata, soprattutto quella più oltranzista (rappresentata, soprattutto, dalla Chiesa cattolica e dai veterani), è tornata prepotentemente a far sentire la propria voce dopo che una serie di scandali avevano ridimensionato di molto la voce del suo partito di riferimento, l’HDZ. Da un anno – da quando, cioè, i generali Gotovina e Markač sono stati liberati dal tribunale dell’Aia – come già si scriveva tempo fa, la ‘operazione Oluja’ dei conservatori croati sta guadagnando terreno. Prima con la battaglia sull’educazione sessuale nelle scuole, poi con quella sul referendum a sostegno del matrimonio tradizionale, infine con la resistenza sull’introduzione del cirillico a Vukovar.
Proprio la questione del cirillico è interessante, se rapportata a quella del referendum, il quale – nella volontà degli organizzatori – vorrebbe negare il diritto di riconoscere qualsiasi matrimonio all’infuori di quello tradizionale, e che quindi crea il pericoloso precedente di una maggioranza che decide, a plebiscito, sui diritti delle minoranze. I nazionalisti croati hanno già ventilato la possibilità di organizzare una simile consultazione popolare anche sull’introduzione del cirillico, ma i membri del governo, tra cui lo stesso primo ministro, hanno detto chiaramente che questo non sarà possibile.