La dissoluzione dell’esperienza
1.1-Antropologia ed esperienza
Per collegarci a quanto descritto in precedenza, per applicare gli strumenti antropologici lì indicati,dobbiamo lavorare di fantasia,immaginare l’avventura dell’uomo dalle origini e dalle sue principali scoperte sociali ,conseguenti ai suoi bisogni primari. L’uomo nomade, infatti,per sopravvivere era avventuroso e sperimentatore. Si muoveva sul territorio spinto dalla necessità del cibo e dal terrore di essere preda. Doveva pensare ed immaginare,perciò, strategie per attraversare la steppa,per cacciare,raccogliere bacche e tuberi,per ripararsi dai pericoli incombenti. Così scoprì di possedere una virtù nascosta ,ma potente:il pensiero. Che gli consentiva di immagazzinare conoscenze,piani e tattiche,un know- how utilissimo per i suoi pericolosi vagabondaggi. Itinerari che stuzzicavano la sua mente,sempre allertata,di ricercare in fretta sicurezza e tranquillità. In quel modo,capì che per avventurarsi con prudenza nel vasto territorio ostile doveva possedere speranza di trovare in futuro delle prede e coraggio e fiducia nei propri mezzi. Quando si incontrò con i suoi simili,scoprì che coordinare i piani era anche un organizzarsi per essere più produttivi e più rasserenati. L’unione del gruppo gli sembrava sconfiggesse la paura e l’incertezza. Indubbiamente,percepì anche che “stare insieme”comportava delle limitazioni alla sua libertà di pensare e di esperire a proprio esclusivo vantaggio,essendo obbligato in nome della sicurezza,ritenuta un valore elevato,a giocare con gli altri e a rispettare le regole di questa inedita alleanza. Quindi coordinamento e organizzazione presentano una logica interna superiore e più vincolante rispetto a quella del singolo individuo. In ogni caso, più efficace. Ovviamente,tutte le società,intese come grandi o piccoli gruppi,hanno le proprie e relative regole,con esse fanno giocare i propri membri. Avvenne in questo modo,ad esempio, per le società romana,medioevale e rinascimentale,e così via,fino agli stati nazionali ed a oggi. Ogni società prevede pertanto uno schema di mosse,di logiche,di istituzioni,di valori e di gerarchie che le strutturano essenzialmente,e che sono la società stessa. Regole,gioco e uomini sono quindi caratteristici,peculiari, di una società e possono variare nelle epoche come si modificano le società. L’unica costante,nella sequenza di trasformazioni,è che l’uomo cerca la sicurezza e la opportunità di essere felice ,in ogni epoca e società,e per questo è disposto a “giocare”.A reperire per molte attività delle oggettive clausole di garanzia. Ora però siamo di fronte ad un avvenimento grandioso e dirompente,quasi inimmaginabile,da spezzare la logica dei giochi e delle abitudini acquisite. La forza motrice di tale uragano violento è la comunicazione mediatica,che ,in sordina,sconvolge radicalmente le regole. E le società,i gruppi,le istituzioni ed i valori da essa penetrate cambiano rapidamente.
E veniamo al dunque.Uno degli aspetti principali della crisi giovanile e sociale odierni è la confusione dell’esperienza,la sua frammentazione,la perenne discontinuità,la mancanza di un significato da attribuire agli eventi.Gli eventi e la vita ,cioè gli anni, passano come l’acqua da un colino:non resta nulla,l’anima non viene graffiata,incisa positivamente. Così alla fine del frenetico movimento sociale,di tutti i settori sociali,economici,finanziari,industriali,produttivi,ecc.,artistici,nulla sembra importante,rimane un vuoto incolmabile,struggente,paragonabile alla tristezza di un amore perduto.
Sappiamo in generale che l’esperienza è il principio di ogni conoscenza ,sia sul piano delle attività ,sia su quello sensibile e intellettivo;infatti senza di essa non c’è intuizione né intelligibilità dei fenomeni.Tuttavia le condizioni della modernità spinta,accelerata, hanno deteriorato la possibilità di fare esperienza e questo fatto pregiudizievole avviene,senza che ce ne accorgiamo, in ogni ambito o contesto attraversato da ognuno di noi.Viviamo in un immenso “laboratorio”, paradossalmente costruito, anche da noi stessi , per non farci emozionare né intraprendere attività o esemplari e gratificanti iniziative;un infernale macchinario in cui girare a vuoto,in cui un fuori fase scoordinato, è l’unico scopo. Scoordinamento che è mancanza di sfondo culturale e parcellizzazione infinita dei punti di vista ,soprattutto delle volontà appetitive ,che non sono regolate dalla esperienza. Fino qui descriviamo gli stati o le situazioni in cui per anni si sono brillantemente esercitate le analisi raffinate della critica sociale,oramai smaccatamente antiquate,perché fomite di alienazione intellettuale avendo dominato totalitariamente e spregiudicatamente il campo della interpretazione dei fenomeni sociali.Dal punto di vista sociale,infatti, la loro lettura è imprescindibile,ma con i cambiamenti repentini che avvengono di ora in ora nella società , il monopolio della critica può essere anche un difetto di ricerca e di interpretazione, comunque un comportamento monopolistico favorevole ad una colpevole mancanza di alternative. La critica sociale finora ha descritto la cronaca dei cambiamenti apparenti,ma non si è accorta di altri dettagli importanti delle trasformazioni in atto,soprattutto a livello della prassi e della psiche umane. La attività dei giovani contemporanei,infatti, è immersa nella ragnatela di una esperienza virtuale,lontana anni luce dalle ordinarie esperienze conosciute nella nostra giovinezza.
Consideriamo perciò di avere un altro cannocchiale da cui ammirare la società borghese-imprenditoriale o ciò che di essa rimane(la high e la midle class),dopo i terremoti della cultura postmoderna sulle ragioni del soggetto(individuo) e sulla tenuta delle sue forme sociali. Nella logica occidentale,il soggetto è tale soltanto se fa qualcosa verso l’esterno o sul proprio interno(penso dunque sono,faccio quindi sono); è denotato essenzialmente dall’attività,da una spinta interiore a costruire(efficacemente e sicuramente nell’ambiente) e per creare gli strumenti adatti a comprendere ,con seria approssimazione, l’ambiente socio culturale che attraversa. A tale proposito vedasi l’evoluzione del pensiero geometrico e matematico,che giunge a definire il grande libro della natura come un alfabeto razionale e scientifico. Tale attività sperimentale è ’ un modo esemplare, escogitato dal soggetto, per essere sicuro nel suo intimo e per non temere l’ambiente esterno,percepito come non più inesplicabile e minaccioso poiché Egli contribuisce alla sua creazione e al suo addomesticamento. Il soggetto tende naturalmente ad agire ed edificare con sicurezza previdente la propria storia e a disporre ed utilizzare i materiali e i simboli circostanti come efficace protesi della sua mente.Con l’avvento della società dei media tutto ciò è venuto meno perché il soggetto è avvolto da un diluvio di immagini e di notizie,rimanendone supinamente frastornato .Egli agisce non più in modo poietico,produttivo ed efficace,socialmente riconoscibile e durevole, ma si compiace,inerte ed estenuato,di ciò che succede intorno. Inoltre , il peggio è che la sua azione ,tranne che per l’ovvia quotidianità,e le minime incombenze personali(individuali),nemmeno ha decisi effetti pratici,perché confusa e anonima,senza slancio, poco incidente nel panorama sociale.E’ una azione neghittosa,spesso inconcludente,che proietta nella sua coscienza baluginanti ombre vaghe di voragini abissali. In definitiva,che tipo di esperienza facciamo oggi?Quali le condizioni in cui avviene?Come ci aiutano ,in questo,gli strumenti d’indagine elaborati?
1.2- Ambiti principali di cambiamento
Che il mondo sia in rapido cambiamento,è una constatazione quotidiana. Anzi avvertiamo su di noi gli influssi delle brusche accelerazioni prodotte dagli eventi,che talvolta ci esaltano ,come per le scoperte della scienza e della medicina,e talaltra ci deprimono come quando ci scontriamo con lo scandalo della menzogna,della reticenza e delle promesse non mantenute.
Quali radicali trasformazioni incontra un cittadino in relazione con l’ambiente che attraversa?
Quali sono gli elementi,le questioni, che caratterizzano questo stato di cose sia nella coscienza sia nel sociale?
Innanzitutto le modalità comunicative,con la rottura della relazione “faccia a faccia”,che era prevalente nei villaggi e nelle piccole comunità. La richiesta di aiuto,di comprensione ,il consiglio per le attività,la stima e l’affetto filtravano da atti concreti,visibili e corali. Attualmente,è molto diverso. Sembra ,semplicemente, che oggi non ci parliamo e non ci guardiamo più negli occhi. Siamo catturati dai nostri pensieri , dai nostri affanni e dalla nostra “corsa”. Immobilizzati dall’orologio e dalla burocrazia. Spazio e tempo si comprimono vicendevolmente. Forse abbiamo perso il piacere di emozionarci e di agire? Poi il fenomeno frequente della distanza fisica,oggettiva(dislocazione simbolica),in cui capitano gli eventi che catturano la nostra attenzione,cioè i fatti e i significati avvengono in prevalenza lontano dal luogo in cui si fruiscono .Oppure,radicalmente,essi si manifestano in un “non luogo”,in un’ipotesi,in una fantasia o in una utopia,in un mondo di pure strategie ed avvenimenti intellettuali,come nei casi positivi della ricerca avanzata o in quelli più leggeri e dilettevoli delle soap opera. Terzo:nuovo concetto di democrazia e di pubblica opinione. Sfuma l’emozione ed il gusto del confronto in piazza,della tenzone accalorata. Si impone la democrazia mediatica ed organizzativa. In tale frangente molti gruppi si affacciano nell’agone politico,ma prevalgono i più efficaci dal punto di vista economico,mediatico o leaderistico.L’opinione pubblica non è l’agorà ,ma lo spettatore,che è un cittadino del mondo,investito dalle sue molteplici visioni e ,perciò,spesso infedele o smaliziato verso le esistenti tradizioni culturali . La lontananza non ci coinvolge con gli eventi ed i drammi,che diventano in questo modo un semplice accadimento. Quarto:il cambiamento della memoria e la perdita della biografia. I ricordi non ci aiutano a vivere ,non sono significativi perché non si sedimentano nella nostra mente,non ne hanno il tempo, e non ci fanno far esperienza. La nostra vita non ha guide e metodi per la promozione di sé né per la sanzione e la correzione di ciò che sbagliamo. Ci manca un back graund essenzialmente culturale,come si dice. Siamo sempre meno testimoni e fiduciosi eredi di una” cultura vissuta ed esperita”e sempre più vincolati al rito ostensivo ed auto predicatorio di mezzi e possessi. La esteriorità,cioè la rappresentazione che offriamo di noi,prevale sulla cura della nostra esperienza interiore. Accanto alle classiche fotografie,ad esempio,dello sposalizio,della nascita dei figli,del successo professionale,che sono indubbiamente tappe significative della nostra biografia,si aggiungono sempre le immagini dei cambi delle autovetture,della costruzione della casa,degli acquisti dei mobili,di belle vacanze,che hanno certo rilevanza per la soddisfazione economica che arrecano ,ma di sicuro non una serena tranquillità interiore ed una ricca esperienza,una pensosa lungimiranza, perché spesso ci stimolano a inseguire irriflessivamente le turbo-mode ed il desiderio bulimico ,inestinguibile, di cose. Il tempo scorre veloce,è troppo fluido e le impressioni o i ricordi importanti non si cristallizzano,non consentono di essere rintracciati ed ordinati per le nostre necessità. Non dominiamo la nostra esperienza. Così possediamo tante informazioni,ma pochissime o quasi nulle chiavi di lettura e la realtà,soprattutto per i giovani,avrà connotati oscuri per la mancanza degli itinerari certi finora conosciuti. La memoria sovraeccitata ci espone alla velocità delle impressioni ,impedendoci di ragionare. “Panta rei”,tutto scorre,nulla è importante:si vive,si mangia e si muore nella completa anomia.. Quinto:la modificazione delle tradizioni e delle consuetudini .Dei comportamenti e dei costumi non si perdono gli archetipi,né le modalità arcaiche ,ripetitive, tuttora visibili come il corteggiamento,la famiglia,la formazione dell’esperienza in senso lato, l’economia ,la politica,la considerazione del sacro,il rispetto per l’autorità, ma cambia il significato profondo degli stessi comportamenti ed atteggiamenti. Nel senso che essi si meccanizzano nella interiorità,diventano automatici, sono una cosmesi ,non sono ambiti in cui costruire esperienza. Ad esempio,il matrimonio alle origini era un modo per fare coppia,esperimentare l’affettuosità ,il sostegno ,la perpetuazione della specie,la suddivisione dei compiti,un legame in cui progettare e pregare anche la divinità. Mentre oggi esso è descritto spesso dalla letteratura come un luogo,uno schema di relazione, in cui si avverte un progressivo senso di gigantesco distacco dalle romantiche idealità originarie della coppia. Facciata piuttosto che sostanza. E’ ovvio,in sintesi, che le tradizioni mutino lentamente,soprattutto quelle più apparenti,come ad esempio le vocazioni economiche legate al territorio,le consuetudini religiose,delle relazioni,dei costumi e dell’alimentazione,ma ora nel vorticoso cambiamento delle abitudini tradizionali si rischia di perdere il senso dell’equilibrio interiore perché non ci sono orizzonti culturali certi e rassicuranti in cui svolgere la propria attività e manifestare ,senza critiche, le proprie convinzioni. Infatti,anche le recenti abitudini di vita,conseguenti alla industrializzazione,allo spostamento di milioni di individui dai loro luoghi d’origine,elementi che hanno fatto fiorire un milt cult pop e la cultura di massa,sono comunque in perenne fermento e rincorrono i rapidi mutamenti di costume e di sensibilità. Che sia da preoccuparsi? Sesto:la modernizzazione tecnologica. Che interessa e compenetra molti settori della vita quotidiana:dai trasporti,alla comunicazione,dalle abitazioni ,alla industria,all’urbanistica,alla organizzazione del lavoro ed alle varie incombenze ed opportunità degli individui che con essa devono fare i conti. La tecnologia infatti cambia impercettibilmente anche i nostri sensi e le nostre percezioni. E di conseguenza anche la nostra affettuosità,emotività e conoscenza. Settimo:il cambiamento dei modelli di sviluppo ed economici. Sono storicamente i più rilevanti, per un determinato periodo anche i più soddisfacenti ed ottimistici,ma potrebbero talvolta rivelarsi i più scioccanti. Nella storia si registrano molte trasformazioni:ad esempio,l’aratro di ferro consentì maggiore produttività rispetto agli utensili in legno,il latifondo produsse un tipo di gerarchia sociale assai diverso da quello conseguente alle prime botteghe artigiane o ai primordi della industrializzazione. Ogni innovazione tecnologica produce dei cambiamenti di natura economica,che,a loro volta,suscitano degli scompensi, delle crisi nella cultura e nel tessuto sociale mentre gli individui avvertono un incombente sentimento di vuoto o di sgomento. Succede anche oggi. Sebbene riteniamo che la paura e l’ansia odierne siano di una diversa natura,assai indecifrabile:più che la conseguenza di una tecnologia o di diverse istituzionalizzazioni e modelli sociali ci sembra che la crisi sia figlia di una diversa richiesta di politica culturale tout-court. Girando si scorgono infatti negozi di arredamento desolatamente chiusi,concessionarie,fabbriche e capannoni sigillati benché ad ogni casello. autostradale o ad ogni rotonda importante vistosi ipermercati colonizzino i costosi terreni circostanti E’ questa circostanza ambigua che sconcerta:da un lato una sequenza di chiusure di attività mentre dall’altro si aprono megastore in cui si avvicendano commessi con contratti atipici o specifici. Riteniamo che nelle profondità di questo anomalo aspetto,ci sia una concreta interpretazione della attuale situazione. Pertanto, quando in definitiva tramonta,entra in crisi, un epoca economica con le relative opportunità,modalità comunicative e professionali,se non ci sono delle valide alternative,se non si è preparati,qualcuno pensa addirittura di suicidarsi. Molti imprenditori in difficoltà o dipendenti disoccupati scelgono il gesto estremo piuttosto che affrontare l’onta del giudizio sociale. Se non si hanno soldi non si è niente e nessuno ti dà fiducia. Oggi,ci troviamo di fronte ad un cambiamento epocale perché il” modello occidentale”della industrializzazione e del conseguente commercio ,sostenuti copiosamente dal debito pubblico e privato,non è più competitivo rispetto al “modello orientale” più dirigista in politica e che si traduce in un controllo mirato della “economia del lavoro”. Il risultato di questo confronto indiretto è che sono entrati in una crisi profonda alcuni fattori produttivi,soprattutto del lavoro,che nell’area occidentale,per quanto riguarda le occupazioni medio basse, i compensi tendono ad essere compressi mentre nella zona dirimpettaia sono eclissati i diritti di partecipazione democratica e sindacale. Inoltre,si registra un fenomeno finora sconosciuto e poco analizzato:le multinazionali controllano i settori nevralgici dell’industria e del commercio mondiali, favorendo una mentalità mondialista e delocalizzatrice ,togliendo altresì la sicurezza del posto di lavoro e tentando di intervenire ,in alcuni Paesi,per un ‘organizzazione più vantaggiosa dei costi dello stesso. Queste aziende mondialiste ,benché in crisi anch’esse,detengono introiti annuali superiori ai bilanci di alcuni Stati e con tali proventi tentano,con alterne fortune , di orientare le politiche economiche,istituzionali e sociali dei vari Paesi in larga misura indebitati. Ma il loro comportamento è meramente economico, adattativo alle situazioni locali,cercando di approfittare delle differenze politiche ed istituzionali e privilegiando lo status quo. In questa situazione se si tutela il plusvalore ed il mercato non ci si adopera altrettanto per una più nobile configurazione dei diritti .Ragione per cui si può produrre con un margine di profitto assicurato,ma il potere d’acquisto non è ovunque parimenti garantito. Il dilemma davanti a noi perciò è:ci salverà dalla crisi una grande innovazione scientifica di processi,di competenza e di manufatti?Indubbiamente sì,ma ad alcune condizioni. Una delle quali è l’adozione di una politica generale dei diritti e dei doveri sostenibili dei cittadini in tutto il mondo,e a patto che essa sia la stella polare della Grande Politica dei XXI secolo. Viceversa avremmo soltanto una lunga agonia economica ed un generalizzato impoverimento in alcune zone finora influenti e benestanti del pianeta perché in esse i confini della ricerca innovativa sono già avanzati in alcuni settori(comunicazione,nano e biotecnologie,aereo spaziale,farmaceutica e nuovi materiali),ma l’esperienza è che essa,ancora costosa, non viene socializzata e perciò non è fruita dal grande pubblico. In ogni caso,gli Stati o le macroaree economiche ad essi omogenee dovranno sostenere soprattutto una politica culturale di nuovo tipo,definita ,fondata sul rispetto e sulla professionalità responsabile,piuttosto che sul ripristino delle antiquate sfere di influenza. Le politiche di neo- colonialismo con cui si intende sfruttare i nuovi mercati e che reiterano il vecchio atteggiamento di subordinazione infatti non valgono più ed hanno il respiro corto. Bisogna costituire una cultura istituzionale della sostenibilità che si faccia carico del futuro, altrimenti,piaccia o no,avremo sussulti sociali e relazioni internazionali gravidi di pericolosa incertezza.
Vediamo ora ,in ordine agli interessi ed agli scopi della nostra ricerca , cosa significa e cosa comporta la accelerata modificazione dei succitati ambiti rispetto alla concezione canonica,per intenderci quella sottolineata dalla letteratura socio-politica contemporanea. Infatti seguendo questa traccia capiremmo se assieme ai cambiamenti in evidenza si trasformano anche abitudini,nel senso del modo di essere degli uomini e delle relative istituzioni,ed in che modo e di quanto. La tradizione ,ad esempio,nella vita arcaica ha un grande potere di formazione ed autoformazione per via della onnipresenza delle modalità di incontro,di relazione ,di sanzione e di promozione di costumi,di atteggiamenti e di comportamenti.Sono i cosiddetti incontri faccia a faccia.Nel mondo tradizionale,infatti,tutti i riti e gesti quotidiani, riferiti alla festa oppure al lutto,sono in qualche misura coercitivi,già segnati, per i membri di quella comunità. E la vita di un villaggio si muove di certo attorno a dei nuclei tematici e liturgici ,in un percorso a tappe consolidato e ripetuto,materializzato in ruoli,status e funzioni dalla nascita ,alla adolescenza e alla morte. Ad esempio,il fabbro è una figura rilevante nel mondo contadino perché è lui che costruisce i carri,aggiusta i cerchi,sistema i raggi delle ruote,come un’altra figura importante è il droghiere,e quindi tante altre,tutti personaggi considerevoli nei rituali di quel micro mondo. L’ordine e l’armonia individuali,infatti, dipendono dalla conformità a questa cosmogonia e dal desiderio di partecipare all’edificazione di quelle gerarchie di valori, di doveri e di eventuali sanzioni. Paradossalmente,coercizione e gratificazione sono dei diritti-doveri,sono appartenenza,ed essenzialmente costituivano la cultura di quell’ambiente. Sebbene agiscano dall’esterno sul comportamento degli uomini. Anche nel mondo classico dei greci,in piena tradizione orale,le storie della polis e della comunità non sono le storie ordinarie ,quotidiane,che tutti potevano raccontare,ma sono le storie speciali di quella comunità,narrazioni esemplari,mitizzate,popolate di leggende ,di dei ed eroi,che facilmente possono essere ricordate e tramandate ai posteri con precise regole di mnemotecnica. Il portento di questi messaggi orali infatti risiede nell’offerta di esempi virtuosi da emulare e nella stimolazione alla perfezione. Pertanto, la possibilità di tramandare ,tramite la espressività intensa del ritmo vocale, della parola e delle pause, costituisce la corposa eredità degli esempi e delle leggende, edifica una comunità,unisce i villaggi. Prima della impresa di Troia i miti hanno unito i popoli greci.Queste modalità di comportamenti,linguaggi,di pensiero hanno edificato un mondo storico,”una cultura”,hanno avuto degli effetti sulla sensibilità e sulla psicologia di uomini e donne di quei secoli,hanno costituito una rudimentale opinione pubblica,hanno insegnato le regole di vita ai giovani di allora,infine hanno separato la storia dei greci da quella degli altri popoli. L’idea della distinzione ,della separazione ,tramite il settaccio e la differenza delle narrazioni,avrà secondo me ,con i dovuti accorgimenti e le necessarie proporzioni dei paragoni ,influenza determinante sulla storia delle identità dei popoli e delle civiltà.Anche in futuro. Infatti ,ogni identità culturale ha una sua speciale caratteristica,che è ripetitiva e ridondante,rinvenibile con l’uso di certi criteri interpretativi. Quindi , per rafforzare la comprensibilità dei fenomeni sociologici e storici, in quanto fatti realmente accaduti, serve individuare i filoni significativi della loro sequenza. Perché sono avvenuti così?Quali modalità profonde,di lunga durata ed influenza,quali importanti accadimenti hanno condotto a quei ed a questi risultati?Che tipologia di paure,di speranze,di dubbi , di cautele e di pensieri producono?A tali domande semplici ,serve rispondere individuando dei criteri guida per un’interpretazione più accreditata e asseverata,che superi l’obiezione dell’avvocato del diavolo.La sociologia afferma che i criteri individuabili non sono altro che delle strutture di macromeccanismi o micromeccanismi di significato e di stabilizzazione sociale(schemi abituali di attività , di contatto,di relazione e di iterata riflessione),quali ad esempio le credenze ,i riti di passaggio ,le forme del matrimonio,le modalità comunicative e di aggregazione ,i loro simboli, la liturgia del sacro e le attività valutative o sanzionatorie. E tante altre relazioni o legami o condizioni iterativi. Man mano che cresce la modernizzazione ,queste strutture cambiano la forma ,ma per gli attori rimane immutata la sostanza. Sono ripetitive,vischiose, e si cristallizzano in noi come dei costanti pre-giudizi. Nella classica interpretazione, sono gli archetipi di Junghiana memoria,che dal mondo delle ombre influiscono in modo non casuale sul comportamento degli uomini ,anche se non deterministicamente. In un modo vago e indeterminato,quindi,il flusso del passato non si interrompe con le vicende contemporanee,perché in sintesi ogni epoca è figlia delle precedenti,manifestazione di individui della stessa società,dello stesso contenitore d’esperienza e soprattutto della stessa cultura. Oggidì,molte teorie storiche pertanto respingono la concezione illuminista di” tradizione” ,intesa come fenomeno anti- progresso ed oscurantista,velato di una summa ignoranza. Le medesime altresì criticano le teorie della discontinuità brusca e violenta,partorite da una ragione esaltata ed esclusiva,distaccata dal contesto. Le ritengono episodi,anticipazioni ,benché cruenti,di sommovimenti già in atto. Simili,ad esempio,alla schiuma dello spumante che sgorga abbondante quando salta il tappo. Analogamente,né viene accolta, senza debite cautele, la teoria vichiana dei corsi e ricorsi,ciclicamente perpetuantisi nello svolgimento storico ,perché se è leggibile in qualsiasi civiltà ,come nella fisiologia umana, una parabola con un punto zero,un apogeo, la caduta e la successiva rinascita, la illustrazione semplificatrice non va più bene per un mondo globalizzato, intrecciato da tante culture e civilizzazioni,dove le più avanzate coesistono con altre,diversissime, tipologie di civiltà.Per questo si suole dire che la società globale,contemporanea, è una civiltà stratificata,in cui coesistono diversità di culture e di artificialità(nel senso di elementi elaborati dalla storia dell’uomo),espressione di mentalità,gusti e sensibilità, tra loro lontanissimi,difficilmente compatibili se non tramite l’epidermico culto del consumo e del ben vivere.Un ben vivere che non è la classica ricerca dell’ armonia o della felicità ,dipendenti da una scelta meditata,ma un lasciarsi vivere nel vortice di un inestinguibile desiderio di cose,tranquillamente adagiati in un mondo preconfezionato,senza impegno,senza progettualità e soprattutto senza una consistente fatica fisica e intellettuale,assopiti e cullati nella mediocre quantità. La prima impressione è che ci troviamo di fronte ad una sovrapproduzione e ad una ridondanza economica ,mediatica e culturale,che uccide l’immagine e la storia dell’uomo fin qui conosciute. Una specie di metaforico antropocidio,si direbbe. E ‘evidente ,tramite una spiccia e sommaria osservazione,infatti, che gli ambiti enucleati ,ritenuti da noi importanti per la biografia individuale e collettiva,sono interessati da formidabili cambiamenti,che assomigliano a una mutazione genetica della cultura umana e delle sue proiezioni istituzionali ,organizzative e sociali. Una trasformazione grandiosa,che è foriera di ulteriori rivoluzioni di sensibilità e di costumi.
1.3 Strutture sociali immateriali
La società si tiene con gli aspetti materiali ed immateriali. L’economia,l’industria,i servizi,ed altre attività amministrative visibili ,infatti,non si reggono se non sono sostenute dalla affidabilità,competenza ,equità e dai sentimenti di efficienza e sicurezza,che sono delle qualità che entrano in gioco nelle relazioni fra le persone e le istituzioni. Che si rinvengono soprattutto nella cultura e nella politica. Una società,quindi, non è solo come si costruisce e si acquista una autovettura ,bensì anche ciò che si crede sulla garanzia ed affidabilità della marca e del rivenditore. Ad esempio,una economia che tira può soddisfare le esigenze materiali dei cittadini ,ma non può garantire la loro piena soddisfazione. Infatti per garantire pane,divertimento e tranquillità ci vuole altro. Qualcosa che li faccia sentire pienamente soddisfatti,una corrente che nel loro animo unisca terra ,cielo e gioia. Però avvertiamo che non è un ritorno indietro,a paesaggi semi bucolici,fortemente idealizzati,perché la storia comunque va avanti con i propri alti e bassi. Infatti,se percorressimo la strada del ripiegamento idealistico ad una “bontà del passato”
saremmo ancora nella traccia di una retorica catartica,purificatrice, e forse nostalgica,alla ricerca di buoni tempi andati,proposta generosamente dalla letteratura sociologica,che vorremmo smentire per solcare altre rotte di spiegazione. Ma per farlo avremmo bisogno di conoscere e caratterizzare meglio cos’è una tradizione culturale. Infatti,ci tormenta un sospetto:che le strutture fondanti,quelle “assenti” perché poco visibili,di una determinata società,stiano saltando (1). Come delle valvole sotto una esagerata pressione. La tradizione,dunque, per definizione è un” traditum” ,un lascito che si traghetta alle nuove generazioni di una data società o di una cultura;essa tuttavia col trascorrere del tempo ,anche in presenza di corposi cambiamenti nelle credenze , negli stili di vita e nella tecnologia,presenta alcune caratteristiche astratte,universali, leggibili nelle tradizioni delle civiltà arcaiche, e ,con elevata probabilità , anche nelle tradizioni delle società contemporanee,nate con lo sviluppo industriale,ed anche in quelle future.Sono caratteristiche strutturali essenziali,ineliminabili,che per natura legano indissolubilmente una cultura,un sistema,che per la loro semplicità sono utili a dirci che cosa può essere una tradizione sociale,di quali aspetti è costituita, come può cambiare e in che grado ciò accade,se irreversibilmente o con elementi di ibridazione o di continuità. Una tradizione culturale o sociale perciò dimostra almeno i seguenti aspetti strutturali:a)è riflessiva ,ossia partorisce un pensiero generale,delle idee,dei valori,una lingua,dei lavori ,dei comportamenti e degli atteggiamenti tramite la semplice ripetizione involontaria delle azioni da parte dei fruitori,attività che entrano in circuito e in feed-bak tra gli individui,che se ne alimentano ,e,seguendole,ne rinvigoriscono le fonti e le consolidano. Le oggettivizzano.E’ come se uno guardasse le proprie condotte riflesse in uno specchio ed esso si animasse e vivesse di queste immagini ;b)è attestativa, nel senso che la iterazione condivisa di azioni e di modi di fare in ambienti particolari come la strada ,la famiglia,la chiesa,la cucina ,la bottega dell’artigiano o gli studi del medico o dell’ingegnere , indica e conferma quali azioni sono pertinenti e quali no,quali da imitare e quali da tralasciare. L’attestatività è anche una conferma di una specifica identità,quindi una modalità di rassicurazione generale. La conferma è uno strumento che dà corpo e sostanzialità ad un ambiente socio-culturale ;c)è direttiva perché guida,indirizza,orienta ed insegna le modalità opportune e adeguate di comportamento e di giudizio. Il suo effetto è simile ad un “tropismo socio-culturale”,nel senso che ciascuno preferibilmente si orienta verso i valori e le cose che un contesto reputa validi ed importanti;d)è valutativa perché apprezza,pondera e seleziona, ciò che deve essere fatto e sanziona lo sconveniente,cioè classifica e giudica se tutte le azioni che analizza sono aderenti o meno allo standard accettato. L’aspetto valutativo però è neutro e problematico rispetto allo sfondo culturale perché ,storicamente,i criteri utilizzati cambiano anche rispetto agli ambiti di utilizzazione ,e ,nella società contemporanea,la criteriologia è uno studio delle organizzazioni assai fruttuoso di significati. Nel senso che cambiando obiettivi e criteri di valutazione possono modificarsi situazioni,condizioni ed esiti di vari processi e procedure più o meno qualificati ;e)è innovativa,perché assimila le migliori novità provenienti dall’esterno o dagli stimoli individuali dei propri membri,fondendoli ed amalgamandoli con il retaggio delle tecniche e dei comportamenti esistenti,sì da trovare nuovi e più graditi equilibri nei vari settori da essa toccati. Ciò si riscontra soprattutto in un’ epoca di grande globalizzazione poiché saltano tante certezze,modi di essere, e tutti devono essere pronti ineludibilmente al cambiamento,accettando anche forme istituzionali,regolamenti e comportamenti provenienti da culture esterne o adeguati ai tempi. Tuttavia ,sommariamente ,diciamo che gli avanzamenti tecnologici sono preponderanti rispetto a quelli culturali, consuetudinari,giuridici e morali ,comportando degli squilibri nelle relazioni sia all’interno dell’individuo,sia tra le persone ed anche tra le organizzazioni.
Per avvalorare le citate caratteristiche principali delle tradizioni e delle culture ,sia in ordine alla progressione storica sia rispetto agli accadimenti contemporanei,sperimentiamo mentalmente l’incidenza dei medesimi principi , rinvenendoli nella descrizione delle pratiche quotidiane di una piccola comunità. Li osserveremo operare naturalmente,senza schemi esplicativi particolari,sul tessuto sociale delle credenze della piccola comunità,descritta in precedenza,e comprenderemmo la loro fondamentale importanza nella sua strutturazione. Quindi con un salto induttivo individueremmo come tali caratteristiche funzionino anche nelle società complesse ,sebbene oggi esse si manifestino in modo intensamente problematico. Probabilmente perché hanno perso la loro originaria forza coesiva in seguito all’intenso mutamento del quadro culturale di sfondo. La loro evidenza problematica,perciò,è ciò che ci interesserà più oltre,quando tratteremo degli aspetti critici delle nostre società,criticità che si ritiene siano l’oggettiva spia del disagio epocale cui stiamo passivamente assistendo.
L’aspetto della riflessività ,ad esempio,deriva dal fatto saliente che in una società tradizionale le attività,i valori,i significati dei Totem e dei Tabù , per i membri di quella piccola comunità , avvengono automaticamente,senza un perché più profondo e studiato sulle eventuali cause che non siano di ordine mitologico,si dice che le cose capitino come per abitudine,per una consuetudine inveterata e impersonalmente si riflettano sugli attori.Ad esempio,la deferenza allo stregone o all’empirico guaritore o al sacerdote,nei diversi contesti storici e spaziali,ambienti cronologicamente e geograficamente lontani,e dissimili,sono la conseguenza di riti ,di comportamenti,di saluti reiterati quotidianamente, che per la gente del villaggio significano subordinazione e riverenza alle capacità superiori di quei individui ,che i racconti orali tramandati suggeriscono come personaggi degni di ossequioso rispetto.Il racconto,il passa parola costante e il comportamento quotidiano formano delle macrostrutture o sequenze di vita iterative,che si sedimentano nella psicologia,nella cultura e nel discorso della collettività mentre lo scambio e il dialogo famigliare rinforzano quelle credenze anche perché allora i membri di una famiglia godevano di scarsa privacy. Tutto lo spettacolo della vita,anche nei suoi intimi segreti,avviene alla luce del sole,amore e odio,competizione, nascita,matrimonio,infanzia e giovinezza fino alla morte avvengono di fronte agli occhi del mondo,sulla pubblica via o nell’agorà…Non ci sono segreti per nessun membro ,l’apprendimento avviene per semplice esposizione alla vita,con naturalezza,senza faticose e mediate spiegazioni.Tutti apprendono e insegnano qualcosa agli altri nella pratica quotidiana.Inoltre nessuno critica e mette in discussione lo status acquisito del guerriero,del coltivatore,del sacerdote che meritano il rispetto perché così è e non diversamente;soltanto in casi eccezionali,eventi bellici o tragiche pandemie o celesti maledizioni, i poteri e i valori sociali ,espressi e cristallizzati in quelle forme o ruoli, vengono infranti e rimodellati a vantaggio di alcuni ceti o individui.Attorno a quei valori e a quei contenuti simbolici,vecchi e nuovi, c’era comunque la sicurezza e la speranza di abbondanza di messi,di progenie,di saggezza e di abile tecnica per allontanare i nemici esterni. A lungo andare,dopo la corsa dei tempi, si può sintetizzare che gli accadimenti sociali si sono riflessi sulla storia di una comunità ed hanno costituito un deposito di significati,un insieme di strutture e nodi reticolari, un network,dei percorsi in cui gli abitanti dei villaggi hanno conosciuto nei simboli della Spada, del Totem ,di Dio,della Religiosità e della amministrazione della Giustizia dei capisaldi di garanzia e di sicurezza.Non diversamente di quel che accade ora, ogni giorno,anche nelle nostre complesse e articolate società moderne o post-moderne,in cui le strutture istituzionali diventano il pensiero e il linguaggio della cultura,orientando i comportamenti. Allora come oggi,nel proprio piccolo,ogni cittadino riflette in larga misura, quindi, i dati intrinseci della propria società,sebbene dapprima essi appaiano sfuggenti e non analizzabili ,perché radicati nelle profondità abissali della stessa fino a costituirne l’anima interiore e specifica. Il programma di vita del singolo giovane avveniva spesso tramite riti di passaggio o prove elaborate dalla tradizione o dagli anziani,ma tutto l’itinerario ,costituito di fatiche e di rischi calcolati ,era prescritto dalla pratica consuetudinaria,non generava perciò angoscia,ansia o la ricerca spasmodica di una aggressiva competitività.La prova ordalica,ad esempio, era riservata ai casi eccezionali,a trasgressioni colossali ed inenarrabili,quali l’omicidio ,il genocidio,l’adulterio,l’incesto, l’apostasia o per fugare malefici contro l’intera comunità,vittima di infausti sortilegi. Nella odierna società il percorso della formazione individuale,per contro, avviene in ambienti particolari ,distaccati dalla coralità,o in istituzioni specifiche:la famiglia,le scuole,l’occupazione,le confessioni religiose,i “credo politici” ed in altre esperienze o nello svago e negli hobby. Come vedremo in seguito,oggi,nelle convulse e ricche società occidentali contemporanee,le pratiche istituzionali per giungere alla maturità,all’acquisizione di capacità intellettuali e morali nonché ad abilità tecniche e strumentali ,sempre più sofisticate e specialistiche,non garantiscono appieno il perseguimento di soddisfazioni professionali e l’appagamento psicologico individuale,nel senso che molti,nonostante gli sforzi e gli impegni, rimangono delusi e confusi ai margini. In esse regna l’incertezza,ad esempio,dopo la laurea ci vuole il master,quindi un altro ancora,mentre nella hobbistica ,dopo il modellino radiocomandato, ci vuole un drone,così ad una funzione già specializzata si aggiunge il bisogno di una ulteriore parcellizzazione e specializzazione. Il fossato,infatti,tra i valori dichiarati e quelli materialmente praticati, genera oggi,nella società contemporanea complessa, uno sfasamento generale degli e tra gli attori sociali,situazione critica conseguente al fatto che le medesime istituzioni ,che per principio devono difendere e garantire l’effettività e la stabilità di quei valori ,non sono più in grado di farlo. Hanno sbagliato calcoli e misura nelle scelte . A causa almeno di tre fenomeni concomitanti:la perdita di chiarezza delle finalità e degli scopi originari ,per il soverchiante peso di inedite richieste sociali e di scopi eterogenei alla stessa organizzazione dei servizi,evento che comporta il gravame di ulteriori tempi,controlli e passaggi burocratici sul medesimo iter(percorso), nonché del progressivo indebolimento dell’efficacia della specializzazione e della professionalità degli operatori,a causa del surplus di richieste, della naturale obsolescenza delle competenze e della carenza di una formazione duttile .Inoltre, data una determinata ed effervescente situazione ,per la estrema difficoltà che hanno i membri della governance,di fronte alla riferita esplosione incontenibile delle quantità di richieste e della numerosità dei casi singolari, di effettuare delle scelte chiare,efficienti, giuste e sostenibili nei vari campi interessati dal fenomeno. E’ soprattutto la deflagrazione dei particolarismi e delle richieste individualizzate,tra cui se ne elencano di strane e bizzarre, che imballa e frena le società, frammentandole in tante direzioni,difficilmente coordinabili, culturalmente inadeguate e contraddittorie rispetto alla logica di funzionamento unitario e della esigenza di un ordine quasi automatico che le caratterizza. Le società contemporanee sono infatti un insolubile paradosso tra le naturali esigenze di ordinato sviluppo e la moltiplicazione individualizzata dei desideri e dei sogni ,che sono per contro anche il motore vero del loro progresso e del loro autosostegno. Il risultato di tutto ciò è comunque la seria dequalificazione del servizio sia in ordine all’aspetto finanziario,perché costa di più,sia rispetto alle aspettative sociali e alle tutele giuridiche universalistiche,vagamente soddisfatte. Infatti,le odierne società occidentali,sebbene conservino una certa ,ma non determinabile,efficienza del “principio di riflettività “, in grado di orientare i gusti e le scelte di una grande maggioranza dei suoi membri,difettano nell’efficacia degli altri principi costitutivi ,quali la confermatività,la governance e la valutazione,non più funzionali allo scopo delle medesime società.Tutto ciò,perché sono saltati tutti i controlli e le pianificazioni. Inoltre ,una grande quantità di innovazioni in genere sono Kitsch mentre quelle scientifiche sono dei surrogati di altre. Un sovrappiù rispetto all’essenziale , al necessario o all’utile. Per rendersene conto è sufficiente guardare al cattivo gusto imperante in ogni settore produttivo o agli scimmiottamenti nell’abbigliamento e nell’arte oppure ai numerosissimi modelli di affettatrici di legumi in circolazione. Trash e barocchismo. Pertanto ,tranne che per questo effetto,di cieco adattamento riflessivo ,che assume una netta dominanza in larga parte del mondo OCSE,inducendo un fenomeno inusuale,inconsapevole, di omogeneizzazione e di livellata standardizzazione ,sia di percezioni sia di sensibilità e di aspirazioni,gli altri aspetti caratterizzanti una società ,quelli che favorirebbero una abilità critica e raziocinante,per contro,affievoliscono vistosamente la loro influenza. Sorge spontanea quindi una domanda. Il riscontro numeroso,come vedremo, di tale processo sociale è forse un ghiotto invito alla ipercomposizione,all’amalgama di diverse società,alla superinclusione globalizzatrice per meri scopi mercantili di mezzi,materiali e persone? La riflessività sociale è indubbiamente la caratteristica dominante,rispetto alle altre,perché è anche la più economica,non richiede elaborazioni ed apparati,riflette e rimanda ai cittadini quello che c’è,si muove e vive nella società. Se in essa prevale l’economicismo mercantilistico,l’individuo risponde con la mercificazione generale dei rapporti,sottratti alla riflessione ed esposti alla emulazione degli acquisti e di consumi. Secondo la recente letteratura sociologica,infatti,ogni comunità umana,piccola o grande,in qualsiasi latitudine si trovi,è in una qualche misura esposta al principio della riflessività,possiamo dire che ciò riguarda sia gli agglomerati urbani sia i villaggi rurali,le società complesse dell’occidente e quelle ,se ci sono,più arretrate e solitarie. Tale particolarità strutturale ,leggibile in ogni comunità o nazione, fa sì che oggi i mass-media ,ad esempio,siano attenti al dato essenziale di fondo di ogni specificità locale ,gradualmente modificandolo in modo di esercitare un orientamento secondo gli scopi che si prefigge la grande distribuzione commerciale o la industria dei nuovi bisogni e delle nuove moralità. Pertanto ,si può argomentare che nel pianeta c’è un vorticoso ed incontenibile movimento alla progressiva omologazione culturale e alla armonizzazione dei gusti ,degli stili di vita e dei bisogni essenziali ,dati che facilitano l’esistenza ed il contatto sociale. Questa asserzione non è peregrina al piano del nostro lavoro:lo si vedrà dopo,quando tratteremo sommariamente degli altri aspetti strutturali delle specifiche culture locali o artificiali.Le culture locali o nazionali sono quelle reperibili nello spazio,ad ogni latitudine,mentre le culture artificiali sono legate all’innovazione tecnologica o corporativa nonché alla evoluzione sociale e delle relazioni mondiali. A questa astratta divisione culturale,particolaristica l’una e generalista,mondializzata,l’altra,ne subentra un’ulteriore,anche essa a livello mondiale,legata al potere delle conoscenze,e all’uso discrezionale di varie e strategiche risorse. Tuttavia ,ovunque,in modo generalizzato, sia nella cultura locale,mondiale o della conoscenza,si crea la categoria di “chi può” e di “chi non può”. Tra i “possidenti”c’è una riflessività,cioè un effetto speculare che rimanda e perpetua le stesse immagini e forme di potere,un lascito di conoscenze e procedure ,come pure avviene tra chi non può. In un mondo che cambia freneticamente,ogni categoria dei “chi può”,soprattutto,è gelosa dei suoi poteri e conoscenze ereditari. Così viene interrotta la scala ascensionale e la mobilità sociale nonché lo sviluppo generalizzato di gratificazioni da parte dei meritevoli per la partecipazione alle posizioni di prestigio e più vantaggiose. In merito ,per chiarire,si osservino e si considerino i comportamenti e le aspirazioni delle nostre corporazioni ,arcignamente contratte in difesa dei propri interessi ed insensibili alle esigenze esterne,oppure si valuti la corsa per l’accaparramento di prerogative da parte di nuovi gruppi professionali o di alcune “consorterie”, iperattivismo che si nota ovunque nel mondo. C’è di conseguenza il pericolo di un conservatorismo che si insinua nella struttura sociale per mantenere forme di privilegio acquisite durante i notevoli mutamenti economico sociali del ventesimo secolo. Sebbene tale processo avvenga in tutto il mondo,per tradizione o per libero gioco di interessi, da noi si manifesta più che altrove. Altrettanto sintomatici sono l’omologazione e l’uniformità del desiderio e del comportamento che si notano nelle classi sociali medio-basse:anche per esse si registra un declino degli stili di vita ed un restringimento di opportunità. Sebbene su posate differenti,alcune più costose e belle di altre,tutti consumano,ad esempio, il medesimo cibo surgelato o vestono,tranne rare occasioni, quasi tutti allo stesso modo. In un clima di generale affanno economico,inoltre,si registra in ogni società una divisione fondamentale tra gli uomini:i protetti,accaparratori di privilegi,talvolta caritatevoli,e gli out,i foranei,che hanno difficoltà ad arrivare col loro guadagno alla fine del mese;in sintesi ,si scorge che di fronte ad un restringimento economico generale della ricchezza,il PIL, c’è una incontrollata e sproporzionata lievitazione della povertà,in tutti i settori sociali importanti,da non garantire ,come nei tempi di floridezza,una vita dignitosa e sicura alle persone. C’è bisogno urgente,pertanto, di politiche di inedite redistribuzioni delle ricchezze prodotte affinché i meno fortunati,che sono la maggioranza, siano in grado di conservare un minimo accettabile di dignità,compensazioni urgenti che necessitano in ogni caso di riforme sociali compensative,soprattutto in un periodo di grave crisi generale e di transizione dai precedenti modelli di sviluppo economico. Poiché si presume che nel mondo occidentale,e non solo, la disoccupazione sarà sempre più accentuata,in cui la maggioranza delle persone svolgerà lavori al minimo salariale,ed alcune di esse lavorerà saltuariamente,la politica dovrebbe impegnarsi a cambiare le regole della organizzazione istituzionale ,statuale e delle protezioni e prevenzioni sociali dei cittadini. Tuttavia ,essa deve comunque potenziare le opportunità di base ,in ordine all’eguaglianza dei diritti esigibili, alle possibilità di individuale realizzazione ed alla agibilità consensuale dei molteplici doveri,ovviamente tenendo conto delle sostenibilità economiche,organizzative,nonché degli ineludibili equilibri geopolitici,incrementando la produttività e la competitività dei sistemi esposti sempre più verso relazioni esterne e globali. La politica quindi ha il problematico compito di favorire efficienti condizioni di evoluzione tecnologica,di sviluppo economico e di cultura generale nonché di custodire la carta dei diritti e dei doveri della cittadinanza ,almeno di quelli elementari,così come si è costruita nella storia. E soprattutto vi è la necessità di riscoprire la meritocrazia,che è una importante variante della giustizia,e ,quando si gioca nella trasparenza,uno scudo contro la invidia sociale nonché la vera difesa della democrazia. .
Le parole di adeguatezza,aderenza ed identità esprimono al meglio un altro principio costitutivo dei raggruppamenti sociali:quello di conformità.Nel senso che tale concetto sovrintende e pianifica quelle esperienze istituzionali,cioè le attività ed i comportamenti consoni alla stabilità e permanenza del sistema analizzato,sia esso un piccolo gruppo di qualsiasi specie o funzione ,ad esempio dei pescatori,un’associazione generica o una società di calcio,ecc.,oppure di notevoli concentrazioni come uno stato o ,ancora,una nazione.Ciò che va rilevato,comunque,è il fatto che in ogni gruppo finalizzato ad uno scopo,soprattutto culturale, c’è la tendenza naturale a conservare e difendere,con strumenti idonei, i propri confini originari ed a contrastare le minacce esterne con dei comportamenti adeguati a tutelare i valori del sistema. Storicamente,nella tribù,contro l’avversità del clima c’era lo stregone che implorava la pioggia e la fertilità della terra,contro le devastazioni di armate nemiche c’era l’esercito ben preparato ed armato, o, nell’impossibilità di avere ottimi guerrieri si ricorreva all’arte diplomatica e alle regole della mutualità e del buon vicinato. Per preservare la ricchezza e la serenità del villaggio c’erano pure le scuole o gruppi di ammaestramento nonché ,importantissima per la saldezza e coesione sociale interna, una modalità efficiente per l’amministrazione della giustizia. Lungi dal ripetere l’esempio di una immaginaria piccola comunità nomade o stanziale,come fatto in precedenza,qui non la descriveremo,liberandovi di una noiosa tiritera,ma col metodo induttivo assumeremo che l’unità della nostra precedente analisi esplichi le sue funzioni in un contesto virtuoso. Anche in questo caso,la procedura è “l’esperimento mentale”.In un simile contesto si immagina che vengano tramandate le regole ed i comportamenti ritenuti più giusti ed importanti per le funzioni di conservazione socio-culturale del gruppo,evitando con automatismi perciò le attività viziose e controproducenti, portanti ad un affrettato declino, intriso di intima e fisiologica debolezza. In generale,perciò,ogni sistema socio-culturale reperisce e produce le proprie immunizzazioni per vincere i virus portatori di un contagio destabilizzante;di più ogni sistema prevede ,studia e organizza le proprie ed opportune difese. Dapprincipio,assumeremo che le virtù di cui si parla siano quelle classiche di coraggio,onestà,temperanza,costanza,intelligenza,impegno e giustizia,le famose virtù etiche e dianoetiche riferite da Aristotele,cui si aggiungono la fiducia nelle regole e nella elaborazione di misure pertinenti,la speranza di migliorare le condizioni ambientali o di attingere alla perfezione nonché la carità e/o pietà verso i più deboli per aiutarli ad essere autonomi.
Nella situazione contemporanea,tuttavia,sia gli aspetti strutturali della conformità e della riflessività rispetto ai modelli storici e culturali sia i relativi meccanismi di incoraggiamento, di gratificazione e di sanzione sono saltati. Per ovvi motivi non si esplicano come nel passato,anzi hanno rotto definitivamente i rapporti con le modalità tradizionali perché indulgono a privilegiare anche sfaccettature autoreferenziali da parte degli individui. Sembra infatti che la paga garantita,i servizi elargiti dalla società affluente e la possibilità di godere genericamente delle offerte della società dei consumi abbiano allentato la loro attenzione scrupolosa per l’adozione di comportamenti adeguati ai valori della continuità . All’atteggiamento di vigile interiorizzazione delle regole sociali complesse sembra subentri quello prioritario di passiva assuefazione alle lusinghe del consumo,assunto per sostenere lo sviluppo dell’attuale sistema mercantile,mentre declina la paziente e faticosa virtù della critica e della responsabilità che ci renderebbero avvertiti sulla odierna sollecitazione di camuffata schiavitù al trend ambientale.
Quindi ,l’adattamento del singolo all’ambiente non avviene come nel passato tramite una uguaglianza espressa dalla formula:tutto ciò che accade nella situazione esterna si riflette in una debita proporzione anche negli individui,che ripropongono come in uno specchio tutte le varie e numerose attività che in essa si succedono. Benché più oppressiva ,anche se non percepita come tale,la comunità tradizionale era fondata sulla forza delle consuetudini e sulla iterazione ripetitiva dei rapporti ,così da rassicurare la maggioranza dei suoi abitanti. Nella società attuale,viceversa,mentre l’individuo assapora una relativa autonomia e parvenza di libertà di pensiero e di scelta,cresce altresì la sua propensione di agganciarsi soprattutto alla tendenza di usurare in fretta le cose,le abitudini e le riflessioni,acquattandosi nel consumismo,considerato come l’unico valore rassicurante. Perciò,la moderna teoria e pratica della individualizzazione sono congrue allo sviluppo e alla presente crescita economica:le virtù riflessive ,che abbisognano di tempi adeguati per decidere,cedono il passo alla quantità dei desideri,dei sogni e dei nuovi bisogni di soddisfazione individuale. In sintesi, mentre l’uomo di ieri si tranquillizzava giocando negli schemi della società in cui viveva,l’uomo odierno si rassicura nell’uso e nel possesso delle cose,col limite che tale fruizione è transeunte,avendo bisogno “per percepirsi” di ulteriori novità.
Le istituzioni scolastiche,l’amministrazione della giustizia,le tavole delle morali religiose,i
valori etico-sociali,quali,ad esempio,il riconoscimento della dignità degli altri soggetti,singoli o di un collettivo,il rispetto concreto dell’uguaglianza universale degli uomini,formalizzate nella “Dichiarazione dei Diritti umani”,la cultura generale di una nazione,il rispetto delle Costituzioni fondanti di uno Stato e delle sue leggi ,dimostrano la forza e la cogenza nonché l’incisività di tutto l’apparato istituzionale e culturale finalizzato all’orientamento delle persone e dei gruppi sociali. Lo scopo è infatti quello di perpetuare,tramite il lavorio di questo sfondo valoriale, gli assi portanti di un particolare sistema,prevedendo e prevenendo un’ampia gamma di deviazioni dal modello accettato, superabili mediante la soluzione dei conflitti di ogni tipo. L’insieme di tutti i comportamenti e gli esiti effettivi conseguiti dai principi costituzionali di un sistema per garantire la funzionalità dello stesso,la sua perpetuazione nel tempo,abbisogna di un impulso direttivo e di una organizzazione latamente valutativa,per premiare coloro che sono ortodossi con le finalità sistemiche e sanzionare più o meno gravemente i disallineati. Tutto ciò preserva ciascun sistema dagli imprevisti esterni ai suoi confini,infatti una delle funzioni essenziali di ogni organizzazione è la stipulazione dei confini e dei limiti del proprio dominio,entro cui può esercitare con efficacia la sua azione demiurgica ed elaboratrice. Perciò ogni sistema ,dotato di minima regolamentazione,costruisce delle realtà e dei canovacci al proprio interno,col preciso intento di redigere significative narrazioni ed opzioni ,realisticamente agibili,garantendo sicurezza di procedure e di interpretazioni dei fatti ai suoi membri.La cultura risultante è quindi economica ,nel senso che non perde tempo ed energie per elaborare nuovi sfondi e strutture,come succede quando si inventa o si ricapitola daccapo una storia,quindi è rassicurante,per gli attori passati,presenti e futuri,che si sentono a loro agio all’interno di quella configurazione precostruita e di quel territorio conosciuto. Una simile lettura dei fenomeni sociali e delle dinamiche culturali,risparmia una frenetica ricerca di marketing,poiché qualsiasi gruppo politico o imprenditoriale che venga in possesso dei riferimenti radicali circa i valori e i comportamenti apprezzati da un popolo o da una civiltà o da una classe sociale,può impostare di conseguenza la produzione di oggetti materiali o simbolici,consoni a soddisfarne i bisogni concreti o fantastici di quei cittadini.
L’innovazione è il principale motore di sviluppo e di progresso tecnologico,economico ed etico,un processo notevole che ha riflessi determinanti sulla società e sulla psicologia degli individui. Di essa però abbiamo piena consapevolezza solo dell’esito storico che ha avuto sulla società il cambiamento della modalità produttiva conseguente alla rivoluzione industriale ed alla estensione dei commerci. Tuttavia,appare chiaro che rispetto al suo impetuoso tracciato siano rimasti indietro i sentieri della morale,della elaborazione critica , del rispetto degli altri e delle culture nonché la considerazione del dialogo. Tutte modalità che arricchirebbero tale processo con le virtù della prudenza,del coraggio e della attenzione alla compatibilità “ecologica generale” delle scelte effettuate,sottraendole alle forze automatiche degli unilateralismi di ogni sorta. Ogni innovazione infatti ha bisogno di tempi,di modi,di mezzi ,e,soprattutto, del consenso della pubblica opinione per incistarsi con efficacia in un particolare ambiente ed edificare una situazione ed una relativa cultura. Tutti aspetti che oggi risultano sfasati:è sufficiente pensare alle criticità che emergono quando la ricerca e la sperimentazione scientifiche si scontrano con i dogmi religiosi o ideologici,quando l’influenza del mercato incontra le civiltà tradizionali,sovvertendone di brutto la cultura,oppure allorché le organizzazioni mondiali non riescono a limitare i conflitti tra nazioni ed etnie,o, quando le aspirazioni degli individui ,nonostante la ricchezza strumentale dell’apparato,non sono soddisfatte perché manca una guida educativa parallela alla “somministrazione” abbondante di cose. Per le suddette ragioni ,considerando gli effetti socioculturali,le innovazioni sono positive per alcuni e negative per altri. Senza dubbio ,però,comportano un forte impulso direttivo su tutti i settori nevralgici di una società,accompagnato dall’aumento di conflittualità sul versante della valutazione e della confermatività delle abitudini e dei comportamenti :questi contrasti sono degli aspetti non trascurabili-anche se avviene sempre così-,perché per lungo tempo dividono i cittadini tra favorevoli e contrari alle innovazioni o modificazioni,soprattutto di carattere etico e giuridico,su cui il confronto delle posizioni è più acuto. Pensiamo alla defatigante querelle sulla neutralità o partigianeria della scienza o di qualsiasi altra invenzione,come ,ad esempio,l’uso dei contraccettivi, rispetto ai modi tradizionali di concepire la tecnica e la vita.
Oggidì perciò l’accettazione dell’innovazione risulta problematica perché la pervasività e l’incidenza del vorticoso sviluppo tecnologico trasforma intensamente,come indicato, credenze,valori,ambienti e modalità relazionali , rendendo l’individuo incerto nel seguire e nell’adattarsi al cambiamento degli eventi e dei fenomeni. Incertezza aggravata dal fatto che anche la società,in tale movimentato contesto,deve reperire modalità dinamiche di adattamento e di risocializzazione continui,sottoponendo gli individui a revisioni forzate delle loro intime convinzioni o delle loro tecnologie. Infatti,l’innovazione può essere intesa in senso generale come un generico miglioramento continuo nei vari settori mondani di una società oppure come un interesse e un particolare coinvolgimento alle novità tout-court oppure come ridefinizione o ristrutturazione intellettuale e operativa di situazioni e di oggetti già sperimentati nonché come scopo e finalità congeniti alle complessive attività sociali. Per tale sua polivalente e contraddittoria caratteristica può avere dei riflessi psicologici assai diversi negli individui , che vanno dal sollievo liberatorio provato dinanzi all’inusuale e al nuovo fino alla sensazione di eccessivo condizionamento quando si tratta di convivere con strade e percorsi battuti e ripetuti abitudinariamente. Quindi gli individui ne hanno una interpretazione poliedrica che oscilla da un generico sentimento di fiducia verso una inarrestabile ed indefinita corsa in avanti dell’intero sistema ,che offrirà di certo un futuro più soddisfacente per tutti(evoluzione automatica), alla passiva accondiscendenza per il sensazionalismo e per l’ebbrezza della novità( nel tentativo di liberarsi dalla noiosa routine ), e sino alla constatazione che anche le cose già utilizzate potrebbero essere riusate e migliorate,trovando una nuova collocazione e funzione nell’ ambiente(che evidentemente le esige: soprattutto quando al posto di essere soluzioni intelligenti, sono Kitsch). In questo clima,la medesima innovazione perde la storia della continuità e dello sviluppo progressivo del significato delle cose e degli ambienti per essere considerata una rapida avanzata verso soluzioni ed equilibri che di nuovo hanno solo il senso del cambiamento e della instabilità. Quindi molto spesso l’innovazione è l’elogio della brevità delle scoperte:come dire che la durata precaria delle cose e delle vicende tumultuanti diventa il soggetto di tutta l’azione della scena umana(2).(hosbaum). Nonostante questa ultima escursione sugli eventuali influssi socio-economici,è intuitivo stabilire che oggi i cinque principi ,selezionati per caratterizzare una società , non funzionano appieno e non raggiungono le finalità sociali di aggregazione per cui ,in origine ,erano stati pensati. E’ facile argomentare sul loro fallimento:è sufficiente descrivere ciò che fenomenicamente avviene nella società ed è palesemente constatabile da tutti .
1.3-A Istituzioni in crisi:la formazione
Le scuole,ad esempio,nonostante la generalizzazione dell’istruzione a tutti ,in ossequio alle leggi sull’eguaglianza e sulla pari opportunità,non consentono e non hanno permesso l’effettiva preparazione del” tutto a tutti”.Si dice che ciò dipende da innate costituzioni genetiche o per le difficili condizioni socio culturali di partenza. Tuttavia,sebbene nei Paesi avanzati i programmi,i contenuti,il materiale e le attrezzature didattiche ,almeno a livello teorico,siano molto efficienti,da cui si potrebbe imparare qualcosa,nel nostro Paese la struttura scolastica ad ogni livello,dalla pre-infanzia, alle superiori e all’università,non è distribuita in modo ottimale sul territorio,da consentire scambi fluenti di mezzi , esperienze e professionalità .Ad esempio ,in ogni grosso comune ci sono più scuole medie ed insufficienti scuole dell’infanzia o rare sperimentazioni che saldino con efficacia innovativa,anche negli stessi edifici, i vari tronconi di scuola,compresa la scuola primaria. Nel contempo si notano deficienze organizzative all’interno dei singoli istituti perché la carenza di spazi e l’elevata rigidità della strutturazione delle classi nonché l’uso pedissequo delle attrezzature e dei principi didattici sfavoriscono la cura individualizzata degli allievi o il raggruppamento degli stessi per affinità di capacità e di abilità. Avvalora quanto detto la persistente ed insoluta questione psicologica,didattica ed organizzativa della continuità del percorso scolastico,motivo per cui molti allievi nel passaggio da un grado all’altro di scuola accumulano ritardi di preparazione fino al precoce abbandono o la svogliata frequenza di scuole che di professionale hanno solo l’etichetta. Inoltre permane ancora alle superiori,già dai primi anni, la divaricazione tra i curricoli scientifico-filologici letterari,da una parte,e quelli tecnici e professionali dall’altra,che persegue già in origine una divisione del lavoro tra operatori concettuali e manuali,dicotomia desueta per i tempi odierni in cui c’è necessità di uomini dall’agile iniziativa,dalle spiccate capacità analitiche e sintetiche,nonché di fare impresa anche di se stessi.Separazione maggiormente desueta per tempi in cui la scuola si deve misurare,inoltre, con i problemi della legalità dei titoli di studio,della validità dei curricoli accademici in ordine ai contenuti professionali ed alla spendibilità degli stessi in un ambiente di esasperata concorrenzialità, che sempre più assumerà dimensioni planetarie. Ancora:si registra un incremento dei percorsi specialistici mentre si tralascia un curricolo di approfondimento per rinnovare la formazione di base,fondamentale per garantire,secondo noi, intelligenze plastiche in grado di apprendere a risolvere problemi e a prevedere il futuro: manca una scuola perciò contemporaneamente a misura dell’homo ludens ,sapiens e faber. Ciò non è una contraddizione,in quanto la specialità ,in teoria ,dovrebbe essere anche approfondimento di relative e di generali capacità di base,per conservare intatte le sue potenzialità, ma essa di frequente s’innesta su una piattaforma che è carente di fondamenta o che sono troppo generiche. Genericità ed approssimazione sono il risultato di una scuola che ovunque non ha saputo chiarire i nodi della formazione di base,di docenti e di allievi,e della sperimentazione di curricoli innovativi. Di una istituzione in difficoltà di superare il problema psicologico ,tecnico ed operativo di una preparazione canonica, che si dipana dall’esperienza concreta alla astratta ,con l’ausilio di strumenti anche linguistici più raffinati,ed in perdurante contrasto con una didattica più formale. Che esige una formazione che si saldi sulla possibilità di instaurare relazioni tra la storia del sapere,le varie strutture della intelligenza ed il mondo fluido da comprendere,in sintesi che favorisca in essa una attività che analizzi la portata e le conseguenze del metodo e della abilità della relazione,della analogia e della metafora tra relazioni formali del sapere e del saper fare. In tutti i Paesi industrializzati,anche quelli predisposti storicamente ad una capillare ed estesa sperimentazione, si registra ,pertanto,un aumento di studenti con formazione generalista e un decremento di frequenze dei curricoli di scienze fisiche e matematiche:così gli esiti degli studi,per carenza di programmazione o di correttivi,non sono corrispondenti ovunque alle necessità economiche e sociali. Né rispondenti agli imperativi dell’innovazione e della concorrenzialità,in tutti i settori dello scibile e della vita . Tali problematiche,in ogni caso,nel mondo culturale odierno,non sono sommariamente risolvibili col ripristino di una selezione indiscriminata. Soprattutto perché la cultura scolastica fa parte integrante di quei beni e servizi che devono essere offerti a ciascuno e di cui la società avrà sempre più bisogno. Inoltre perché si annoverano problematiche di ordine docimologico:le valutazioni descrittive sono incerte,indefinite ,e,tranne i test oggettivi o le batterie di quesiti vero/falso,non determinano, in esito alle aspettative sociali e individuali, la partecipazione,la motivazione e l’impegno dello studente durante lo sviluppo dei curricoli. Una pecca,come vedremo più avanti, perché ognuno dovrebbe infatti conservare il diritto e il dovere di migliorare se stesso e l’ambiente strumentale e umano circostante. Di recente tuttavia affiora nell’opinione pubblica una “vulgata semplificata” che individua che il vero problema della istituzione scolastica sia quello della insostenibilità dei tagli indiscriminati ad ogni livello ,dalle strutture ,agli insegnanti alla ricerca,togliendo i diritti anche ai fanciulli portatori di handicap,i diversamente abili. Ma forse bisogna riferire ,convincentemente, che in tempi di larghezza economica si sono impostate numerose sperimentazioni ,ma pochissime sono state produttive ,sono state di esempio ed imitate da altre scuole con risultati soddisfacenti. E’ mancato soprattutto un programma di controllo e di orientamento che avrebbe dovuto garantire alle iniziative di essere valutate appropriatamente,consentendo alle migliori di essere verificate e validate in altre situazioni. In effetti,le sperimentazioni sono state molte:ogni scuola si sentiva obbligata di istituirne perché non farlo significava restare ai margini ,non considerate,di non avere fama e di non ottenere finanziamenti straordinari. Pochissime tuttavia hanno definito e pensato curricoli ed esperienze didattiche originali ed efficienti,innovando seriamente l’organizzazione,la valutazione e la comunicazione didattica. Infatti non c’è traccia di ri-strutturazioni dei contenuti ,di modalità di presentazione e comunicative ,anche informatiche, menzionabili per la loro efficienza e per la loro potenzialità di favorire l’apprendimento attivo da parte degli allievi. Nonché di promuovere la loro attitudine alla ricerca ed alla scoperta di legami tra i contenuti e le esperienze in modo che i risultati , gli apprendimenti e le applicazioni siano effettivi. Ad esempio,in un curricolo serio di lingua italiana sarebbe importante approfondire alcune fasi:disegnare delle storielle,iniziare dalla visuo -lettura,raccontare le storie proferendo le parole lentamente,quindi suddividendole per sintagmi ,integrandole in un piano semantico e cognitivo,infine completare le frasi ed i racconti con un tono di voce espressivo diverso a seconda dei significati,delle azioni e delle “atmosfere “da comunicare;nella scrittura indicare agli allievi perché e per chi si scrive,descrivere puntualmente il tempo ,il contesto, in cui i protagonisti si muovono ed agiscono ,mettendo in bocca a ciascuno di loro parole e frasi consone alle motivazioni recondite del loro agire ed alla situazione in cui si trovano. Nella scrittura per argomenti sarebbe stato utile insegnare delle strategie ,ad esempio,sottolineando alcuni aspetti strutturali ,quali:la definizione della questione o del problema principale,la considerazione che della stessa hanno le parti antagoniste,delinearne i punti a vantaggio e a sfavore,quindi dichiarare,motivandolo,il proprio punto di vista. Anche lo stile e la scelta delle parole devono essere maggiormente accurati:uno scritto ironico è diverso da uno comico o da uno drammatico o commovente. Le occasioni di scrittura comunque dovrebbero essere aumentate ,se miriamo a soddisfare la sua potenzialità cognitiva,scientifica ed umanistica. Inoltre,avremmo dovuto far imparare agli allievi anche varie strategie di scrittura piuttosto che indulgere sulla costruzione di periodi ben fatti e sulle loro relazioni. Per strategia si intende studiare dei metodi per prevedere il piano di una scrittura:ad esempio,mettere assieme le idee di un argomento,stabilire gli obiettivi dello scritto,suddivisi in obiettivi per sé,per gli altri e per gli eventuali vincoli imposti dal contenuto,strutturare quindi i concetti finalizzandoli agli scopi prefissati. Lo scritto così diventa un documento su cui discutere da vari punti di vista:semantico,sintattico, linguistico,contenutistico,espressivo e retorico,in definitiva un oggetto di confronto democratico,aperto ai miglioramenti e alle correzioni. Altrettanto rilevante è l’affinamento della modalità di prendere appunti,utilizzando disegni per esprimere emozioni o sentimenti,diagrammi ,frecce e parole per descrivere concetti e le relative relazioni. In matematica avremmo dovuto indicare, selezionare e chiarificare delle esperienze partendo dal contare,aggiungere,togliere,moltiplicare e dividere quantità ,con lo scopo di far intuire e ragionare gli allievi che i fenomeni quotidiani o naturali possono essere quantificati ,confrontati e relazionati,poiché coi numeri e i rapporti tra di essi controlleremo meglio la realtà circostante ed anche il nostro pensiero. Infatti,fatto comprendere agli allievi le particolari situazioni,che richiedono l’uso delle funzioni moltiplicative e distributive dei numeri,disegnando anche le funzioni operative,la matematica ,anche più ostica,diventa un terreno di esplorazione ,di possibilità e di probabilità con cui il pensiero può incapsulare la realtà , facilitandone la comprensione. Ad esempio,si potrebbe già dalle prime classi della primaria utilizzare il piano cartesiano per risolvere i difficili problemi delle operazioni aritmetiche .Non solo quelle additive e sottrattive ,come si è detto,ma anche quelle più ostiche della divisione e della moltiplicazione,che inserite nella struttura cartesiana sarebbero chiarificate. L’allievo opererebbe ,concretamente,vedendo e ragionando. In geometria,sarebbe utilissimo far scoprire con delle esperienze esplorative le regole per la misura dei perimetri,delle superfici o i volumi o le proporzioni tra le dimensioni il cui ragionamento essenziale è ricorsivo ,nel senso che si itera di fronte alla variabilità delle situazioni. La stessa modalità avremmo dovuto utilizzare in scienze per la scoperta dei principi e delle leggi generali che sovrintendono la spiegazione di molti fenomeni,coll’esito di favorire la intelligenza degli stessi ,le generalizzazioni,e le descrizioni generali o particolari delle somiglianze e delle differenze nonché le implicazioni tra gli stessi fenomeni. Di tutto ciò,si è fatto pochissimo,soprattutto nel settore delle sperimentazioni scientifiche , matematiche e nel filone delle lingue straniere ,tranne che per alcune esperienze eccellenti di educazione tecnologica,musicale e motoria in cui almeno si è registrata un certa vivacità. Sembra infatti che l’apparato innovativo della ricerca didattica,che comunque mai ha raggiunto la fama dei progetti innovativi esteri degli anni sessanta e settanta ,sia stato ancorato alla proliferazione di corsi e di specializzazioni con la conseguente riorganizzazione aggiuntiva di classi e di gruppi ,di tempo scolastico,piuttosto che tentare la via della didattica breve,dell’approfondimento dei contenuti delle discipline , della organizzazione funzionale ed interdisciplinare degli stessi , per garantire l’apprendimento e l’ efficienza degli interventi. Quindi,ignara di ciò che capita al di fuori dell’edificio,la scuola è ancora ferma al dilemma se è preferibile seguire ciascuno con programmi personalizzati in piccoli gruppi o se è preferibile seguire ciascun allievo entro parametri organizzativi ,che ormai sono dettati a livello europeo. Non è in discussione che la prima opzione sia la più etica se ci sono le condizioni per realizzarla,ma purtroppo, allorché i soldi scarseggiano e non c’è la possibilità di mantenere aperte delle scuole soddisfacenti , funzionali,c’è la dura necessità di apprestarne di meno ,ma più attrezzate e più spaziose,anche se le classi saranno più numerose. Non si è saputo scegliere nel momento giusto il posizionamento della rete scolastica,ognuno è stato schiavo delle vedute campanilistiche,perciò le scuole , polverizzate sul territorio,non hanno attrezzature né spazi adeguati e speciali , e sebbene dotate di alcuni di questi requisiti,sono comunque palesemente insufficienti di mirare all’eccellenza(da mettere in nota. Tuttavia,nel dopoguerra la fitta presenza delle scuole rurali o di comunità tolsero dalla servitù dell’analfabetismo una moltitudine di persone. Una costatazione per dire che ogni organizzazione, a seconda dei tempi , è soggetta a mutamento per perseguire con efficacia i propri compiti. Noi qui indichiamo il modello di uno stato fisarmonica che in base alla possibilità economica allarga o restringe la opportunità dei servizi localizzati e personalizzati,lasciando intatta la fruizione degli stessi a certe condizioni ). In ogni caso,la valutazione dell’output scolastico , dell’organizzazione e delle relazioni che in essa si producono sono molto problematiche da effettuare, per varie ragioni. Come ricordato,una è la polverizzazione delle scuole nel territorio,un’altra è la varietà delle legislazioni regionali e locali sul diritto allo studio,quindi la diversa professionalità dei docenti e dei dirigenti. Nonché la mancanza di una legge quadro nazionale sulla minima dotazione didattica delle scuole,in parte dovuta alla conclamata difesa della autonomia e della libertà di insegnamento e all’influenza dell’associazionismo professionale,editoriale e sindacale .Ciononostante,qualcosa si è deciso ,con molte titubanze,per la valutazione degli apprendimenti e delle abilità degli allievi. Prima di ritornare ai voti ,con cui si apprezza la condotta ,la padronanza e la competenza dell’allievo in una prova e la media di più voti offre il quadro della preparazione in una disciplina,si sono sperimentati almeno due sistemi valutativi. Uno descrittivo delle qualità ed uno di posizionamento delle acquisizioni dello studente. Col primo filtro si delineano tramite dei termini la padronanza ed il risultato del profitto di una disciplina ,mescolando frasi sulle qualità morali ed abilità dell’educando,mentre con il secondo la padronanza delle caratteristiche di una materia vengono collocate in una lettera dalla A alla E,in base a criteri sbiaditi,incolori, e spesso interpretati personalmente dal docente. Finora ,tutti i sistemi dimostrano delle debolezze intrinseche perché non chiariscono il peso,ad esempio,di variabili non secondarie come l’impegno,l’influenza familiare,l’iniziativa,la quantità e la qualità della padronanza , dell’abilità e della creatività con cui uno studente domina un curricolo. Inoltre,essi,per inefficienza di una dettagliata strutturazione degli obiettivi, non offrono una prognosi per orientare il recupero e lo sviluppo della sua competenza con la guida del docente. Ultimamente ,dopo gli esiti delle prove P.I.S.A.,somministrate dall’OCSE,si è istituito l’INVALSI ,un sistema di valutazione centralizzato e sperimentale,non immune da critiche anche ideologiche, con cui si testano le conoscenze degli allievi. Risultato:molte spese,ma modeste riuscite. Perciò,anche se gli enti locali e lo Stato hanno fatto molto , hanno però acquistato in generale , per motivi economici ,strumentazioni di scarsa qualità,che aggiunte ad una approssimativa cultura sul loro uso migliore ,hanno prodotto esiti indeterminati ed insoddisfacenti. Rispetto alle dichiarazioni di principio,infatti,si può invece constatare un insoddisfacente output scolastico,una marea di critiche dalla maggior parte dell’opinione pubblica e di difese corporative degli operatori,insegnanti demotivati e malpagati, scarsa aderenza della preparazione e delle abilità alle esigenze socioculturali. Default completo e non smentibile. Inoltre ,il sistema non ha funzionato come ascensore di mobilità sociale,non ha saputo cogliere e valorizzare l’intuizione e le nuove intelligenze degli studenti,promuovere il loro impegno,premiare i meritevoli ,offrire sbocchi occupazionali e facilitazioni imprenditoriali agli studenti capaci. Quindi un settore in crisi,che non ha saputo gestire il presente né prospettare e guidare il futuro. Infine ,se una ulteriore negligenza si vuole sottolineare,essa è rintracciabile nel fossato esistente tra l’organizzazione dell’apprendistato,la formazione scolastica e la struttura imprenditoriale. Non c’è stata una matura e ponderata relazione accademica né giuridica tra il mondo della scuola e quello delle imprese,tra la cultura nella impresa e l’innovazione e la vivacità imprenditoriale del giovane lavoratore, tanto che la formazione professionale è appannaggio delle Regioni ,gestita con una visione spesso localistica,schiacciata su generiche necessità territoriali ,tramite una proposta di corsi professionali standard reiterati ,con carente proiezione culturale e con scarsa previsione sullo sviluppo futuro del lavoro. Né tale attività ,sebbene sia meritevole, perché comunque meglio di niente,è tutelata o maggiormente considerata e codificata organicamente in leggi quadro più significative delle vigenti sullo scambio tra esperienza scolastica e lavorativa. Cosicché ci sono numerosi corsi per ottenere il certificato di elettricista o di parrucchiera o di barista mentre servirebbero più programmatori o esperti di nuovi materiali ,sia meccanici sia edili, o di design o sui processi di produzione o sulla sicurezza. Anche in questo problematico riassunto si scorge l’irrisolto dilemma dell’istruzione contemporanea sia nel nostro che in altri paesi:scuola che parte dalla situazione e su essa riflette e si relaziona o scuola che si avvale della situazione concreta e si promuove pensando e riformulando l’esperienza dipendente dall’intelligenza? Relazioni tra l’esperienza e la testa o tra esperienza e testa e ,ancora,testa?Dunque problemi di transizione dalla concretezza alla conoscenza e alla meta cognizione. Concretezza o semplice formalismo? L’interrogativo esprime effettivamente l’impasse di ogni riforma scolastica ,che inesorabilmente si è timidamente ritratta quando alla revisione del sistema scolastico formale,cioè la scuola del solo pensare, ha tentato di agganciare la vecchia tradizione delle arti e dei mestieri,cioè la scuola del solo fare. Se vogliamo sintetizzare la questione con uno slogan ,diremmo che siamo ancora alla ricerca di una scuola del “pensare fattivo,elaborativo,e di una scuola del “fare pensante”.Sembra,paradossalmente,che per allargare la base del diritto all’istruzione abbiamo sacrificato la opportunità di una formazione adeguata ai tempi ,e,nostro malgrado,influito sulla estensione di una preparazione lacunosa e generica dei giovani ,assoggettandoli,tranne le inevitabili eccellenze, ad un avvenire che non hanno sperato né che si meritano.
1.3-B Istituzioni in crisi:la giustizia
Altro sistema sociale in difficoltà,almeno da noi,è l’amministrazione della giustizia .Il discorso sarebbe lungo,ma lo dobbiamo abbreviare .In generale,ci sono due piani di giustizia:quella etica,e quella pratica. La prima fa parte degli archetipi e dei vincoli di qualsiasi società e i suoi principi sono universali e leggibili in ogni contesto e sodalizio umano più o meno avanzato:sono i nobili valori o gli imperativi,ad esempio,che vietano di strumentalizzare o imbrogliare il prossimo,che si definiscono come”agisci in modo che l’altro sia un fine e mai un mezzo”oppure l’amore disinteressato,gratuito, per gli uomini e per le cose di questo mondo .Questa tipologia di giustizia,quasi assoluta,assomiglia ad un noto imperativo categorico :”la legge morale dentro di me ,il cielo stellato sopra di me”,che informa i nostri comportamenti all’essere giusti ed equi piuttosto che all’apparire e alla simulazione,al dovere verso di sé,la società e gli altri piuttosto che a una eccessiva indulgenza verso il proprio io ipertrofico,egoista e narcisista oppure verso le unilateralità e le partigianerie sociali. Non è una giustizia,quindi, che valuta esclusivamente le azioni ,i fatti ,le verosimiglianze,le circostanze,le attenuanti o le colpe evidenti ,ma nel tribunale interiore,-diversamente da quello pubblico,talvolta indotto all’errore-, valuta altresì le intenzioni e le vere volontà dei singoli comportamenti .E’ la giustizia dell’affidabile e bravo cittadino. La giustizia pratica invece è l’apparato giudiziario che dirime le controversie quotidiane dei cittadini,o i loro reati,quella che si amministra nelle aule dei tribunali con giudici professionali,giudici popolari estratti a sorte ,giudici dell’accusa e delle indagini preliminari(PM e GIP).A difesa dell’imputato, di frequente,se è una persona facoltosa, c’è uno stuolo di avvocati preparatissimi nel vagliare i dettagli delle disposizioni,a sollevare questioni di competenza territoriale o vizi di natura procedurale , sono tanto preparati ed attenti,inverosimilmente meticolosi, da vanificare anche impeccabili istruttorie perché non ortodosse alle forme dei canoni giuridici. E’ risaputo che mafiosi o delinquenti-classico il riferimento agli U.S.A.,durante il proibizionismo- l’hanno scapolata sistematicamente ,l’hanno sfangata,non sono stati condannati ,utilizzando i cavilli giuridici. Nella vulgata popolare,perciò,in ogni parte del mondo,talvolta c’è un vistoso malcontento ,disagio,per le sentenze dei giudici,affermando che la legge non è inesorabilmente uguale per tutti,”dura lex sed lex”,ma proprio perché è un “artificio” umano può avere delle spiacevoli smagliature e qualche imputato,fornito di mezzi economici e sociali, è meno uguale di altri,evitando, con astuzia e l’uso di false testimonianze, eque e specifiche condanne. Pertanto ,nei confronti delle valutazioni di giudici e di giurie abbiamo un comportamento nello stesso tempo esitante e vigile perché l’esito di un processo potrebbe essere insoddisfacente ,rendendo oggettiva la considerazione che esiste ,purtroppo,un fossato talvolta incolmabile tra l’aspetto etico e quello pratico della giustizia. Nel nostro Paese,inoltre,la giustizia penale e civile soffrono di lungaggine:i processi durano moltissimo,si trascinano penosamente per anni e anni con l’esito di non essere giustizia ,ma sconcerto , amaro scontento o agra soddisfazione. Infatti nel settore civile moltissimi sono gli arretrati,che aprono la via ad un contenzioso voluminoso che ingolfa ulteriormente l’organizzazione. In generale,ad esempio,è difficile e annoso ottenere per via giudiziaria, in tempi ragionevoli, la restituzione di crediti o effettiva giustizia,per oggettivi torti o scorrettezze subite. Va un po’ meglio nel penale ,dove il reato è più evidente:c’è o non c’è. Ma anche qui è complicato avere un iter normale dei processi,soprattutto se ci relazioniamo con la gestione della giustizia di altri paesi civili. Si sa ,inoltre,che la lentezza dei procedimenti riempie le carceri di persone per molto tempo prima della pronuncia delle sentenze,col fatto che all’atto definitivo molti vengono rilasciati per aver già trascorso la pena nelle patrie galere. Oppure,peggio, perché innocenti. La situazione si aggrava maggiormente perché non si riesce ,per diversi motivi,dai burocratici ai finanziari ,fino alle indecisioni degli enti locali,a costruire delle carceri nuove,adeguate a standard accettabili di permanenza , e per questa triste condizione veniamo sanzionati dalla UE. Per queste ragioni, si innesta un meccanismo di sfiducia e di ripudio verso questa particolare ed importante “burocrazia”,che fallisce i suoi scopi costitutivi,soprattutto nell’opinione pubblica o nei singoli cittadini,sbigottiti se loro malgrado sono trascinati dentro la macchina infernale,il tritacarne della giustizia. Sospetto d’inefficienza che accomuna anche i finanziatori esteri di nostre imprese o che nel nostro Paese desidererebbero intraprendere,che,si dice, sono bloccati e ristanno in attesa sulla soglia di chissà quale rimedio. Molti si accorgono dello stato comatoso in cui versa,ma quando si inizia a parlare di rimedi tutti i poteri sembrano paralizzati. Maggioranze ed opposizioni parlamentari si riversano acide critiche di volerla destabilizzare o conservare in base a dei ragionamenti colpevolmente partigiani o momentaneamente interessati e per glissare l’impasse ,in modo trasversale,si dilaniano tra i pro ed i contro i provvedimenti di indulto e di amnistia. In ogni caso,la situazione non è accettabile né giustificabile:c’è uno stallo endemico,la politica è inerte ,incapace di innovare l’apparato giudiziario con l’implemento di nuove tecnologie e più rapide tecniche procedurali. Inoltre,c’è una evidente sfasatura tra la richiesta di cospicui fondi per far funzionare l’amministrazione in modo ottimale ,degno di un Paese civile,e l’attenzione finanziaria concessa dai governi. Le associazioni della magistratura si lamentano spesso,infatti, di questa inopportuna disattenzione ed elencano che mancano cancellieri,impiegati,manca la carta per le fotocopiatrici,scarseggiano PC veloci ed altre attrezzature,carente anche il reparto dell’archivistica. Vari i casi in cui nei fascicoli non si trovano più degli importanti e dirimenti documenti,inopinatamente smarriti,favorendo giudizi e sentenze approssimativi ed ingiusti. Talvolta manca persino la benzina per le autovetture ed i Gip non possono svolgere le indagini correlate a reati,anche gravissimi,che si perpetrano nel territorio. Per contro ,alcune forze politiche ed associazioni di cittadini criticano e ribattono che i fondi sono sufficienti,in percentuale simile ad altri paesi ,ma sono gestiti male,che non c’è una accurata organizzazione e che si fanno spese esorbitanti per le intercettazioni. Servono o non servono?Esse sono più numerose che negli Stati Uniti,nella Germania e nella Francia e comportano delle spese eccessive. Forse,si interrogano,siamo un paese di mafiosi , di furbi,di evasori e di malversatori?Problematiche che abbozzano comunque a molte riflessioni di riforma urgente. C’è una inconcludenza palese:la magistratura è autonoma nello svolgimento dei suoi compiti,ma se non li persegue forse scalfisce e corrode le origini culturali e politiche della sua stessa autonomia. Indubbiamente, perché ciò non avvenga c’è bisogno di soldi e di una efficace ristrutturazione funzionale dei ruoli,separare ad esempio le carriere del ruolo inquirente da quello giudicante,ma forse è tardi perché al momento le forze conservatrici e corporative dello status quo sono maggioritarie. Tuttavia,la chiarezza e l’autonomia reciproca delle funzioni non è solo un formalismo,bensì un fatto di trasparenza e di etica. Altro elemento di infuocato dibattito,sorgente di una ennesima divisione delle opinioni e dei commenti,è l’ipotesi di affidare alla politica la decisione delle priorità dei reati da perseguire in base a dei criteri votati dal Parlamento. Nel merito, sebbene non esistano reati la cui gravità sia classificabile politicamente a priori,perché se c’è reato non si dà qualcosa d’altro,tertium non datur,un vulnus è stato comunque inferto alla legalità delle relazioni sociali,la questione è stata immediatamente accantonata per il timore di non ledere l’autonomia magistratuale sancita dalla costituzione. Forse era opportuna una fase di approfondimento. Una strage terroristica,ad esempio,è un evento gravissimo che si impone da sé,ma è anche evidente che ci vuole una collaborazione tra i poteri dello stato,se si desidera che ognuno compia con efficacia il proprio dovere. E’ inconcepibile,perciò, il fatto che tra di essi non si definisca una forma di coordinazione efficiente per tutelare la medesima autonomia della magistratura e la medesima amministrazione della giustizia da considerazioni sociali negative. Manca il coraggio e la vigoria della politica,i partiti sono ferocemente contrapposti per la conquista del potere,incapaci di adottare misure confacenti alle necessità ineludibili del Paese,e ciò servirebbe non solo nella giustizia. Invece,neghittosità totale. Con montagne di prescrizioni,di periodiche richieste di amnistie ed indulti .Da ultimo,è sorta una violenta diatriba tra le forze partitiche ,che rispetto alle ipotesi di reato,o di indagine,riguardanti alcuni politici, si dividono in fautrici del garantismo o del giustizialismo,impedendo ai magistrati ,con una ridondante retorica,di lavorare con serena autonomia ed indipendenza di valutazione, poiché l’ambiente mediatico e sociale nonché l’influenza sul pubblico sono inquinati da una atmosfera di clamore ed esasperazione. Pertanto in un clima così teso,in fibrillazione costante,sembra che tutti,compresi i soggetti politici,temano di inoltrarsi nel terreno accidentato di una riforma della giustizia, paventando che le temporanee maggioranze politiche se ne avvantaggino o deliberino delle leggi a favore di qualcuno,immemori che un simile comportamento indubbiamente andrebbe a svantaggio di tutti e dell’universalità della giustizia. Eppure,secondo noi,basterebbe accordarsi sulla quantità e qualità delle prove da portare a giudizio per avere uno snellimento ed una accelerazione delle sentenze. Abbattendo così il copioso numero di prescrizioni. Infatti,gli avvocati della difesa come della accusa non dovrebbero redigere dei documenti superiori alle duecento pagine,di carattere dieci,di cui trenta per le documentazioni a supporto,le restanti dovrebbero succintamente contenere non più di cinque fatti a favore o contrari,gli argomenti più importanti,e fino a trenta pagine di conclusioni. Altrettanto dovrebbero fare i giudici,esigendo dalle controparti oltre alle copie cartacee anche quelle in cd da digitalizzare. Entro i suddetti limiti ,anche le eventuali successive prove fattuali,testimoniali o logico-ipotetiche ,da portare nel processo ed in giudizio. Accordatesi le parti ed i giudici sulla documentazione e le prove da valutare,entro quattro sedute in presenza della giuria popolare,i giudici in base al verdetto devono sentenziare. La procedura, in ogni caso, non lede l’autonomia della magistratura rispetto ad eventuali indirizzi generali del governo perché la legge fondamentale conserva l’obbligo di perseguire i reati. Mentre i cittadini vedono riconosciute le loro attese di una certezza del diritto , delle sanzioni e delle pene in tempi abbreviati. Inoltre,per annullare furiose discussioni sulla politicità dei membri del C.S.M. , della Corte Costituzionale o della Cassazione,selezionati un migliaio di curricoli di candidati ,in base a dei criteri trasparenti,estrarre i componenti con un sorteggio. Altre misure riformatrici sarebbero,previa razionalizzazione sul territorio delle preture e dei tribunali,la costituzione di task –force col personale risultante da tale scelta,compresi i giudici in quiescenza o fuori ruolo,per “revisionare” i processi nei diversi gradi di appello oppure per anticipare la sentenza e le motivazioni ,in base alle prove portate, di quelli in essere ,attività che garantirebbero una accelerazione dell’esito degli iter con risparmio di mezzi e con la soddisfazione degli utenti. Tra le incombenze della task force rientrerebbe pertanto anche l’annosa questione della responsabilità civile dei giudici,approfondendo con regole chiare i problemi del dolo e della colpa grave ,istituti già esistenti nel nostro ordinamento ,ma la cui efficacia non è stata finora valutata appieno. Imprescindibile,comunque,una riforma dei codici di giustizia amministrativa,di procedura civile e penale,con la riconsiderazione o depenalizzazione di alcuni reati minori ,sostituendoli con dei compensi o delle attività socialmente e culturalmente accettati e sostenibili. Tra le misure da adottare in modo sollecito,inoltre,v’è la soppressione di un grado di giudizio,-almeno nel penale-,stabilendo che il processo si strutturi in modo accusatorio anziché conservare tracce essenzialmente inquisitorie. A tal fine,le prove verrebbero selezionate esclusivamente per evidenziare una colpevolezza dedotta sia di fatto sia con logica irrefutabile. Infine,considerate le ristrettezze economiche,che non consentono la costruzione di nuove carceri sicure,riadattare le caserme dismesse col lavoro dei carcerati ,che potrebbero anche essere impiegati per le opere di difesa del territorio e , mediante dei corsi professionali, per le produzioni manifatturiere delle imprese che lì vi collocassero dei macchinari.
Ovviamente la mia riflessione è una provocazione. Ma bisogna gettare il sasso nello stagno affinché le acque si sollecitino.
1.3-C Istituzioni in crisi:la religione
Anche l’influenza organizzata o mistica delle religioni perde di intensità,non predetermina il comportamento dei cittadini affiliati o credenti,non orienta le loro psicologie e la loro attenzione verso le prescrizioni sacre,la fede non ha più una missione di fratellanza universalistica,non è una gioia di appartenenza e di testimonianza solidarizzante,ma si ritira nelle interiorità dubbiose ,che faticano a resistere alle costanti incursioni del profano .Il sacro è dominato e rappresentato dalle liturgie e dalle ritualità,una struttura pomposamente apparente,ma svuotata dell’alito rinfrescante della fede e del “credo”,per questo non riesce ad attrarre,al di là della scenografia,le menti e i cuori dei fedeli .Sebbene le celebrazioni liturgiche siano talvolta affollate, con piazze costipate e rigurgitanti di stendardi e implorazioni di miracoli o di giustizia,spazi infusi di palpabili emozioni ,i fedeli,rispettosi delle antiche prescrizioni,sono una minoranza,di più sono monaci,monache ,anacoreti e uomini e donne che resistono alle lusinghe del tempo,che vivono in preghiera in rifugi particolari:monasteri , conventi e abbazie che sono altresì mete di confortante pellegrinaggio. Con la modernizzazione,tuttavia,per paradosso ,la concreta religiosità non è più un valore ostentabile, sono di più coloro che la vivono nell’interiorità ,ma come un ‘etichetta ingombrante,di cui dimenticarsi frettolosamente nella relazione con i sentimenti e le emozioni mondane .E’ il trionfo dell’ipocrisia e dello sdoppiamento di personalità,si è religiosi verso un trascendente,e contemporaneamente non lo si è,ma per essere trend si deve amare e idolatrare il proprio corpo,la parte dimostrabile ,la pars extensa,di se stessi. E’l’esaltazione abnorme del proprio io,intessuto in una inestricabile ragnatela di narcisismo,di cura rituale e sistematica del proprio corpo,di fitness,di salutismo estremo,di new age ,di apparenza materiale. Tutto ciò è un risultato della cultura intellettualistica ed accademica di fine ottocento primi anni del novecento,quando gli intellettuali epigoni dell’illuminismo si interrogano sulla sostanza,sulla composizione dell’uomo,che per alcuni,i trionfanti,non è più un’immagine divina,quindi animata ed attratta da un finalismo escatologico e catartico,ma un semplice ed anonimo aggregato chimico-elettrico,immerso nei pregiudizi e nei condizionamenti sociali. Altisonanti e cavernose sono le grida”Dio è morto”perché è giunta l’ora del dominio della scienza positiva,che allevia le sofferenze degli uomini,li istruisce ad essere fiduciosi nello sviluppo industriale ed economico da essi edificato in assoluta solitudine. Non vi è intervento della provvidenza divina,né di una trascendenza. La scienza è altresì utilizzata ,in quel periodo, per svegliare la coscienza degli uomini dalla sonnolenza indotta dalla religione , considerata”l’oppio dei popoli”. Di fronte all’ideologia dell’amore e della solidarietà,ad esempio,predicati dal cristianesimo,il metodo storico-dialettico divide gli uomini in sfruttati e sfruttatori,produttori e consumatori, poiché la incipiente industrializzazione esige manodopera salariata ,la fabbricazione di una grande quantità di merci e di manufatti,il cambiamento degli stili e abitudini di vita,che da quel momento dipendono maggiormente dalla costituzione di mercati e dalla presenza di commercianti per acquistare e reperire le cose necessarie a vivere piuttosto che dalla preghiera,dal dono,dalla gratuità e dalla buona volontà degli uomini. Lo sfruttamento del lavoro degli operai avviene perché l’impresario tiene per sé il plus valore di ciascun oggetto,di conseguenza l’impegno dell’operaio ,che non produce esclusivamente secondo i propri bisogni come nella consuetudine passata,si attorciglia nell’alienazione. Stato,cultura egemone,nazione,leggi e costituzioni sono considerati orpelli discriminanti delle effettive condizioni materiali degli uomini inseriti in una situazione determinata. Il nuovo metodo scientifico,perciò,svela il volto oppressore del nuovo processo economico,che divide la società in classi tra loro diverse per opportunità,proprietà ed uguaglianza. Anche a seguito delle nuove teorie filosofiche ed economiche,in contrasto con quelle più morbide e neutrali della tradizione,la religione ha affievolito comunque l’intensità del proprio messaggio salvifico,una rilevante parte dei contemporanei fedeli ne utilizzano i comandamenti a piacimento ,per soddisfare epidermici e capricciosi bisogni,ad esempio,ora questo va bene e questo no, come ci si trovasse al supermercato. Ed è qui il vero vulnus alle dottrinali regole religiose,nel senso che le tradizionali indicazioni per una vita virtuosa e rispettosa dei limiti non viene più interiorizzata,il nuovo cittadino preferisce a questa complicata e difficile condotta la scelta immediata di cose e di oggetti perché concretamente gratificante. Oggi si registra una irrefrenabile corsa alla cosificazione o reificazione di tutto,perciò la religione che discorre e tratta di altro,del trascendente, fatica a penetrare nelle coscienze. Sebbene le confessioni religiose,nel passato abbiano contribuito ad abbellire le città con la” fabbrica delle cattedrali”,primo nucleo storico di una imprenditorialità consistente,espressione di una anticipata economia sociale,oppure abbiano organizzato la carità con distribuzione di cibo,vestiario ed offerto asilo a numerosi sfortunati ,ai margini del precoce sviluppo industriale,ora,che siamo nella società ricca ed affluente di beni e servizi,il loro messaggio evangelico non riesce a filtrare,considerato com’è,un discorso demodé. Bisogna risottolineare ,inoltre, che anche la religione ha una posizione travagliata , stretta nella morsa ineludibile del secolarismo e delle verità incrollabili:per un verso ,non deve cedere alle richieste sedicenti etiche o alle lusinghe relativistiche dei tempi moderni ,e deve difendere, dall’altro,le verità e i principi della sua dottrina,azioni e comportamenti che sono difficili da comprendere in un contesto in cui i praticanti,sempre meno fedeli, ne seguono esclusivamente le forme tradizionali,senza esserne convinti, essendo attratti maggiormente dai costumi e dalle sollecitazioni mondani piuttosto che da una condotta coerente con le prescrizioni della fede. Infine,questioni spinose ,in cui non serve soltanto il giudizio dottrinale,dogmatico,ma l’attenzione alle conquiste della scienza,del diritto e dell’etica contemporanei,secondo noi,sono i problemi della procreazione assistita,delle adozioni,degli staminali,dell’assistenza medica e dell’accanimento terapeutico,compreso il trattamento di fine vita,del testamento biologico,dell’aborto,dei gay ,delle coppie di fatto omo ed etero nonché del divorzio,sui quali piuttosto che l’osservanza letterale ai principi serve alla chiesa un atteggiamento di compassione e di carità nonché per tutti un richiamo alla saggezza ,con cui esercitare il proprio libero arbitrio nella responsabilità delle decisioni. C’è anche da ponderare in tempi di crisi delle vocazioni ,ma non solo,il ruolo delle donne nella gerarchia. Questo auspicato atteggiamento di carità ,di pietas o di compassione della chiesa non è un cedimento acquiescente all’impero del relativismo moderno ,troppo corrivo verso le mode e verso un individualismo acerbo,ma l’evoluto riconoscimento che accanto ai percorsi di natura ,di evoluzione biologica,l’umanità si è civilizzata anche con le vie culturali, con le scelte etiche comuni e personali. Natura e scienza,infatti, sono le effigie della storia umana. Come dire che ognuno ,ad esempio, di fronte alla morte può accettare l’esito naturale,la consunzione biologica, o acconsentire alle terapie,all’eutanasia o a trattamenti medici intensi,mentre per un matrimonio contrastato ,litigioso,per vedute dei coniugi inconciliabili,in fretta divorziare,senza pensarci, o esperire la difficile strada del perdono,della conciliazione , della rinascita dell’amore tramite la stesura di un nuovo patto e di un rinnovato progetto. Sulle suddette questioni, non ci dovrebbero essere leggi impositive o liberali, ma ognuno su tali scelte risponderà con la sua coscienza verso di sé, gli altri ,e ,se crede,verso il trascendente. Caduta ed ascesa sono l’emblema del viaggio umano,oscillazioni che sono una metafora efficiente per la psicologia,la cultura e la religione. Da ciò consegue che la Chiesa ha il diritto e il dovere di annunciare i propri principi ,di evangelizzare,che sono,nel movimentato,secolarizzato e contraddittorio mondo contemporaneo,il suo limite e la sua forza. La sua potenza deriva dal diritto alla parola e alla diffusione della buona novella,in un contesto,però, che merita riguardo per le istituzioni civili e per le libere decisioni individuali. La debolezza sua è nell’adoperarsi spesso con insufficienza,almeno nei fatti, rispetto al peccato e allo scandalo,soprattutto verso la pedofilia, la tentazione del potere e del denaro. Ne consegue che il suo mandato universale consiste nella cura di rispiritualizzare il mondo,creando un ambiente coerente al messaggio evangelico, e nella preservazione e costituzione di varie forme di legami in cielo e in terra,legami che sono espressi con armonia nella tensione delle dita che si cercano e si avvicinano sulle volte della Cappella Sistina. Di certo,l’unica protezione da esperire,l’unica clausola di garanzia, è quella che l’uomo non deve fare del male all’umanità e ai tempi della sua storia. Ecco la vera novella rivoluzionaria. Pertanto,una legge etica fondamentale dovrebbe accomunare i “poteri” che guidano l’avventura umana nel mondo:i valori dell’accoglienza e del rispetto sia verso le cose,il creato, sia verso le persone ,che,pure tra mille contraddizioni, si esprimono nella elaborata costruzione della storia. Un ambiente umano più armonioso,infatti,smusserebbe di certo comportamenti ed idee esasperati ed estremistici ,per il fatto che si eliminerebbero intenzionalmente i soprusi e le ingiustizie. Tuttavia,un minaccioso pericolo per la religione e per l’uomo,secondo noi,è la perdita graduale,ma inesorabile, delle qualità che fecero giganteggiare l’uomo nomade delle origini,cioè la perdita del sentimento di trepidazione fiduciosa e la speranza di futuro che egli possedeva quando si incamminava nella steppa desolata o nelle foreste pericolose. E’ questa carenza che ci allontana dalla felicità. Infatti ,la perdita della speranza e di altre virtù che sono alla base della religiosità,sono anche la corrosione della fiducia che l’uomo ha nei propri mezzi e nei propri racconti,generando pessimismo e incapacità di agire,di gioire , di cantare o di contrattare la sua storia che è anche,in generale, storia della religione.
Da ultimo ,merita soffermarsi su una questione che sembrava essere accantonata ,dopo un lungo periodo di secolarizzazione,vale a dire la rimonta dell’aspetto integralista della religione ,che viene strumentalizzata ed enfatizzata come elemento caratterizzante e discriminante di una identità storica e culturale ed usata contro l’immigrazione di persone di altre confessioni. Va da sé che tali atteggiamenti, quando non si fermano esclusivamente a chiedere e pretendere comportamenti di rispetto reciproci , problematizzano le relazioni sociali,acuiscono i conflitti culturali ,dividono il mondo tra fondamentalisti e democratici,alimentando una spirale di confronto e di acuta e lacerante incomprensione.
1.3-D Istituzioni in crisi:ideologia e politica(i partiti)
Estrema debolezza è rintracciabile infine nelle possenti ideologie del novecento,in auge anche nel ventesimo secolo. Marxismo,socialismo,liberalismo e riformismo cristiano democratico ,ad un primo bilancio, appaiono socialmente fallimentari:non hanno raggiunto gli obiettivi di eguaglianza di opportunità,di redistribuzione delle ricchezze prodotte,convertendole in servizi e pari opportunità per la popolazione,che i ferrei e diamantini principi degli originari apparati ideologici hanno promesso. Non si è passati dal piano ideale a quello fattuale,che,purtroppo,assieme alla economia ,alle singolari , minute decisioni e volontà individuali nonché al mercato,è risultato duramente refrattario alle riforme e lontanissimo dalle pianificazioni e dalle retoriche dei regimi e dei governi. Soprattutto per mancanza di importanti ed eque mediazioni politiche ed istituzionali. Non c’è stata l’edificazione del paradiso terrestre,ma elefantiache nomenclature accentratrici e burocratizzate, che non hanno favorito la giustizia economica e meritocratica né hanno portato l’equità nella considerazione della dignità e del valore tra gli uomini e tra i cittadini. Col tempo ,infatti,le gerarchie di comando,espresse dalle ideologie, e gli ordinamenti monolitici delle loro idee, pensati per avvantaggiare tutti i cittadini, finiscono tristemente per proteggere una sola parte,quella che partigianamente in essi si riconoscono e si identificano. Agiscono inconsciamente per riproporre una paradossale lotta di classe,non più in base alla vecchia divisione economica tra sfruttatori e subordinati,ma tra coloro che sono in o out rispetto ad un orizzonte ideologico,con delle inedite conseguenze politico e sociali. C’è una divaricazione che si allarga progressivamente,infatti, tra gli affiliati alle varie nomenclature ed il paese reale ,i semplici cittadini. Soprattutto per quel che riguarda la gestione e l’amministrazione del potere. Che per i rappresentanti delle varie ideologie sono compensate variamente con protezioni,prerogative e privilegi:siano essi posti di lavoro,stipendi,pensioni o vitalizi. Pure la visibilità è importante perché assegna una inedita gerarchia di posizioni,di gratificazioni, nel senso che gli “in” sono apprezzati dalla “storia che conta”,hanno fama mentre la maggioranza viene abbandonata alle sue ordinarie faccenduole.I politici e gli adepti a qualsiasi livello dei partiti,infatti,gestiscono l’amministrazione e assumono delle cariche nelle istituzioni,sono considerati gente attiva perché presenziano nelle riunioni di qualsiasi associazione esistente nel territorio,attorno al loro impegno si edifica una retorica sull’impegno civile e sociale ,che li porta ad essere ammirati ed emulati. Mentre per i cittadini meno “presenzialisti”ed ambiziosi,benché onesti e operosi,si erige un velo di silenzio ,rotto solo in occasione della chiamata al voto. Si instaura ,quindi ,nella corrente della pubblica opinione ,una innaturale ed insanabile frattura tra la partitocrazia ed il popolo ,tra la burocrazia politica ed un fresco ed arioso coinvolgimento,soprattutto perché le alte gerarchie dei partiti sono impermeabili alle novità organizzative e all’ingresso di nuovi aderenti ,tranne che per quelli da impiegare nel supporto di base. Ne consegue una divisione mirabile,tra il vertice illuminato e la base operativa ,che dipende da una organizzazione di fedeli sodali,di esecutori variamente idealisti, tuttavia senza considerare i principi di merito e di giustizia. Ci sono infatti i capi,la base ramificata dei partiti e i numerosi subordinati. In pieno ventunesimo secolo. Un feudalismo di ritorno con gerarchie fossilizzate. In palio l’accesso alle risorse ed alle prerogative. L’agone sociale è diventato perciò scontro politico e dialettico tra vari partiti,più o meno ideologizzati,per l’occupazione del potere e della governance del territorio. I rappresentanti eletti o nominati sembra cerchino maggiormente la propria sicurezza e soddisfazione rispetto all’interesse generale. Con il gravido effetto di allontanare la soluzione di vari problemi organizzativi ed istituzionali,quali la riforma statuale,quella del lavoro e della sicurezza sociale,del presidio dell’ambiente e della salute,dell’ascesa e della mobilità reddituale degli individui,iniziative che,peraltro,si devono collegare all’equo riconoscimento della competenza professionale ed alla sostenibilità economica della loro implementazione. In questo quadro istituzionale anomalo , agitato e assai problematico,talvolta la sedicente difesa oltranzista della purezza originaria di alcune ideologie,in nome della restaurazione di una presunta giustizia e libertà assolute,specialmente sostenuta dall’elitismo e dal radicalismo di alcuni gruppuscoli estremisti,sia di sinistra sia di destra, ha di conseguenza indirettamente eclissato queste complesse tematiche,espungendole dalla coscienza popolare. Per traboccare in episodi di feroce ed insulsa violenza. Tuttavia,il distacco con la realtà,segnalato tempestivamente dalla cronaca,almeno nei paesi occidentali,anche tramite la denuncia di questi sintomi laceranti ,somiglianti a degli spasmi spinti in superficie dalle stesse profondità delle idee,si è consumato senza scosse sociali evidenti o traumatiche ,tranne che per gli episodi cruenti di terrorismo. Comunque ,isolati e privi di consenso popolare.
Essendo intrise di partigianeria,di elitismo,le ideologie hanno quindi smarrito tutto il loro potere seduttivo,persuasivo e finanche quello operativo:non guidano più concretamente gli uomini verso finalità di libertà e di giustizia,e sbiadendo queste solide mete diminuiscono anche la suggestione ed emozione di pensare ad una utopia. Son diventate come gli altri complessi di idee,una cifra,un trend o una semplice merce nel panorama culturale,e al pari delle altre idee possono o non possono essere scelte da una maggioranza di cittadini:si trasformano lentamente in opinioni carenti di messianicità,neutrali,e sebbene ciascuna sia ordinata in un corpo unitario,articolato e sistematico,sono mescolate alla rinfusa ad altre opinioni nel circuito comunicativo e sociale. Sono oggetti tra gli oggetti. Non orientano più le persone né le confermano nelle loro intenzioni. Si è instaurato perciò un silente ed avvolgente compromesso tra il ricordato “principio di riflessività” e la ridondanza oggettuale ,entrambi espressi dalla società,e di risulta le idee svigoriscono,sbiadiscono e si spersonalizzano,diventando intercambiabili ed indistinte. Si possono scegliere le une o le altre,indifferentemente,purché siano utili od opportune alla bisogna. In questo modo,silenziosamente,si è verificata una rivoluzione del pensiero:esso non esprime più desideri e azioni chiari e distinti,per perseguire la dignità e la felicità degli uomini,non accoglie più degli adepti fedeli,che come vessilliferi ne proclamino l’ortodossia degli ideali. Come strumento direttivo o via principale per la felicità. Tradendo l’originaria dottrina delle distinzioni,infatti,il pensiero predilige o è sommerso involontariamente dai numerosi aspetti concreti e materiali della realtà. Molto più complicati della teoria. Che cosa sono oggi la destra e la sinistra?-ci si chiede con insistenza. Forse,inopinatamente, si transita dalle idee alla concretezza ed alla pratica di risolvere i problemi reali. Forse più che al mondo delle idee si guarda con disincanto alle immediate esigenze della situazione. Di ciò, qualcuno è contento,si rallegra,perché un bagno di concretezza ,secondo lui, allontana dalla inconcludente tentazione degli integralismi idealistici a vantaggio della fattività. Oggi ,al posto della vana teorizzazione astratta,o ,un gradino sottostante, dell’ideologizzare,termine declinato spregiativamente,va di moda ,infatti,un’attenzione mirata ad uno speciale pensiero pragmatico,quello che col know how scientifico e intellettuale ,tende a risolvere i problemi esistenti hic et nunc,magari anche quelli etici. Senza però-secondo noi- considerarli in una visione prospettica ad ampio raggio con gli eventuali effetti collaterali negativi. Peccato. Il tentativo di risolvere immediatamente i problemi,infatti,benché sia un buon atteggiamento tecnico,evita dal punto di vista psicologico il tempo dello studio,della durata elaborativa e dell’attesa affinché le conseguenze di una scelta si dimostrino in tutta la loro portata,con scientia e coscientia.La frenesia di risolvere è ,quindi,un comportamento che se da un lato ha allargato la mensa a milioni di individui,dall’altro ha arrecato con modalità poco appariscenti,mimetizzate e silenti,violente devastazioni di ordine morale e materiale,si consideri ad esempio gli effetti a lunga durata dell’inquinamento, dell’assuefazione alle condizioni presenti ,o,nei casi peggiori,i milioni di morti per assurde logiche di potere .La zelante ricerca di risolvere le questioni,perciò, favorisce il volontarismo,pure prigioniero ,paradossalmente, di una dottrina dell’ortodossia,che spiana d’imperio tutte le eventuali opposizioni, considerate “deviazioni” di ogni ordine e stato della realtà,sia di quella conservatrice sia di quella ipotizzabile e futuribile. Ma esso,accecato da tale ideologia,sedotto dall’aut aut, non risolve con equilibrio i problemi che ha davanti perché per fortuna la realtà è più complessa e variegata di una dottrina. Di conseguenza,per la caparbietà operativa di un atteggiamento unilaterale,esclusivo,che non accetta la realtà se non quella della propria visione,si registra il totale arretramento dei sogni,della compresenza di progetti e di idealità nonché di comportamenti plurimi generalmente etici e sostenibili. In molte attività ,di conseguenza, non c’è più slancio messianico verso un futuro migliore,nel segno dell’uguaglianza e del rispetto,conquistati con sforzo e impegno intelligenti. Non vi è qualsiasi apertura comunque attenta agli esiti sostenibili. Ovunque si nota un rassegnato adagiamento alla situazione così come si presenta e così come la leggiamo,soffuso di triste nostalgia non per le feconde storie passate,comunque da perfezionare lavorando sul welfare state,sulle possibilità,sui diritti e sui doveri, ma,paradossalmente,è una nostalgia rivolta al futuro ,alle mancate realizzazioni delle promesse. Una profezia che si concretizza in negativo. Il futuro quindi scompare dal registro della logica e delle emozioni di numerose attività umane,non è più rappresentabile,e, gradualmente,saltano le categorie intellettuali che sostengono ed hanno rafforzato,nel passato, la cultura. Scompare anche l’attenzione ai meccanismi culturali ,fin qui esperiti,per riequilibrare tutte le forze in tensione e limitare i danni di comportamenti distruttivi e aggressivi. In questo ambiente,intriso di accidia ed impotenza ,infatti,si affievolisce anche la storica dicotomia freudiana tra le strutture del dovere e quelle del piacere,nel senso che attualmente vi è una repressione psicologica e sistematica delle prime- anche del dovere etico-,che in origine inibirebbero e controllerebbero le sorgenti vitali ed istintuali dell’individuo,con la conseguenza che le tensioni dell’impegno ordinato e costante soccombono alle pulsioni delle soddisfazioni immediate,opportunistiche e fortunose. Si allarga perciò il divario tra il principio di realtà,che descrive una condizione faticosa e contraddittoria, e quello del desideri di appagamento che si crogiola nell’ immediata gratificazione. Irrazionalmente, a tutto vantaggio di quest’ultimo. Perché non ci sono limitazioni. Si registra inoltre un aggravio del dissidio interiore agli individui ,che si traduce in un rallentamento delle loro capacità di autonomia e di critica nei confronti della realtà contingente, ma soprattutto della loro capacità di progettazione e di decisione affidabile e realistica . Per spiegare meglio diremmo che ,storicamente,- come accreditato dalla letteratura-, il primitivo” io impulsivo” ,che non accetta in origine costrizioni né ordini al proprio desiderio,evolvendo finisce tuttavia per accoglierli ed integrarli in sé. Succede ciò perché la vita di per sé comporta comunque fatica,affanno oltre che gioia,quindi diventa naturale e realistico per esso accettarla con i problemi che presenta ,affrontandola con impegno responsabile e le mediazioni necessarie. Infatti, si sa per esperienza che non si può sempre avere ciò che si desidera,né si ottiene sempre ciò che si vuole. Perciò,in situazioni normali,ogni persona sa mediare tra pulsioni egoistiche e obbligazioni sociali,sa migliorare,affinare, le prime e mitigare o cambiare responsabilmente ,con l’aiuto degli altri, le avversità esterne. E tutto ciò avviene per comprensibili ragioni di equilibrio interiore ed esteriore all’individuo e per sfuggire alla distruzione(cupio dissolvi). Oggi tuttavia non è più così. Sono saltate le mediazioni e le ponderate autolimitazioni di tutte le parti in questione. Per via dell’allentamento di vincoli soggettivi e collettivi,di una “cultura” deprivata di una sostanziale autonomia e di autocorrezione,e dal fatto che sono saltate anche le elementari condizioni di garanzia. Soprattutto i principi ed i valori di libertà,autonomia,di relazione matura e di rispetto tra le persone, e tra esse e le cose,nel segno di miglioramenti,di adattamenti e di proiezioni intelligenti,previdenti e sostenibili. Nei tempi odierni,infatti,per la presenza di un clima culturale e psicologico prevalentemente ripetitivo e depresso,in una certa misura cedevole e piegato alle anemiche sollecitazioni circostanti più che attento alla costruzione di progetti di largo respiro, le strutture dell’ambiente esterno ,quelle dell’apparato politico,tecnico,burocratico,corporativo ed industriale,edificate con sapiente perizia dalla nostra storia,molto solide ed incisive sulla realtà sociale ,-benché avvertite spesso come limitative e costrittive,ed ora assai deficitarie per obesità o per gracilità-,non generano nei cittadini un sentimento di conflitto palese verso le loro incrostazioni e negligenze,un ‘insorgenza vigorosa,in cui la pubblica opinione si divida,discuta e si adiri,accetti o respinga,per reclamare comunque la restituzione di una impegnata ed avvertita dimensione prospettica e profetica, in dote ad ogni singolo individuo. Non avviene più così ,purtroppo,perché la democrazia si è imbalsamata e non coltiva la partecipazione,anzi la teme .Si è irrigidita in ritualità poco aderenti ed attente alle attese ed alle sensibilità sociali. Infatti le strutture apparse nella storia e da essa finora consolidate,come la industrializzazione,la burocratizzazione,la corporativizzazione,l’assicurazione sociale generalizzata(welfare state), constatabili empiricamente nella società, non orientano e promuovono gli individui e le classi sociali a dimostrare e a sostenere con energia una attività marcatamente riformatrice o a rivoluzionare se stesse per migliorare con giustizia ed equità le condizioni umane. Viceversa si auto producono e si ingigantiscono nel conservatorismo di una uguaglianza disuguagliante perché ,per mantenere dei privilegi,automatici e sapientemente camuffati,sono prigioniere di un universalismo irragionevole ,della matematica attuariale e dimentiche della cultura del limite. Sembra tutelino maggiormente gli occupati delle stesse istituzioni e le loro prerogative,elargite in tempi di floridezza,piuttosto che servire i cittadini fruitori. L’assuefazione silente a questa realtà,infatti, è una forza vincolante,un collante che tiene fermo il sistema,immobilizza questo sistema allo status quo,progressivamente impoverito, senza slanci,speranze e storie significative da raccontare. Purtroppo non ci sono nobili cavalieri ,come nel passato, da portare ad esempio della polis,anche la vita degli individui sembra essere senza gloria,in quanto incardinata all’interno dei processi infernali di una macchina sistemica che non concede spazio alla creatività e alla fantasia dell’individuo. Una organizzazione burocratica che tende all’asfissiante controllo di tutto,anche dei sogni e delle promesse. E i cittadini si ritirano sfibrati nel falso privato,non si accordano con altri per cambiare,trasformare ed innovare tale grigia situazione. Confinati nella propria autosufficienza,fin che dura,finché c’è almeno da mangiare e di vestirsi alla buona,dimentichi di impegno. La democrazia politica, pertanto,-doloroso affermarlo- è legata ad una ideologia levigata e suadente,una ideologia indiretta,una struttura sfuggente e sotterranea,che ci lega indissolubilmente alle “cose”,all’enorme accumulo di manufatti,di gusti,di odori,di percezioni e di stili a nostra sovrana disposizione. Di fronte e dentro alle nostre ,un tempo ,aggraziate dimore si accatastano numerose cose superflue, ingombranti,alcune anche più o meno maleodoranti. Siamo avvolti nelle spire di una condizione sorprendente ed inedita. L’epoca dei multipli, delle procedure standard e degli scarti. Un nuovo ambiente che cambia radicalmente le motivazioni,le comunicazioni ed i ruoli,in sintesi, distorce la “storia” della nostra esperienza quotidiana a contatto con le istituzioni e le produzioni. Una condizione anomala che non ci fa avvertiti,purtroppo, della minaccia di una crisi sconvolgente. Quella della incombente destrutturazione del pensiero,della cultura e del progetto individuale e collettivo. Pericolo che bisogna rimarcare e ricordare spesso. Applicando,infatti, i principi del precedente capitolo,soprattutto quello del momento di rottura e quello della ridondanza ,a causa della frequenza e numerosità con cui l’evento di inconsapevole ed automatica dipendenza dall’ambiente si riscontra,dobbiamo evincere che ci troviamo di fronte ad una situazione modificata assai rispetto a quella tradizionale ,sopra descritta, sulle interazioni generalmente asimmetriche tra gli individui e le istituzioni o a quelle generalmente simmetriche tra i pari della comunità. Si evidenzia una crisi di autorevolezza ed una mancanza di direzione da parte delle istituzioni sociali,che non riescono più a tranquillizzare i cittadini. C’è maggiore confusione ed insicurezza. Ora le relazioni tra gli adulti sono più orizzontali, non si invischiano nelle gerarchie e,giustamente,si chiede più trasparenza per i percorsi burocratici(la cultura orizzontale)(3) .La conoscenza ed il consiglio filtrano via web. Si trasforma soprattutto,come accennato, il nostro senso e sentimento sull’autorità,-di qualsiasi tipo di autorità,ad esempio anche della competenza -,che non opera più come forma importante di collante sociale. Siamo di fronte ad una rivoluzione inaspettata perché i rapporti tra gli individui e tra le istituzioni ed essi,per via della immediatezza comunicativa e della molteplicità di esperienze con cui veniamo in contatto, sono stravolti in quanto oggi siamo anche in piena e matura società dei media .Internet docet,il web trionfa. La società mediatica è onnipresente ed orienta la nostra esperienza e i nostri modi di pensare:le società piccole e grandi da essa dipendono e non c’è più la antica e marcata differenza tra piccoli centri urbani e grandi centri,che esisteva un tempo,ora la sensibilità delle persone viene modellata e lavorata allo stesso modo da una costante assuefazione ed esposizione alle modalità trasmissive dei nuovi media ,soprattutto della TV. Molti,a qualsiasi classe sociale appartengano,e dovunque abitino,possono nella società opulenta –purché abbiano un lavoro-desiderare ed acquistare una valigia o una cravatta di marca. Le distanze gerarchiche si assottigliano. La medesima relazione faccia a faccia,quella che ha formato l’individuo nei tempi passati, che era situata in un’ambientazione ben definita,ha subito una netta trasformazione,come si evidenziava sopra,nel senso che si è molto ristretta,rarefacendosi, a vantaggio della comunicazione telefonica,dilagante con tanti messaggi o con la comunicazione dei social network ed i linguaggi e le grammatiche ad essi correlati. In questo vortice,le medesime ideologie,i “credo” cui molti hanno guardato fiduciosi nel passato,vengono affrontati ed interpretati da molteplici punti di vista,forse individualistici,o che soltanto reclamano un diritto ad esserci,e per tale motivo non conservano intatta la loro rigida autorità,la loro vecchia potenza orientatrice e formatrice. A meno di confondersi ed impegolarsi con altri nuovi e generici dogmi dottrinari. Circostanza non troppo adeguata per i tempi odierni,che esigono la fioritura di nuove psicologie ,di nuove visioni,più realistiche e competitive,che impongono valori concordati,costruiti e accettati democraticamente.
Per finire,alcuni aspetti da ricordare delle ideologie. L’influsso della civiltà materiale sul cuore dottrinario originale ,oltre che a sminuire la relativa chiarezza sugli scopi e sulle finalità politiche e sociali ,comporta la scomparsa di tante visioni intermedie,calamitate verso il messaggio della nuova purezza ideologica delle tradizioni politiche principali. Ad esempio,le culture socialdemocratica,libertaria,repubblicana o quella delle compagini estremistiche si sono annacquate,migrando verso i partiti più organizzati. Tuttavia ,la perdita di tale chiarezza rende le ideologie indistinguibili. Che cos’è infatti la destra e la sinistra? Per cui oggi i cittadini si trovano a disagio nella scelta poiché sono invischiati anch’essi nella cultura secolarizzata e consumistica. In ogni modo,per ciò che riguarda la democrazia ed il rapporto delle ideologie coi cittadini rileviamo due interpretazioni maggioritarie,che definiamo “versione occidentale o orientale”,senza nulla concedere alla localizzazione geografica perché in ogni luogo e tempo,in proporzioni diverse, si ritrovano intrecciate. La prima ha maggiore tolleranza e considerazione per le richieste e le attese dei cittadini,l’altra ha una caratterizzazione direttiva ed autoritaria ,scivolando anche nella ferocia del terrorismo ideologico, del genocidio e della soppressione o limitazione degli elementari diritti civili.
1.3-E Istituzioni in crisi:la famiglia
Con la rivoluzione industriale matura ed avanzata,inoltre,le vecchie strutture parentali sono drasticamente cambiate. Infatti, la famiglia è l’istituzione che nell’occidente, durante l’ultimo secolo, ha subito importanti trasformazioni soprattutto nella interpretazione dei ruoli tradizionali,nelle relazioni di potere tra uomo e donna,tra adulti e giovani fino alle relazioni e alle preferenze sessuali o agli stili di vita di gruppo o individuale,modificazioni che progressivamente si sono formalizzate nelle legislazioni dei diversi Paesi. Come si sa,esistono infatti anche nuclei costituiti,per vari motivi, da single con o senza prole. Il modello familiare qui assunto come semplice paragone o unità di studio-essendo quindi consapevoli della grande varietà di tipologia nonché di rapporti etero ed omo delle coppie- ,a qualsiasi ceto sociale appartenga,è quello che la letteratura definisce come mononucleare:costituito da padre,madre e figli,un insieme che è il frutto dell’emblema “dell’amore romantico” ,tanto apprezzato in origine dagli studiosi perché veicolo portentoso di cambiamenti. Rispetto agli altri modelli è scelto perché in teoria produce una quantità ed una qualità di relazioni ,accettate dalla cultura popolare,superiore statisticamente alle altre forme di unione o di esercizio del ruolo parentale. Quindi più eloquente di dettagli e spunti interpretativi. Comunque sia,è dovere ricordare che tutti i modelli familiari sono funzionali e sono una parte essenziale della ”moderna società affluente” ,improntata sullo sviluppo economico ,commerciale,sulla soddisfazione personale e quindi sull’espansione dei consumi. I nuovi nuclei abitano in case singole,o in villette a schiera o in condomini,il tipo di abitazione infatti dipende dalla zona urbana in cui è ubicata ,se in città o in periferia, e dal lavoro che svolgono i genitori. Sui tetti svettano le antenne ed ogni dimora ha parcheggiati davanti le autovetture ed i motocicli. Rilevante è,quindi, la relazione funzionale tra sviluppo industriale e commerciale e l’incremento del settore edilizio residenziale. In ogni modo,ovunque risieda,la famiglia contemporanea ,sia con un genitore al lavoro sia con entrambi occupati, inevitabilmente riduce i momenti di contatto e di conversazione tra gli adulti e con i figli:ciò avviene sia per le modalità lavorative,fabbriche o uffici con orari continuati, sia per il fenomeno del pendolarismo,sia per il momento distensivo del dopolavoro ,che vede i genitori impegnati nelle faccende domestiche o intrattenuti dalla TV o dall’associazionismo .I coniugi infatti ,paradossalmente, pur essendo spesso compresenti,occupando gli stessi locali,vedendosi mentre ciascuno si muove o assolve alcune mansioni,chi legge un giornale,chi controlla le fatture delle spese,chi arranca dietro i fornelli,chi segue e controlla i figli,chi risponde al telefono,si sentono soli ed impreparati ad una plurale convivenza. Sembra che ciascuno risponda a degli impulsi interiori o a delle fantasticherie che abbisognano di essere individualisticamente appagati,quasi isolati dal contesto di relazione. Ognuno di essi ,quindi,per forza dell’abitudine e della routine,si considera come fosse uno schermo vuoto per l’altro,uno specchio irriflettente,sbiadito, quasi due persone in procinto di scambiarsi monosillabi stentati,-comprensibili,si pensa, soltanto da loro stessi-,in un gioco assimilabile al teatro dell’assurdo,in cui il conflitto è latente,la tensione delle relazioni è vibrante. Essi sono e si sentono abissalmente soli. Manca un generoso e vitale slancio giocoso,complice,che lievemente li riunisce e li consolida. Si percepisce chiaramente un orizzonte chiuso,uno scenario senza prospettiva,privo di sogni e di progetti,che elimina uno sforzo ed un dialogo ,perciò gli attori assomigliano a due galli sigillati in una gabbia,che per un po’ stanno bene,tranquilli,poi inevitabilmente si beccano ,mentre attorno al recinto i rumori si smorzano e lentamente giunge il buio. In essi prevalgono le ragioni astiose dell’egotismo piuttosto di quelle equilibrate di relazione. Il loro dialogo è reattivo alle espressioni del partner ,piuttosto che essere orientato da obiettivi e mete elaborati dalla coppia o smorzato dall’umorismo condiscendente. I coniugi dimostrano una insofferenza psicologica di stare insieme,di conversare del più e del meno,anche di banalità amene,ma utilizzano nei dialoghi micidiali tattiche destabilizzanti ,sostenute dal sarcasmo. Entrambi,inseriti in una logica conflittuale,architettano durante il dialogo domande ed osservazioni che col tempo irritano il partner,riducendo la fiducia reciproca ed il comune progetto. Il nemico da abbattere si annida,surrettiziamente, tra le mura domestiche. Ad esempio,rispetto alle difficoltà scolastiche dei figli o economiche del nucleo,si rinfacciano la scarsa attitudine agli studi delle famiglie d’origine o si rinfacciano delle spese eseguite con troppa faciloneria,senza la dovuta attenzione al budget. Il dialogo si dipana tra ironie allusive,frizzi e qualche giudizio pesante,che alimentano il disagio,la stizza e la condizione insopportabile del meno preparato alla contesa. Altre volte,quando i giochi si fanno pesanti,quando può fallire l’unione, i coniugi si ingegnano a fare delle domande per scoprire eventuali tradimenti o relazioni che uno di essi ritiene sbagliate o a suo danno. Sono domande indirette,per conoscere dei risvolti. Allora,la conversazione è punteggiata di domande tipo:”Oggi ho visto il signor Franco,ha detto che forse sarebbe passato dalle tue parti”.Poiché Franco è amico di Gianni,il commercialista di cui il marito sospetta la tresca con la compagna,la domanda che è riferita con nonchalance ,in realtà tende ad individuare trasalimenti o rimorsi nella moglie e imbarazzo nella risposta che lei si appresta a restituire. E’ la stessa tattica di cui si servono due negoziatori che intendono mascherare le loro intenzioni prima di calare le carte che risolvono la partita. Ma tali tattiche dialogiche incrementano la sofferenza e l’irritazione di stare insieme e prima o poi esse precipitano nella reciproca incomprensione ,nella irrimediabile rottura del rapporto o nel sistematico allontanamento dagli affetti,serrati nel sopito rancore della reciproca latente in- sopportabilità e del montante disprezzo. La medesima imbarazzante situazione si percepisce quando i coniugi disbrigano gli impegni domestici come preparare il desinare ,fare le pulizie o guardare la tv e rilassarsi. Qui non è il dialogo,ma l’atmosfera che è eloquente. Cibo ed aspirapolvere vengono usati con impulsiva frettolosità,per finire con rapidità una incombenza mal accettata ed appartarsi col telecomando in un’altra stanza per vedere il programma preferito od ascoltare musica in santa pace o inseguire i propri pensieri. I figli vengono abbandonati ai propri estemporanei pensieri o alle proprie attività. In tutto ciò non vi è amore per le cose fatte bene e per rasserenare la casa,ma una tattica di evasione e di distacco, un privilegiare se stessi anziché un contributo al progetto comune. Non si creano strutture di concordia emotiva,di progettualità e trepidanti attese, in cui è bene stare e crescere anche in assenza temporanea di un genitore o dei figli. La solitudine esasperata ,sebbene in presenza di tutti gli attori, è la caratteristica distintiva di molti individui,egoisticamente imbozzolati in se stessi,nonché della famiglia contemporanea, poiché essa con l’esterno ha delle relazioni prevalenti di ordine monetario o di mero scambio di beni e servizi,quindi essenzialmente utilitaristiche. Anche la partecipazione ad attività di no profit o di associazionismo possono essere delle scelte per nascondere solitudine o per trascorrere il tempo fuori casa . Diminuiscono infatti i progetti, i contatti e gli scambi etichettati come espressivi,quelli genuini , amichevoli e fraternizzanti mentre lievita la paura,il sospetto , l’aggressività e l’insicurezza. Difficile trovare oggi,ad esempio, nelle discussioni il garbo,il sostegno,la squisitezza,l’empatia,l’affettuosità,la naturalezza ,la simpatia reciproca,il sottile umorismo o ironia,un interloquire vivace,talvolta pungente , che soddisfi dal profondo ,ab imis,le emozioni ed i desideri di accettazione e di conoscenza dei comunicanti. Pertanto,difettando di queste caratteristiche,se non è autentico , genuino e adeguato, il linguaggio non può comunicare contenuti apprezzabili e non può essere squisitamente formativo ed esemplare. Aumentano i casi di disconferma o di perverso ed indiretto dileggio del partner. Di solito il nucleo si ritrova a cena,consumata frettolosamente,guardando la TV e scambiando brevi e smozzicati commenti sulle notizie di cronaca quotidiana. Raramente i genitori chiedono ai figli,se non superficialmente, come è andata a scuola o soprattutto che cosa essi abbiano fatto il pomeriggio, quali interessi od hobby seguano,quali amici frequentino,a quali associazioni sono iscritti e quali progetti intendano perseguire.Si chiacchiera del più e del meno,ognuno dice ciò che gli urge,dimostrando ciascuno il mondo di appartenenza secondo l’età,-bambini,giovani e adulti-,un contatto che si traduce in una sottile e ambigua inconciliabilità, e la comunicazione,sfilacciata,non ha un filo conduttore coinvolgente. Non è una storia. Non è una narrazione avvincente. In tale circostanza, se non vi è un mutismo completo ,perché si nota comunque uno scambio di chiacchiere,di notizie ,certamente vi è una situazione in cui ognuno recita un copione,di fatto un canovaccio burocratico ,di cui si sanno in anticipo le battute e gli interventi:per questo il dialogo è l’inferno dell’abitudine,una situazione quasi surreale e disaggregante. Tuttavia,se i figli sono un po’ tralasciati,oscurati, negli incontri conviviali,e ricerchino da soli le amicizie o gli sport da svolgere nelle ore libere dagli impegni scolastici,essi sono invece parte attiva nelle scelte degli acquisti famigliari:sono maggiormente informati degli adulti sulla autovettura o sul camper o sugli aggeggi elettronici da acquistare,su dove recarsi in vacanza ,sulle offerte delle località di villeggiatura,sull’abbigliamento da indossare e sugli abbonamenti ai media da attivare sia per approfondire le conoscenze sia per giocare nelle serate d’inverno. In questa modalità espressiva, generalizzata e riscontrabile,c’è il sintomo di un epoca in acuta crisi :malgrado la quantità abbondante di mezzi ,di cose,di status symbol,di varie possibilità,di servizi e di beni alla portata di ogni tasca,c’è infatti la riduzione patologica di qualsiasi discorso privato o pubblico a transazioni commerciali,un linguaggio a dimensione del mercato e del consumo. Non vi è spazio per un programma e per una narrazione a medio o lungo periodo,che richiedono attenzione e dedizione allo scopo nonché l’unità degli intenti famigliari ed una fiduciosa trepidazione.. Emozioni,palpitazioni interiori,sogni e prospettive,che assaporano una storia,infatti, sono risucchiati dal desiderio di subitanea gratificazione e dalla possibilità di spesa immediata ,incrementata anche ricorrendo alle crèdit card.
Le dinamiche famigliari descritte qui derivano dalla letteratura,dal teatro ,dalla cronaca e dalla psicoterapia,ed indicano gli elementi di crisi del nucleo raffrontati con le funzioni tradizionali della famiglia, tratteggiata con retorica come il luogo di affettuosità,di prospettiva e di reciproco sostegno dei suoi membri. La famiglia agiografica , quella raffigurata nei quadri famosi dei musei e delle chiese,veicola un sentimento di armonia,di dedizione serena tra i genitori e di amore verso i figli nonché l’ unità di intenti verso le minacce esterne. Ora essa potrebbe essere un nido di vipere in cui il benessere fluente nel mondo sputa il veleno ed irrompe all’interno per torturare psicologicamente i suoi membri,per aumentarne la dissociazione e lo stato di crisi. Celebra la morte del codice dell’amore romantico,favorendo la nascita tra gli adulti di rapporti di interesse e di nuove fiammate di desiderio. Quindi le conflittualità interne al nucleo,alimentate dalla ricerca della soddisfazione individuale degli adulti, potrebbero essere indotte per controllare meglio il desiderio e l’immaginario dei membri,per aumentarne la loro dipendenza dal nuovo contesto sociale,per sminuire l’autonomia della famiglia tradizionale. Infatti,paradossalmente,l’unica gigantesca dipendenza promossa dalla odierna società,è quella di far sì che tutti gli individui sciolgano i legami storici con gli altri e le cose ,definiti ingombranti e farraginosi. Tuttavia,sebbene la famiglia presenti le suddette come tante altre caratteristiche,alcune positive altre negative,essa dimostra comunque una facciata principale. Infatti,pur presentando diverse forme,gruppo ristretto o allargato, è anche il luogo dove si filtrano i messaggi contraddittori dall’esterno,un ambiente di decantazione naturale,dove si equilibrano le asperità o le deficienze della comunicazione generale e delle mode. Benché divisa , essa è anche la scena in cui i figli sono considerati dei pezzi del cuore,per cui vale la fatica di muoversi ,di stringere alleanze,di promuoverne le abilità,di far pressioni sulle istituzioni pubbliche per l’occupazione contrattata di posti di prestigio o comunque sicuri. Al di là delle regole. Il familismo con tutti i suoi strascichi destabilizzatori è duro di morire. Sia nel bene sia nel male. Poiché oltre il sostegno ed aiuto positivi,o appena al di là del limite della legalità come la questua di raccomandazioni ai potenti e alla politica,c’è anche da registrare il fenomeno del contraddittorio vincolo familistico, pericoloso e ricattatore, dei gruppi del malaffare,presenti e vigili sul territorio,come le organizzazioni di mafia,di n’drangheta e di camorra. In cui ,i figli sono utilizzati,nonostante l’età, come membri effettivi dell’attività a delinquere. Una problematica che deve essere resuscitata dalle ombre dell’omertà e di eventuali omissioni,illuminata di nuovo ,per individuare le eventuali reticenze ed inefficienze che hanno sinora accompagnato l’indirizzo politico nazionale.
Applicando gli strumenti d’indagine evidenziati in precedenza,si deduce che oggi le famiglie in crisi per separazione,divorzio o litigio,sono numerose,gli avvocati e l’assistenza sociale hanno molti casi in piedi. Forse è venuto meno il sentimento di dedizione,di dono reciproco ed anche i figli non costituiscono una remora alla rottura o un sollecito al tentativo di ricomposizione. Sarebbe opportuno far esperimentare perciò alla vita di coppia forme di autorealizzazione progettuale ,in cui gli obiettivi dei coniugi vengono rinforzati dal perseguimento di mete comuni al di fuori della cerchia famigliare,ad esempio,nel volontariato sociale o nell’associazionismo o nell’assistenza a minori trascurati,attività che dovrebbero appianare le incomprensioni e a far ritrovare l’armonia all’interno della famiglia .Cresce infatti l’insofferenza per un legame confinato alla relazione a due,sentito come asfittico e troppo chiuso,limitativo della personalità e delle vocazioni dei coniugi. Ognuno vuole interpretare la propria vita a modo suo,individualisticamente,senza cedere e senza conciliare alle regole del legame. E’ una tematica su cui è necessario riflettere sulle eventuali cause economiche e culturali e sulla evoluzione degli aspetti psicologici e politici di siffatto comportamento. Soprattutto sulle incrostazioni culturali del ruolo dei due generi relativamente ai compiti del maschio e della femmina nella coppia .Bisogna comprendere che uomo e donna sono simili in tutto,hanno uguali aspirazioni e capacità, tranne che per una funzione naturale esclusiva di quest’ultima,il parto e la cura della prole, che è una ricchezza piuttosto che un segno di debolezza .Entrambi i generi tuttavia sono impreparati a gestire le difficoltà e le incomprensioni,non hanno più la pazienza di ascoltarsi,di tollerarsi e di accordarsi, e la discussione può sfociare in insanabile conflitto. In proposito, di recente la stampa riporta episodi di brutale violenza femminicida,forse un retaggio di una resistente cultura fallocratica. Un grave aspetto che merita approfondimento prima che ci sia allarmante ed agghiacciante preoccupazione.
Infine,è da segnalare un’altra questione,inedita anch’essa e da studiare. Le coppie omosex, di entrambi i generi,benché siano di solito economicamente agiate,rispetto alle problematiche del familismo,del protezionismo,della cura ed educazione dei figli,accennate sopra, sono più o meno democratiche,orientative e rassicuranti,più o meno capaci ed avvertite delle famiglie normali ?
I figli adottivi di queste coppie sono più aggressivi ,più tranquilli,più dipendenti o meno intraprendenti di quelli delle famigli tradizionali?Che fine faranno i complessi di Edipo e di Elettra,che sorreggono la cultura occidentale?
1.3- F Tecnica,estetica ed etica
Alcune riflessioni sintetiche ed aggiuntive sulle tematiche della cultura, vissute nel quotidiano, s’impongono perciò in modo ineludibile,nelle more dell’economia di codesto saggio,dopo le precedenti analisi su alcune delle istituzioni sociali ,che ne hanno rivelato la loro criticità ed in larga parte la problematicità degli esiti evolutivi.
Si ritiene che gli uomini sin dall’antichità siano attratti dai fenomeni del divino e del mistero cui chiedere aiuto in casi di estrema necessità. I riti ed i formulari servono sia per allontanare il nemico,sia per blandirlo sia per avvicinare la pioggia o per favorire le messi abbondanti. Ad esempio,l’arco è stato una macchina in cui l’uomo convoglia la forza da lontano , per offendere o per rallegrare un torneo con la riuscita del bersaglio. Un altro tipo di invenzione,in questo caso diplomatica, fu il gigantesco cavallo di Troia con cui gli assedianti prevalsero contro le mura possenti e ben difese della città ostile. Il nemico infatti si può combattere con le armi ,con i doni, con il sortilegio ,si può isolare e disarmare con la diplomazia ,con l’inganno,con le male fatture ,con le maledizioni o manipolando con crudeltà e rabbia una statuetta a sua immagine o implorando una forza divina a suo svantaggio. Quindi tra le armi nascoste lo stregone o l’aruspice può enumerare anche l’intervento occulto di forze arcane, per influenzare l’andamento delle azioni ed auspicare ottime previsioni. Per favorire la riuscita dei presagi,si praticano cerimonie sacrificali. Suscitare ed indirizzare le forze e gli influssi è dunque una aspirazione costante dell’uomo. Forza,influenza,movimento e previsione sulle cose e sugli avvenimenti sono entità percepibili,più o meno materiali,quantificabili ,che lo hanno orientato e sostenuto nei suoi scopi.
Abbiamo constatato,in altre parti del saggio, che in un contesto socioculturale di intensa trasformazione ,le istituzioni sociali più importanti hanno depotenziato progressivamente la loro funzione e valore originari,quelle caratteristiche che hanno tenuto assieme l’identità di molteplici situazioni,siano esse gruppi piccoli o addirittura stati o semplicemente modi di vita. Ciò in sé non è ingiusto o giusto assolutamente:si sa che le cose cambiano come nel tempo muta la nostra vita. Tuttavia ,l’aspetto più appariscente è che i cambiamenti avvengono di più per l’ingresso nella civiltà dei consumi di una moltitudine di persone piuttosto che per un programmato disegno di sviluppo economico e culturale. Così l’ entrata sul proscenio di tanti individui ,reclamanti giustamente i loro diritti di elevazione sociale, di istruzione e di aspirazioni per essere maggiormente considerati,ha fatto saltare i filtri storici e giuridici delle medesime istituzioni,che,in difetto di efficaci criteri di controllo , di selezione e di meccanismi di stabilizzazione, né tecnicamente né nell’organizzazione hanno saputo accompagnare,guidare, l’accrescimento delle aspirazioni e delle conquiste della gente. C’è una creolizzazione in tutti gli aspetti della vita,un mescolamento irriducibile di tutto ciò che faceva distinzione:dai giudizi canonici ,dai gusti estetici ,dai doveri etici e finanche ai valori economici. Tale situazione in sé non è giudicabile come decadenza o come un esito inatteso dell’evoluzione sociale,ma semplicemente è il nuovo ed inedito pasticcio del mondo e della cultura globale. Avremmo preferito,col senno di poi, che lo sviluppo socio –economico avvenisse successivamente o in parallelo alle interiorizzazioni delle nuove sensibilità o gusti culturali e morali .Avremmo preferito che il bengodi di massicce quantità di cose fosse interamente capito e attentamente sorvegliato dalle persone investite di potere politico e forse avremmo guidato meglio l’intero processo dell’abbondanza,a vantaggio di una salute morale e fisica dei cittadini e di una migliore democrazia politica. Analizziamo un poco che cosa è successo. I metodi ed i principi della scienza sono ignorati ,nonostante i massicci investimenti nella scuola,dalla maggioranza delle persone. Formare ed aggiornare un personale qualificato richiede tempo e denaro,condizioni che non tutti gli Stati possiedono sia per scarsezza di mezzi sia per carenza di attitudini da parte di alcuni cittadini. Perciò la scienza è dominata ovunque da selezionati nuclei di ricercatori che ubbidiscono alle logiche dei poteri industriali,militari,farmaceutici,delle multinazionali,cui sono finalizzate anche le ricerche avanzate delle libere università. Per contro,quello che vediamo è l’esplosione della tecnica da cui dipende l’enorme fioritura industriale, la formazione di agglomerati e di città attorno ai poli industriali nonché l’intensificarsi dei traffici. Pertanto,lo sviluppo delle applicazioni tecniche all’ambito economico ha favorito la presenza di molti robot ,che alleviano la nostra fatica,ha incrementato la libertà degli individui di goderne dei frutti in piena solitudine. In ogni abitazione abbiamo numerosi macina tutto o macchine per impastare o aspirapolvere,ma se uno si guasta, di rado troviamo un artigiano che lo ripari,si possono sostituire solo le lame,di solito però lo dobbiamo sostituire per intero e pagare anche il suo smaltimento. Forse se fossero costruiti con blocchi intercambiabili,previo l’accordo delle ditte, probabilmente tutto sarebbe agevolato,sullo stesso motore si innesterebbero altre funzioni ,se una parte si rompesse sarebbe facile sostituirla .E non se ne possederebbero tanti. Invece ogni utensile o oggetto è diverso nella forma e funzione, per montarlo sono necessari viti specifiche,nonché chiavi e cacciaviti appropriati. Ad esempio,i mobili o altre cose vengono montati in casa chiavi in mano da operai specializzati .La concorrenza fa si che ognuno sia alleviato anche dalle minime fatiche e che scelga ciò che meglio gli confà. Perciò ,tutto va bene. Lo sviluppo economico ed industriale, infatti, è conseguente alla capacità della scienza di creare energia,dominare l’energia e trasportarla lontano ,di interpretare le dinamiche della relazione caldo-freddo(termodinamica),della pressione,del magnetismo e delle onde elettromagnetiche :tutto ciò ha consentito l’industrializzazione, l’occupazione,il consumo ,l’individualizzazione dei gusti ,la costruzione di molti apparecchi , la buona vita confortevole,il trasporto delle merci e dei viaggiatori,l’edificazione di nuove relazioni tra le persone,nei gruppi e nelle famiglie. Il motorino elettrico ,che è l’anima degli elettrodomestici, illustra con pienezza che cosa è diventata la tecnica nella nostra vita quotidiana. Ed è ,secondo me,anche l’emblema della nostra epoca. La scienza è diventata tecnologia e da qui l’enorme sviluppo economico ,che ha consentito un’inedita abbondanza di mezzi, di strumenti e di cibo ,almeno in alcune parti del mondo,cui non è conseguita la crescita della dimensione culturale e l’affinamento di quella morale. Nel mondo tecnico la moltiplicazione di tutte le cose regna sovrana. Se questo esito sia un bene o un male è problematico definire apriori, mentre la situazione è in fieri, sebbene, tradizionalmente, la saggezza affermi che ciascuno, nonostante l’evoluzione tecnologica, debba comunque ricordarsi almeno delle sue origini storiche. Tuttavia l’eccessivo individualismo se da un lato fa ricordare ad ognuno il suo passato e le sue recenti conquiste,dall’altro ci fa dimenticare e tralasciare il valore del collettivo e dello sfondo culturale di provenienza ,che si radica in una coscienza comunitaria. Viene meno l’ereditarietà storica ed il retaggio del ricordo. Si ingigantisce il narcisismo dell’ego piuttosto di una equilibrata biografia. Con l’atomizzazione della società e degli individui in piccoli gruppi esplodono e si ingigantiscono anche i gusti , le preferenze delle cose e dei manufatti,ma non nel segno della distinzione e della differenza, semmai in quello del possesso e del desiderio delle medesime cose ed abitudini. La differenza negli acquisti,come le cose di lusso, è in origine appannaggio prevalente dei ceti elitari ed esclusivi,di coloro che se le possono permettere, anche se poi sono acquistabili,come sempre è avvenuto nella storia,da molti. Con la tecnica e le sue regole tutti possono aspirare ad avere per sé cose ed oggetti che sono apprezzabili ,belle , gustose e sfiziose. Il gusto ed il sentimento del bello,tramite i principi e le procedure industriali,vengono portati ed estesi a tanti. In questa transizione non c’è pericolo di annacquare tale fonte di bellezza e di sensuale percezione,perché si pensa che le cose sontuose e confortevoli,storicamente appannaggio di pochissimi,siano il diritto per molti fruitori e dovere della società di offrirglieli. Infatti ,è bello e buono che tutti godano di un paesaggio incontaminato,di un panoramico squarcio di lago contornato da abeti e da scogliere fiorite,di una montagna solenne ed innevata o di una spiaggia assolata con sabbia fine e calda,è bello e buono che tutti possano viaggiare per vedere musei ,mostre ed esposizioni dell’ingegno umano e deliziarsi di città,campagne ed atmosfere diverse,esotiche,dilettevoli e dal fascino indimenticabile. Come è godibile ed è una buona circostanza beneficiare di tutti i comfort di una vita facilitata ,con cibi gustosi e vestiti dilettevoli a piacimento,alla portata di tutte le tasche ,nonché usufruire dei principali servizi che una società opulenta può offrire ai cittadini. Il male non è nella democratizzazione della ricchezza spirituale e materiale ,ma nei metodi e mezzi adoperati perché ciò avvenga. Innanzitutto si annida nella affrettata e massiva elargizione di tali beni,nella copiosa offerta che per la numerosità rende talvolta disagevole una scelta meditata e corrispondente alle effettive esigenze psicologiche ed economiche di ognuno,soprattutto il male è che per ottenere la diffusione di tutte le opportunità,si adoperano i mezzi commerciali dipendenti da un mercato,anzi spesso lo creano ,stimolando celermente la domanda di tutto l’immaginabile. Il consumo è oltre le categorie della possibilità,della immaginazione e della realtà(). E ciò non è affatto etico perché l’individuo è privato del suo discernimento per vestire i panni di un consumatore avvinto dai desideri della massa. La mercatocrazia oggi invade tutte le attività umane ,paradossalmente anche le opinioni personali o i sentimenti intimi , come gli affetti ,che hanno bisogno dell’ausilio di uno specialista o di uno psicologo perché ci si illuda di goderne o di esprimerli con esaustiva pienezza. Le frasi romantiche sulle cartine che avvolgono i cioccolatini o incise sui gioielli ne sono un esempio. Tutto va a finire nel business. Gli scrittori e gli artisti ,ad esempio,più o meno ispirati, sono inseriti in un mercato,che va alla ricerca di un pubblico e di compratori ,che sono avvicinati da agenzie specializzate come le gallerie o le librerie,che per la loro natura e scopo commerciali sono variamente sensibili all’effettivo bello artistico o letterario. Infatti,la riduzione del bello a merce e a soldi ,a bella presenza,a simbolo di gusto,determina la scelta di offrire i multipli d’arte. Cosicché le ispirazioni genuine dei cuori , delle menti e delle passioni degli artisti seguono la moda del successo venale piuttosto che essere dei canoni o delle avventure originali , inimitabili ed irriproducibili. Le opere d’arte per essere tali,per esprimere una avvincente bellezza di stile e di contenuto, devono essere viceversa irreversibili ed uniche. Solo in questo modo entrano nella storia. Però all’ombra del mercato non accade più così,le opere d’arte o i libri pregevoli diventano un investimento,un affare che si valorizza nel tempo. Ed il mercato fa di tutto perché ciò avvenga:ad esempio,si valorizza un’opera d’arte,inserendola nei cataloghi di numerose mostre affinché se ne parli e la si ricordi come un emblema di un periodo o di un orientamento artistico. C’è chi critica questa situazione ,definendola come infestata e contaminata dal denaro e dalla voglia di superficiale ostentazione. C’è chi dice che questo orizzonte aumenti il desiderio di una ricchezza vana e falsa, perciò l’arte perde le sensazioni,le atmosfere carezzevoli , le dolcezze e le tenerezze delle maternità cinquecentesche,il piacere dei drappi vellutati meravigliosamente pitturati,il rapimento dei sensi e dell’intelletto che emana dai volti delicati e sorridenti o dallo sfondo di paesaggi boscosi confusi armoniosamente tra case o piazze situati in una prospettiva inimitabile. Di contro,l’idea della riproducibilità delle opere emana un sentore di vuoto e di alterato,perde la seduzione che proviene da una opera,considerata da tutti , bella. Il vuoto e la falsità ipocrita coinvolgono anche la morale perché esprimono insoddisfazione ed una nostalgia per le cose fatte bene,fascinose,che diventano una ricerca ed una aspirazione indeterminate. Infatti ,l’esempio etico,tramandato dalla storia,stride con l’attuale palcoscenico innervato di opportunismo cinico,di bolso moralismo,deprivato di validità pedagogica e della energia di orientare una cultura. Ma il bello è anche morale? Non si può affermare con assolutezza. Il bello è una percezione che ti lascia stupefatto ed interdetto. Può ispirare sentimenti elevati. Un quadro,una scultura ,un complesso architettonico immediatamente ti colpisce e si pensa che è bello ,che suscita una incontenibile emozione:quello che ho davanti mi tocca e mi lascia immobile e rapito. Forse la mia estasi non è quella sentita da un altro o dagli altri. Pertanto un proverbio dice:non è bello ciò che è bello ,ma ciò che piace. Tale affermazione comunque è parziale,minimalista, perché mescola e confonde in un giudizio sommario le impressioni e le percezioni sensoriali, -avvertite davanti ad un opera artistica-, che non è in relazione con l’elaborazione di un canone del bello. Anche il bello infatti deve avere un ragionevole fondamento,un ideal-modello comunicabile,per essere accomunato ad altre percezioni individuali,che tramite un discorso o una sensazione condivisa rilevano la stessa bellezza di un oggetto. Il discorso o il comportamento degli spettatori in questo senso è un canone ,un disciplinare,che offre delle relazioni e degli stimoli accettabili e comprensibili all’interno di una comunicazione artistica. . Quindi la scelta se una bella opera d’arte è anche morale non dipende dal suo contenuto o stile, ma da un canone razionale di bellezza ,compreso da tutti,perché esprime un costante giudizio condiviso sia nel tempo sia con diverse sensibilità. L’accordarsi ed il comprendersi su regole che non violentano o danneggiano l’individuo e la comunità,ma li fanno sentire in armonia,infatti,è un comportamento etico.
Tuttavia in una temperie culturale che indulge alla duplicazione delle opere,il bello è per l’utile e per il godimento eccessivamente individualistico, favorito dalla riproduzione industriale dei modelli, degli stili e dei contenuti artistici. Ciononostante ,il bello non è di per sé subordinato all’utile,lo diviene se in esso subentra un mero interesse ,esterno ed alternativo alle proprie essenziali finalità. Infatti , se a grandi linee offrire il bello a molti è morale e buono ,tuttavia,senza alcuni accorgimenti,soprattutto se prevale una logica mercantilistica o egoistica, è incontrovertibile che allo stesso tempo il bello perda un po’ della sua carica evocativa originaria,sbiadisca la sua potenza suggestiva,la meraviglia immediata,e non promuova un ricco immaginario come può esprimere per contro un autentico capolavoro. Le opere d’arte infatti oltre ad estasiarti,ti insegnano, ti ammoniscono,ti coinvolgono in una tradizione e tramite tale immersione le gusti , ti soddisfi e ti compiaci. Il primo accorgimento pertanto è non far perdere all’opera d’arte il suo particolare contesto,la sua situazione unica : i ritratti di personaggi o i paesaggi arricchiti di figure ,sia di Raffaello o di altri artisti dell’umanesimo, esprimono la bellezza ed il rapimento incantato anche per un luogo o per uno scenario storico che in esse sono rappresentati. Per questo motivo l’arte va comunicata con tutte le emozioni che suscita. Per contro la possibilità di duplicare ad libitum un’opera corrompe il suo messaggio originario,e confonde il piano artistico con quello pseudo-etico,nel senso che il discorso dell’arte non è più il bello celebrativo o virtuoso in sé e per sé,una manifestazione da contemplare e da cui apprendere,ma assolve allo scopo di gratificare il piacere di un possesso sfizioso ,capriccioso,considerata la facilità con cui si acquista. Tale procedura inoltre ci rende immuni da qualsiasi sforzo di comprensione dei tempi e dei modi di esecuzione di un’opera,che non siano quelli veloci della tecnica che li riproduce. E destoricizza e svalorizza l’emozione artistica originaria. Pertanto ,anche se non ce ne accorgiamo, tra l’esposizione di un opera in un museo,in cui molti ne fruiscano,e il custodirla gelosamente in casa per il personale godimento, solipsistico, si verifica un comportamento poco consono alla promozione del bello e più simile al gretto utilitarismo.
Il processo che è avvenuto nella scienza,in cui la tecnica ha iper-funzionalizzato il mondo dell’esperienza scientifica,con una presenza inflazionata e coinvolgente di “oggetti-macchina”,si ripete ora nell’arte ,in cui la tecnica domina la luce ,il colore ,le forme ed i materiali affinché la nostra vita sia in sintonia con i mondi trasfigurati e scomposti dall’avvertimento del rapido cambiamento. Nella nostra società dei consumi,infatti,il bello può essere considerato come un inedito sensazionale: una raffigurazione,un particolare o una atmosfera semplicemente sorprendenti ed attraenti. Il bello di un’opera d’arte può essere infatti rappresentato da una riga di aspirapolvere di uguale o diversa altezza su uno sfondo cangiante e policromo o semplicemente da una coda ,una fila di diligenti persone,in attesa di entrare in una sala. In questi casi viene fotografata e dipinta una situazione che ci appartiene o che sperimentiamo ogni giorno,in cui la nostra attenzione viene focalizzata sui dettagli ,facendoci assaporare sensazioni di pulito o l’ atteggiamento di una scelta, in un caso, e di attesa disciplinata e paziente, nell’altro. L’arte sono le situazioni,le azioni,i colori ed i pensieri ad essa collegati,da essa ritratti e scoperti,benché non siano grandiosi e celebrativi. Rispetto alla tradizionale, l’arte contemporanea ha questi scopi:1)destruttura la potenza evocatrice,celebrativa ,encomiastica del “grande” ,dell’arte che narra l’antico mondo nutrito di virtù , di inganno e di affanno. Frammenta e divide la pienezza delle forme ,dei colori e della luce,fa immaginare una “realtà altra e nascosta” rispetto al realismo studiato,imponente e composto dei classici;2)descrive situazioni normali,con gli occhi ,le azioni e le narrazioni della nuova realtà trasformata,ricca di presagi (vibrazioni)più che di constatazioni estatiche;3)l’attenzione si posa su dei dettagli(può essere un occhio gigantesco,distaccato, in un volto deformato,la testa di un toro,una figura policroma eseguita pazientemente con una miriade di puntini luminosi adatti a catturare la luce ,forme geometriche a somiglianza di persone,ecc.) ,che vengono narrati,espansi,senza retorica,con modalità essenziale per dichiarare sensazioni,situazioni e pensieri reconditi. Parla per similitudini e stilizzazioni primitive ed ingenue della realtà e della esperienza. La diversità tra il classicismo accademico, che è la narrazione di una situazione o di uno spaccato di vita o di un racconto ,sontuosamente ammanierato ,e la descrizione dei dettagli sensazionali dell’arte contemporanea risiede nella importanza assegnata al particolare,inserito tra altri particolari di sfondo. Mentre il primo descrive un quadro di vita o una storia ,rivisitati dalla allegoria,comunque dedotti dalla tradizione o dalla mitologia,in cui il particolare accurato è inserito nell’insieme e ne fa parte,il secondo si sofferma esclusivamente su dettagli espressivi di una situazione,che divengono l’emblema della medesima. La forma e il colore della prima esperienza sono in funzione del messaggio che l’opera intende offrire ,costruendo il complesso pittorico con un significato chiaro e leggibile; nella seconda esperienza le forme,le disposizioni delle cose,dei soggetti e dei colori esprimono delle sensazioni e dei significati da ricostruire in modo personale. Il primo filone artistico ha uno scopo celebrativo e pedagogico(vedasi i ritratti dei grandi personaggi o le vicende delle grandi famiglie o la rappresentazione del sacro…);il secondo ha lo scopo di riprendere,osservare un dettaglio della nuova società coeva,che riferisce le inedite sensazioni ed inquietudini provate dai soggetti di fronte alla modernità(un grande incrocio,una fabbrica,un tram,degli oggetti frammentati ,ingranaggi,forme astratte al posto di figure…vibrazioni interiori di un oscuro incombente).In sintesi,l’oggettività dei fatti e delle narrazioni dirimpetto alla soggettività delle interpretazioni:la chiarezza da un lato e l’incertezza inquieta dall’altra. Quindi,si può dire che l’arte classica esalti il gusto per la perfezione e lo studio accurato delle rappresentazioni, esprimendosi nella piena maturità delle tecniche e dei colori,mentre l’arte contemporanea,soprattutto la pittura,predilige comunicare delle forme stilizzate,scomposte o evanescenti,in perenne sperimentazione su uno sfondo di masse policrome.
Nell’esasperato clima mercantilistico dei nostri tempi,l’etica perde i suoi connotati di guida,di valutazione nonché gli ideali del dover essere,che per secoli hanno accompagnato le vicende umane ,per calzare i panni di uno strisciante ed endemico relativismo,anzi essa diventa come un abito che si indossa in base alla stagione e perde quell’insostituibile carattere di costanza e di validità ,capace di rassicurare ed orientare le persone in un consesso comune .L’etica non è più il valore coagulante di una comunità,di una cultura e di una società,ma diventa un sistema aperto e fluido di valori, in cui può starci benissimo anche il “credo” di ciascuno,o di una parte di individui,per giustificare o legittimare le più disparate condotte con l’uso strumentale che se ne fa. In tale situazione non esiste la morale,ma una congerie di visioni, che incrementano l’apparato interpretativo e leggittimatore delle stesse piuttosto che l’ortodossia di una sola storia e di una sola valutazione. I canoni etici delle dottrine o delle narrazioni tradizionali,in questa forzata compresenza,comunque vengono meno e corrose. La galassia ermeneutica è ,infatti,una presenza sociale lacerante,che spesso soggiace al capriccio delle nuove divinità laiciste di mammona,del subitaneo successo,della ricchezza da ricercare tramite inedite scorciatoie oppure dell’uso generalizzato della blandizia, dell’inganno ,dell’astuzia e della forza:comportamenti che attraversano largamente la società,che non preoccupano e che, inspiegabilmente, non suscitano sdegno o atteggiamenti di critica e di rigetto. Anche la legalità di frequente soggiace alle spinte organizzate e latenti dei potenti o alla spicciola e meschina furbizia degli opportunisti. Una sintomatica convalida della problematica odierna ,pertanto,potrebbe essere la favola del lupo ,che pur essendo a monte dice all’agnello di scansarsi dal suo posto,se non vuole essere attaccato,poiché gli intorbidisce l’acqua. L’etica perciò da prescrizione impegnata e faticosa verso una vita perfettibile,da viaggio che esperimenta il sapore contradditorio e positivo della vita,che è comunque tensione al miglioramento e alla concordia, diventa esclusivamente un volubile strumento per comprendere e giustificare ciò che si fa. E’ una fonte fanciullesca di costante legittimazione e giustificazione di molteplici scelte e comportamenti individuali. Perciò scivola verso qualcosa di improprio,incapace di giocare in un mondo di regole,è una forma di relativismo compiacente ai desideri sovrani dell’individuo,che talvolta corrodono irrefrenabili,smodati ,le stesse radici della convivenza sociale.
Tuttavia,di per sé il pluralismo delle visioni non sarebbe un male perché arricchirebbe la varietà delle posizioni sociali,confrontandole e di esse nutrendosi,lo diventa quando entra in conflitto o rifiuta o trasgredisce con violenza autoreferenziale le regole concordate in un particolare contesto. In ogni caso,l’ansioso soggettivismo dei possessi, dei desideri e ,talvolta,dei capricci, alimentato dalla tecnica e dalla organizzazione mercantile ,può essere per tutti noi un serio problema. Perché ha una visione titanica,gigantesca, dei processi,degli sviluppi e degli scopi delle cose,confondendo il piano della concretezza ponderabile con quello irrealistico della illimitatezza.
1.4-Il linguaggio dei consumi
La cultura del multiplo ed il consumismo si alimentano perciò anche nei banali discorsi familiari,oltre che nelle varie occasioni di parlare nelle diverse situazioni,perché il linguaggio utilizzato è un rincorrersi di opportunità o meno di nuovi acquisti ,di possedere qualcosa di meglio o di più sofisticato rispetto alle ostentazioni dei vicini, in modo di apparire e di considerarsi più alla “page”,più adatti ai tempi e di riuscire meglio in un eventuale confronto con essi. I discorsi ,anche familiari,-ma il sintomo riguarda la comunicazione sociale più generale-,sono improntati alle categorie dell’ostentazione superficiale,dell’avere,del possesso quantitativo di beni,stimolando i desideri di acquisto per il benessere o per maggior autosufficienza individuale,piuttosto che invitare alla amichevole convivialità ,piuttosto che invogliare le persone ad auto promuoversi col dialogo formativo,indirizzandole con un ragionevole percorso verso alcune idealità,come lo studio,gli impegni sportivi ,sociali, o semplicemente a credere e lottare per una comunità più giusta e più equa. I discorsi sono semplici e chiari perché le cose da desiderare ed acquistare devono essere facilmente alla portata di mano. Quindi ,la retorica della semplicità inibisce la riflessione e lo scavo di reconditi significati. Oppure si discute sulle notizie dei media,che sono sintetiche,e quando vengono replicate con insistenza diventano la dura realtà,che non si può schivare e che monopolizza l’attenzione. Infatti,le notizie “martellate” agiscono sui fruitori come degli spot Tv e ,paradossalmente,anziché favorire un dialogo meditato,delle apprezzabili considerazioni, trascinano gli interessi degli ascoltatori verso i contenuti di quei messaggi. Le parole incarnano il desiderio delle cose e le loro idee,quello che vogliono esprimere. Così il linguaggio diventa monocorde,privo di personalità e di anima,sofferente di compassione verso sé stessi e verso gli altri,perde alcune rilevanti funzioni di relazione,si oggettivizza,è una cosa come le altre, una sequela di inerti parole ,inserite in una cifra unidimensionale,la unilingua, con un lessico povero e standardizzato. E riducendosi ad una unilingua,ad una generica etichetta esteriore delle cose e delle situazioni,perde tutto lo spessore della ricerca e della soddisfazione della parola adatta, umilia il significato di una ricca realtà,compresente ed articolata, che in questo modo si dilegua e si confonde nel gigantesco processo della” reificazione”.Cosa tra le cose,il linguaggio standard è facilmente manipolabile ,trasformabile e strumentalizzabile , poiché per modificare o riorientare i naturali processi cognitivi del singolo,dipendenti dal contesto, è sufficiente intervenire con forme comunicative ed un vocabolario più o meno nuovi ,o ridondanti ,nei meccanismi innati e imitativi del medesimo linguaggio.Inserire in essi degli elementi nuovi,delle parole chiave, per far scattare delle associazioni,come in uno schema causa-effetto,inviare nuove cose ed altre ancora come se la mente fosse un vaso da riempire.Anche per questo continuo lavaggio del cervello ,o sistematico impoverimento,il linguaggio di un soggetto non esprime e comunica, con consapevole e composta efficacia ,ciò che sente e desidera in quanto il sentimento e il desiderio sono quello che esige ,vuole ,sceglie ed in sostanza è ,l’ambiente circostante. Nei supermercati ,nei tram,ad esempio,si sentono battute ,chiaramente tratte dalla pubblicità,come “risparmioso”,”carinissimo”,”entusiasticoso”,”facilmaneggioso”,”ipersfizioso”,”spesintellingentona”,”superfichissimo”,ecc…Espressioni che,inevitabilmente,per la novità lessicale,derivata dalla aggregazione e disgiunzione di singole parole,provocano negli utenti un sentimento misto di irritazione e di curiosa ammirazione,il cui effetto è quanto mai stimolante per interiorizzare uno spensierato ed accattivante stile acquisitivo. Infatti,riducendo ai minimi termini la coreografia dei video,sintetizzando l’analisi semantica delle immagini televisive,l’irritazione avvertita si muove contro l’abitudine anteriore ,che deve essere forzatamente e velocemente rimossa, mentre l’apprezzamento è per incentivare i nuovi acquisti e per consolidare il nuovo comportamento appetitivo. Oggetti e parole sono dei nuovi status symbol.Si transita dal primo logico dubbio allo stupore compiaciuto e gustoso ,-a causa della stranezza di queste inusitate ,evocatrici, ibride e mal assortite parole ed immagini-,alla sollecitazione indiretta di una primitiva curiosità,allo sfrigolio erotico ,sensuale e palpabile, che emana dalla “cosa”pubblicizzata,che diventa in seguito alla alchimistica trasformazione percettiva e sensitiva, un oggetto di desiderio. Pertanto,una delle principali strategie economiche del marketing è indubbiamente “l’inquinamento linguistico” dell’universo comunicativo,emotivo e sociale in cui l’iniziativa si svolge.
Per corroborare la nostra riflessione,per penetrare nella logica pubblicitaria leggiamo ed interpretiamo alcuni messaggi . Partendo da quelli che ricordiamo e che da adolescenti ci hanno colpito. Ad esempio,i video “ava come lava”,la brillantina più splendente che c’è,il tenente che smaschera i delinquenti o Miguel del caffè. Ebbene ,dietro ciascuno di essi c’è il legame con una storia che ha influito sulla cultura,sull’immaginazione e sull’attrattiva della nostra infanzia. Calimero, già nero, che gioca con altri pulcini lo diventa di più ,ma dopo il lavaggio si spera o si immagina diventi lindo e pulito. Lo stempiato e pelato sponsor della brillantina diventa più attraente,l’indolente Miguel sorseggiato la bevanda energetica diventa più alacre ,svelto ed attivo,le ragazze lo guardano, ed esclama “son sempre mi”,l’investigatore che risolve un delitto indossa un abbigliamento ammirevole e fa innamorare l’avvenente fanciulla….Dietro i primi due video c’è la fiaba del rospo che diventa per sortilegio,dopo la prova,un bellissimo principe,fiaba che molti nella loro infanzia hanno letto o ascoltato prima di addormentarsi. Mentre dietro le altre due sta l’eroe che sveglia magicamente la bella addormentata,dopo l’utilizzo di un oggetto,di un abbigliamento particolare o dopo aver bevuto il caffè. Quindi l’oggetto che si pubblicizza trasforma la grigia ,oscura ,noiosa, nera realtà in qualcosa di nuovo ,di bello ed appetibile.
Anche dietro i recentissimi video-spot ci sono dei concetti che ci spaventano o che risolvono una nostra impasse di ordine psicologico o operativo. Sono più raffinati dei precedenti,gli arcaici,perché usano delle sensazioni di ansia,di terrore o di attesa , che ordinariamente avvertiamo almeno una volta nella nostra vita ,ma che rimangono impressi nel cervello,risvegliando emozioni ancestrali. Descrivo a memoria .Una velocissima discesa dal cielo di un motore,alcuni paracadutisti che montano una autovettura mentre il vuoto,esasperato dalla musica,si fa più intenso,asfissiante,il suolo che si avvicina,”ce la fanno o si schiantano?”, manca poco all’impatto,le operazioni sono febbrili,poi l’autovettura appare splendente su una gigante pista di skeet bord,pronta per essere posseduta e guidata. Ok,il miracolo è avvenuto. L’ansia e la paura si sciolgono nella tranquillità di viaggiare con quel portento altamente tecnologico. Simile a questo è il video del tunnel,che è l’imbuto oscuro per antonomasia : vi entra un ammasso di ferraglia,intanto la musica accompagna il viaggio sotterraneo,e dopo varie contorsioni come l’acqua nei tubi,ne esce una provvidenziale autovettura. Altri casi emblematici sono gli spot che fanno leva sulla nostra predisposizione naturale alla discussione ,alla attenzione per l’inusitato,per la meraviglia e per l’indefinitezza di una circostanza che,per tranquillizzarci, deve essere ovviamente risolta. Richiamano di solito dei rumori onomatopeici,riferiti alle cose da sponsorizzare,Wrrom-Wrrom(autoveicoli),Auhu-Auhu(cibo per animali),che incasellati in un dialogo,”erano le sei,no le diciassette e venti,era là,no in piazza”sciolgono il mistero e l’incertezza del momento quando la “cosa”-qualsiasi essa sia- appare con tutta la sua nitidezza,oggettivamente, alla portata di mano e di tasca. Gli spot perciò devono farci parlare e sognare per conseguire i propri obiettivi. Oppure ci devono rassicurare e rasserenare,anche tramite il linguaggio universale della musica, in previsione della certezza d’acquisto.
La pubblicità a mezzo della stampa ,che non si avvale della parola orale e del suono,usa immagini che suscitano sfondi culturali ben conosciuti,tranquillizzanti o accattivanti, e scritti che esprimono con sintetica efficacia e con cura i sentimenti ed i pensieri che si vogliono esaltare. Dipende da cosa promuove e sponsorizza. Ad esempio,una tisana,delle creme di bellezza ,un profumo ,ecc.,sono veicolate da immagini di donne in incipiente maternità o colte in una timida nudità ,che evocano i sentimenti e le sensazioni dei quadri muliebri o delle famose maternità dei pittori. Quindi sono racconti che nascono dalla cultura e dalle arti,depositati in noi dai tempi antichi. Lo stile dell’abbigliamento invece viene promosso tramite donne ed uomini dal tratto volitivo ,quasi certi che i loro accessori facciano la differenza come la tenacia con cui ci dicono di ottenere i loro obiettivi. Sono silhouette armoniose ed attraenti che emanano autonomia,vigore,determinazione e sicurezza,qualità desiderate da molti. Gli stessi valori di autonomia,attività e creatività sponsorizzano le immagini di uomini che governano barche od aerei e che si rassicurano indossando orologi famosi o che si tranquillizzano dopo un sorso di bevande rinomate come i digestivi o i liquori.
Per ciò che riguarda la pubblicità delle newco,imprese che studiano e progettano i processi di realizzazione delle ultime novità tecnologiche,quali le infrastrutture civili e digitali,opere che abbisognano di notevoli finanziamenti pubblici e privati,le società in concorrenza affittano intere pagine della stampa quotidiana o periodica dove indicano i vantaggi della loro proposta logistica,descrivendo minuziosamente le qualità tecniche,l’aiuto che esse possono offrire ai governanti e soprattutto la filosofia retrostante alla innovazione di intelligente processamento dei dati. Che è la conoscenza preventiva di ciò che può succedere e di come si svilupperebbe una comunità se vengono assunte determinate scelte di governance sul territorio. Ad esempio,una strada o un ‘urbanizzazione collocate in un posto ,perché così richiedono la normativa attuale , le scelte progettuali e le pressioni delle lobby, potrebbero in futuro causare allagamenti o inquinamento,quindi rischio e insalubrità, se altrove altre città hanno già fatto o effettueranno delle scelte analoghe, con la medesima logica. In genere, sono ditte che si affacciano per la prima volta nel mercato,sono quotate in borsa ed assumono nei progetti dei comportamenti razionali per prevenire gli impatti negativi o gli interventi successivi sulle opere realizzate, in base allo studio meticoloso sulle serie statistiche dei dati e sugli scopi delle attività. L’obiettivo del loro impegno è la razionalizzazione di qualsiasi intervento o procedura pubblica o privata per evitare sprechi,corruzione, con una visione generale, efficiente e proattiva delle azioni e delle scelte ,che sottostanno alle varie politiche. Un esempio banale ,che dimostra la loro importante funzione ,prima della realizzazione di qualsiasi attività,è offerto dal fatto che la loro strategia operativa ,più analitica e previdente delle consuete, può evitare per un lungo periodo che si ribuchino le strade ed i marciapiedi per sistemare cavi elettrici,telefonici ,di fibra ottica o una rete fognaria. Oppure che si localizzino opifici in siti cruciali e sensibili,in cui i successivi rimedi comporterebbero dei costi sociali ed economici elevatissimi. Di solito ,sono comunicazioni asciutte che indicano soluzioni economiche ed efficienti su problematiche di servizi vari ,molto sentite dagli amministratori e dalla cittadinanza. Rispondono alle seguenti domande:perché fare questa scelta e quest’opera,quali sono i bisogni sociali,qual è la situazione ed il quadro generale di contesto,che relazioni hanno con altri quadri di riferimento vicini e lontani,quali le molteplici conseguenze comprese l’evoluzione dei bisogni e delle sensibilità sociali,come procedere,che risparmi immediati e futuri contabilizzare?
Ogni tipologia di marketing,in sintesi,si prefigge di cambiare con carezzevole e suadente leggerezza i comportamenti e le abitudini di vita degli individui e delle collettività,servendosi di tutta la gamma della conoscenza psicologica ,linguistica e storico-culturale veicolate dalla comunicazione sociale. Ad esempio,conoscendo che l’opinione comune ritiene che le clausole più problematiche di un qualsiasi contratto sono scritte in piccolino,alcuni spot di “manufatti” scrivono in caratteri minuti nelle didascalie di coda la data di scadenza di una promozione eccezionale. E’ uno stratagemma per invogliarne ed accelerarne l’acquisto.
Ciò che intendiamo qui dire è che,comunque, dietro ad ogni pubblicità c’è una sapiente regia che studia ed analizza i valori e le idee degli uomini contemporanei,potenziali acquirenti,e che per questo devono essere tratteggiati con precisione affinché si possa vendere ciò che viene prodotto. Anche la costruzione di nuovi bisogni,sia una saponetta,una moto,una vacanza o un cibo surgelato,devono essere studiati con cura per essere agganciati ai valori ed ai comportamenti abituali dei clienti. Per perseguire tali obiettivi di solito ci si avvale di valori ,di “eroi”,di sfondi culturali gratificanti e rassicuranti come le idee di forza(mastro lindo),di coraggio,di avventura(il fashion), di autonomia, i confini del mondo raggiunti di corsa(pneumatici ),il sogno,la volontà di farsi da sé,lo stare insieme ,la rassicurazione,il desiderio di aggregarsi,di farsi accettare in comunità,di distinguersi per precisione,affidabilità e competenza. Nella pubblicità si valorizzano, perciò ,il desiderio e l’aspirazione di considerazione,di serenità vincente ,aspetti che rifiutano e sciolgono la contraddizione ed il conflitto logico,emotivo, sentimentale e valoriale. Perciò accettiamo che il pulito sia pubblicizzato da uno sgorbio di pulcino nero o che la tranquillità del viaggio sia espressa da un cane a sei zampe o che la certezza e l’affidabilità siano certificati da un orologio di marca.
1-5-Il moloch trasformatore
Valori,gusti,parole,sentimenti,immaginazione:tutto è sistema,noi con le nostre azioni e scelte lo vitalizziamo. Sia facendo esclusivamente i nostri interessi sia quelli di una qualsiasi gerarchia(4)(Von Bertalanfy). In tutto questo automatismo di feed-back,in cui operano i principi ricordati(riflessività,orientamento,…),muta considerevolmente la nostra esperienza di autonomia, di libertà e di attività. Questo cambiamento è cruciale,poiché l’uomo non è solo pane, ma anche libero pensiero. Se è vero che la società industriale ha portato occupazione e i servizi essenziali del welfare maturo come la scuola ,sussidi estesi e la salute,è altrettanto oggettivo che ha portato conformismo alle idee organizzative dominanti. Ha alleviato le fatiche materiali della nostra continua ricerca di sicurezza,ma ha allentato tramite i suoi automatismi anche la nostra prudenza e la nostra attività critica.
Questa è una contraddizione insieme logica e naturale da cui nascono vari problemi con cui la cultura contemporanea deve fare i conti. La condizione odierna,infatti, si deve misurare con l’origine antropologica di codeste questioni poiché l’uomo è per natura portato a sperimentare,a viaggiare con la mente ed il corpo,a passare attraverso la paura,la soddisfazione ed il gusto della caccia. Fuori di metafora:egli vuole essere autonomo,libero ed un sagace avventuriero. Per questo motivo studia le sue catene,”le dipendenze”,e progetta delle strategie,talvolta vincenti, di resistenza e di ritirata. Che sono tutti comportamenti naturali ed intelligenti per tutelare se stesso,chiarire i rapporti con le rigidità del sistema,allentarne la morsa ,considerare con attenzione i propri limiti di adattamento. Ad esempio,tra le “dipendenze” si annovera un dissidio palese tra le aspirazioni , l’autonomia dell’individuo ed i suoi molteplici obblighi verso la storia del contesto nonché rispetto i compiti della burocrazia in cui è inserito. Così un impiegato può fare bene il passacarte,può ordinare con metodo la sua scrivania,leggere e verificare le pratiche,ma nel contempo la sua condotta può essere condizionata dai suoi affari personali. Un viaggio,un acquisto,un desiderio possono disturbare effettivamente l’obbligo che ha verso l’ufficio o il lavoro o i doveri che ciascuno ha verso la comunità sociale. Se un tempo gli operai soffrivano di disadattamento per la sindrome di sradicamento dai villaggi,ora ,che siamo nel welfare maturo,il desiderio di fare i propri affari ,di avere i propri pensieri e di avere più autonomia o tranquillità può allentare gli obblighi che le persone hanno verso la società. Penuria ed abbondanza sia di condizioni sia di qualità delle opportunità hanno gli stessi effetti di disadattamento,nel senso che chi ha bisogno di lavoro affronta fatiche e scompensi mentre chi ce l’ha sicuro desidera evadere e vuole più libertà. Ad osservare con accuratezza,infatti,entrambe le situazioni sono fonte di disagio più o meno mascherato.
Tuttavia,il controllo sistemico avviene in maniera suadente e carezzevole. Non erige patiboli contro gli eretici,ma li invoglia ad incrementare i bisogni di consumo. Che sono vari,sia di ordine materiale come l’abbondanza di cose sia sociali come i servizi di ampia gamma ,tra cui anche quelli di sfoggiare in pubblico ,per compiacimento, i mezzi acquistati ,sia i bisogni psicologici,che offrono la soddisfazione a ciascuno di essere trascinati in una situazione confortevole,tra cui la buona vita,lo stipendio assicurato ,il divertimento, la considerazione di sé ed un senso generale di appagamento. Per contro,pochissimi si interrogano come mai possediamo quattro televisori,due lavatrici ed altri multipli di aggeggi sofisticati,sebbene di marca e di prezzi diversi. L’accumulo materiale,si dice,avvantaggia la concorrenza, il merito ed il valore sia tra le persone sia tra le cose. Chi ha stipendi e ricchezza elevati acquista anche di più,inoltre compera cose e servizi di pregio e di qualità.
La lenta e progressiva invasione delle menti e delle emozioni si evidenzia,inoltre, con la colonizzazione della lingua , del pensiero, e con il massiccio impoverimento dei vernacoli e delle consuetudini locali. Infatti ,le modalità comunicative,soprattutto quelle dei media ,distruggono le culture precedenti,creano inedite dipendenze dalla scenografia dei nuovi ambienti e,al contempo,fanno esplodere laceranti dissociazioni con le vecchie abitudini e stili di vita. Le nuove costruzioni esigono obbedienza ai nuovi vincoli e ai nuovi “credo”e non ammettono “frizioni”,che sarebbero inequivocabilmente limate. Avvenne così anche con la costituzione degli Stati nazionali,nel cui processo forzato si stabilì l’equazione lingua ,nazione, identità e potere. Il dominio sulla lingua pertanto concentra ora il potere nelle mani dei padroni dell’economia , del commercio e della cultura, favorisce l’edificazione di una società consumistica,omologando e generalizzando desideri,gusti e stili. L’incremento degli appetiti acquisitivi avviene tramite il processo di standardizzazione con il quale si riducono i prezzi delle cose ,rendendole alla portata di tutti i palati e di tutte le tasche. Oggi la maggioranza dei nostri possessi ,ed anche il linguaggio,sono standard e generici .Nonostante la quantità dell’offerta,la situazione psicologica ed intellettuale di molti cittadini si fa precaria e fragile,incapace di comprendere,migliorare ed intervenire sul gigantesco movimento di massivo impoverimento intellettuale e morale . La emulazione, l’imitazione e la deresponsabilizzazione di massa sono gli elementi distintivi dei tempi correnti.
In avversione a questa situazione di disagio,a seconda dei casi, ci possono essere strategie di opportunismo,di resistenza o di ritirata. Alla prima categoria appartiene un atteggiamento supino alle sollecitazioni dell’ambiente,anzi goderne per lasciarsi andare e per perdersi,senza scrupoli, nelle trame del mondo,per avere vantaggi immediati. Tra le seconde,ci può essere da parte dell’individuo un uso più oculato del denaro,della politica e delle organizzazioni ,per fare delle scelte che in qualche modo,sbiaditamente, ricordino la sua libertà originaria. Può essere il parlare in dialetto,il giocare a bocce con gli amici,intrecciare alleanze o frequentare i corsi della università della terza età. Tra le ritirate ci sono le nuove filosofie di vita e di new age.Come il passeggiare con la famiglia tra gli ultimi scampoli di natura incontaminata,mangiare sano,fare ginnastica,mentre i più raffinati possono immaginare di rifiutare tutte le lusinghe e rifugiarsi in un isolato villaggio tra orti biologici,tetti fotovoltaici e pale eoliche…Quindi,in conclusione, un uomo non può essere forzato con richieste oltre il limite naturale di tollerabilità. Sarebbe nocivo per lui e per coloro che gli stanno attorno. Una considerazione,infine :i problemi nascono col distacco del soggetto dalla comunità,gettato in un mondo di anonimato ed incontrollabile, e si sogna e si crede di risolverli in una analoga piccola entità ,ridimensionando la sua angoscia ed il suo anonimato. Ma procediamo con ordine.
1.6 L’eclissi della biografia e della memoria.
Allo stesso tempo,nella civiltà dei consumi,una analoga trasformazione ,lentamente e levigatamene ,avviene nell’uomo. Che viene lavorato dall’ambiente. Egli , privato gradualmente del proprio linguaggio originale,privato quindi dell’espressività e della nativa capacità di comunicazione ,avvolto in un linguaggio standard, povero di lessico ed inzuppato di termini stranieri, diventa un oggetto tra le cose ,nel senso che è privo di qualità,di personale esperienza e in difetto di soggettività. Diventa perciò incapace di dominare i propri pensieri, emozioni e sentimenti,di descrivere con proprietà l’ambiente interiore ed esteriore,compresso in una afasia di parole diventa timoroso ed incespicante di argomentare. I suoi discorsi,le sue battute, sono uniformi,assomigliano a tante altre ,sono indistinguibili da quelle degli altri . I temi dei suoi discorsi sono limitati e sbrigativi:soldi,sport,giochi,lavoro,politica da bar e sesso. La ripetizione insistente dei medesimi ha la forza di alienarlo dalla realtà circostante ,nel senso che quei discorsi sono il suo mondo ,in grado di ottunderne il discernimento e di relegarlo tra le cose di cui ha un frenetico interesse e vivo desiderio. Egli è ciò che ha,che possiede,non ciò che programma e vuole raggiungere,anche per emendare le situazioni. La reificazione dell’uomo perciò lo rende trasformabile e sostituibile,in completa balia del contesto,facilmente manipolabile ed insignificante,volubile,angosciato di fronte al futuro.Spesso si rifugia,per sentirsi vivo ed apprezzarsi,in gruppi marginali ,vanamente critici verso il mondo intero,che possiedono una esoterica ritualità interna ,comprensibile solo agli adepti,oppure nell’uso dell’idioletto,il registro comunicativo del paesino o della borgata nativi,proiettandosi ,in questa situazione,a ricostruire la storia locale,in cui ritrova una nuova linfa per comunicare con i suoi pari . Ha nostalgia del passato,che vuole recuperare. Ma l’ atteggiamento è solo apparentemente in patente contraddizione al dominio imperativo del consumismo,della unilingua,poiché alla difesa marcata delle radici paesane,come antidoto alla spersonalizzazione ,all’atrofia della memoria e alla destoricizzazione,c’è per contro la sua tendenza obbligata all’acquisto compulsivo di beni , di servizi e di comportarsi come tutti gli altri. Quindi, in sintesi, anche tale esperienza è una alienazione mascherata. Infatti l’intenso atteggiamento di immedesimarsi con l’ambiente nativo,il ritrovarsi con gli altri paesani per scambiare quattro chiacchiere in dialetto,oppure il rinserrarsi in un piccolo gruppo,l’ostentato ripudio di coloro che non parlano lo stesso vernacolo,lo stesso gergo,è nello stesso tempo,sia la ricerca da parte degli individui di risentire in se stessi la sorgente primitiva dell’autonomia,della libertà e della sicurezza,-fonte impietosamente essiccata dall’ ambiente industrializzato-,sia il tentativo timido di ritrovare le condizioni di un ferreo controllo sociale dei costumi e dei comportamenti ,come avveniva nei villaggi antichi. Quindi una condizione che ,paradossalmente, difende l’autonomia dell’individuo, ma che esprime la nostalgia per un legame sociale ,che lui teme si spezzi per lasciarlo solo e frustrato con il peso di doversi misurare con situazioni inattese. Come quelle del nuovo ambiente industriale e commerciale spersonalizzante. Perciò l’individuo, generalmente ,nonostante apprezzi il suo istinto erratico e libero ,si appoggia comunque alle pressioni sociali più influenti e determinanti, perché da esse intende farsi guidare ed in esse rassicurarsi. Soprattutto perché tale opzione è la più conveniente,almeno finché i confini del suo ambiente sono ridotti e controllabili come quelli di un piccolo villaggio. Ma quando gli orizzonti si allargano, il gioco si fa duro perché gli sfugge la conoscenza e la opportunità di fare esperienza diretta della propria competenza e del proprio valore ,essendo misurato da criteri insondabili,la cui oggettività è viziata da tante e lontane variabili. Può essere,ad esempio, un tecnico esperto,creativo, e perdere inspiegabilmente il lavoro perché la fabbrica chiude o perché i capi scelgono altre figure operative. Nonostante l’ impegno,infatti,le riuscite possono essere spiacevoli o insoddisfacenti. Spesso al diploma ed alla laurea non corrisponde un posto adeguato e si fatica a trovare anche un lavoro generico e subordinato. Egli perciò si sente abbandonato alle sue scelte e responsabilità,spiazzato in un mondo che sente anonimo e lontano. Quasi un pianeta imperscrutabile ,iperburocratico , iperdipendente e ipersocializzato. Coll’intensificarsi delle relazioni , conseguenti alla società industriale e consumistica,infatti,l’individuo perde la possibilità di avere una personale prospettiva circa la sua missione sociale ,le sue aspirazioni,la sua autovalutazione circa le personali capacità di fare esperienza,assomiglia ad un personaggio inserito in un paesaggio di un quadro gigantesco. Un dettaglio in un mastodontico ingranaggio,niente più. A meno di ricorrere e di cedere a dei comportamenti inaccettabili tra cui il carrierismo,l’opportunismo o il professionismo sui generis,inventato per lucro, ed approfittare del conformismo o della cultura ideologica della partitocrazia. In questo caso solo pochi soggetti possono comunque raggiungere le posizioni sociali privilegiate. I più sono e si sentono ai margini,avendo tradito le intime aspirazioni di autonomia e di impegno .Non scrivono una biografia ,ma si adagiano ad una sociografia. In sintonia con il sistema ,infatti,l’individuo ne interpreta i suoi desideri e i suoi pensieri,si confonde con essi,nonostante i vani tentativi di resistenza,come dimostra la precedente ritirata linguistica nell’idioma natio,Egli diventa un Esso,un individuo nella massa. Di essa ne assimila i tremori,le emozioni ,la volubilità,la compulsività,l’aggressività ed il panico,soprattutto per il futuro. Autonomia,libertà e sicurezza diventano infine fantasmi aleatori. Poiché quando dominano il panico e una estrema incertezza vi è la destrutturazione violenta delle sicurezze psicologiche individuali e collettive.
La percezione della odierna situazione diventa più angosciante e paurosa perché il soggetto si sente scricchiolare sotto i piedi tutte le strutture che con gli anni ha edificato,quel welfare che lo ha sostenuto e lo ha rassicurato contro il timore della povertà e del ritorno cruento del caos. Avverte la minaccia del baratro incipiente e,per questo motivo,resiste al declino devastante ,appellandosi ai valori antichi della comunità in cui godeva almeno di una sicurezza primitiva. Nonostante ciò,la sua biografia svigorita,anonima ed annacquata nella rete sociale ,non favorisce la tessitura della memoria né un lascito per gli eredi.
1-7 La macchina spietata(inspiegabile) e i desideri
La società opulenta ,sin dalle origini, moltiplica a dismisura le scelte,le cose , e l’abitudine alle soddisfazioni individuali ed alle protezioni sociali,creando per contro,paradossalmente, tante solitudini,distruggendo tanti progetti e consuetudini,solo in parte compensate dalla possibilità di spesa , di effimero godimento o di piena tutela. L’aver concesso a tutti di acquistare qualcosa agisce tuttavia come acceleratore della differenziazione di gusti e di stili,incrementando irragionevolmente la quantità di bisogni materiali ed immateriali,talvolta anche superflui,facendo sì che l’individuo si senta certamente padrone delle proprie scelte, nel contempo,si disinteressi di questioni circa la opportunità morale del proprio comportamento sia per la propria salute generale sia per la società. Ognuno è prigioniero delle cose che sono alla sua portata ,ma mancano solidi ancoraggi ad un ambiente culturale proattivo,da verificare con un ampio dibattito, e le prospettive di tale nuova condizione sono poco rassicuranti.
Infatti,la relazione “vis à vis”,rilevabile nei piccoli gruppi ,nelle confraternite o nei paesini rurali ,comportava delle attenzioni e degli obblighi,dei diritti e dei doveri,solidi ed espliciti,per gli attori di un contesto determinato,proponeva comunque a loro delle sicurezze,mentre ,oggi,nel nuovo ambiente , che organizza il lavoro in maniera scientifica,che con la tecnica spreme e settaccia la natura,che offre a tutti qualcosa ,tale contatto ed approccio sono stati accantonati ,superati da modalità comunicative moderne, che ci fanno risparmiare tempo e ci sottraggono dalla pena e dalla emozione del coinvolgimento. Comunità e gruppo sono sostituiti dall’autoreferenzialità del singolo e da un sostenuto processo di individualizzazione di tutto ciò che può offrire il mercato delle relazioni e degli interessi. La modificazione di qualsiasi modalità comunicativa ,infatti ,provoca delle perturbazioni relazionali,psicologiche e sociali. Anche se è materialmente più ricco di opportunità , compreso il tempo libero per se stesso, il soggetto quindi si percepisce insicuro e precario ,impoverito,come fragili sono le conquiste tecniche ,in bilico ,per via di molte incertezze e tensioni nel gioco dei mercati,tra esagerazioni di sviluppi economici saturi ,ripetitivi , standardizzati e recessioni depressive foriere di disoccupazione. Il quadro si fa buio perché ,in molti casi ,si sono distrutti tutti i ponti alle nostre spalle,con l’eredità delle vecchie consuetudini.
Pertanto la volontà ed il sentimento di ritirata verso le abitudini originarie ,vissute nel piccolo gruppo,inseguono solo un vago ricordo delle primitive certezze,una traccia annebbiata, che sfuma ed ingrigisce col trascorrere del tempo,e la ipotizzata sicurezza in esse ricercate sono solo una struggente nostalgia. Nessuno si sente più al sicuro,anche in quei luoghi definiti “resistenze”,tutti sono prigionieri di un fato inesplicabile ed ineffabile. Oggi c’è un livellamento totale nel linguaggio ,nei comportamenti ,nei valori che tutti sembriamo il frutto inatteso di una gigantesca e silenziosa clonazione:inconsapevolmente siamo le copie delle esigenze della pubblicità,della situazione e del mercato. La maggioranza di noi viene attratta ,come nella celebra fiaba,dal suono irresistibile del pifferaio magico,che con astuzia fatale ci conduce come quei topi ad annegare nel fiume del “trend”. Si cerca di scegliere il lavoro che tira,acquistiamo il vestito di moda,vogliamo siano riconosciuti i nostri diritti ed esigiamo ammirazione e riconoscimento. Anzi, pretendiamo che tutto ci sia dato e concesso dall’ambiente circostante. Siamo sottoposti alle dinamiche di un sistema,in cui abbiamo appiccicato tutte le tensioni psicologiche della nostra esistenza,animandolo,allontanandolo da noi quasi come sia un essere vitale,autonomo ,dotato di volontà ,determinato a perseguire i suoi scopi e con il quale finiamo di non avere alcuna relazione. Tutto dipende dal sistema:pensiero,lavoro,sogno,progetto ed economia. Se va bene ,anche noi stiamo bene,se va male ,siamo in crisi. Esso appare un vortice tentacolare che si agita attorno a noi e tutto risucchia. La cornice generale del sistema sociale,pertanto, viene letta e compresa come una organizzazione complessa ,che non deriva da un dibattito e da un negoziato di idee e di proposte,sempre vigili ed avvertiti,registrati nell’agone politico e civile,ma assomiglia ad una imponderabile ipostatizzazione. Quasi fuori dalla storia e dai suoi attori. Ovviamente ,stiamo parlando del sistema finanziario, economico- imprenditoriale e mercantilistico. Esso sembra un’ iniezione mistica che rinvigorisce,separa e divinizza un corpo,allontanandolo da noi,che non possiamo perciò intervenire e modellarlo altrimenti,anche perché la nostra attività è fiacca ed esangue. Il sistema sociale ,infatti ,diventa inspiegabilmente una grande icona,una vetrina,una rutilante immagine dinanzi ai nostri occhi che, riverberando i propri desideri ed i propri valori nelle nostre timide coscienze,si dilegua ,evanescente, sempre più lontana dal nostro controllo. La sua dinamica è un meccanismo dove tutto accade e procede automaticamente. Nonostante le volontà di contrastarla o le resistenze efficaci da attivare. Tale situazione inedita,tuttavia,che immagina un potere al di fuori delle nostre possibilità di comprensione,alimenta un sentimento di angoscia spaventosa,di grande lucida impotenza,che fiacca ancora di più la nostra debole resistenza ,addentrandoci in un clima di perdurante sospetto verso lobby,congreghe,e infiniti tranelli architettati all’ombra di inarrivabili cupole. Sebbene i gruppi di potere esistano da sempre,indipendentemente dalla nostra volontà d’intervento,la novità di questa situazione consiste nel fatto ineludibile che ,sistematicamente, oggi ci viene sottratta la possibilità ,oltre che la opportunità di fare esperienza ,di immaginare il futuro e di edificare un nuovo mondo o di migliorare l’esistente.
1.8 La precarizzazione delle relazioni sociali
L’abbandono della relazione originaria “faccia a faccia” per praticare ineludibilmente un modello comunicativo che privilegia la separazione e la lontananza degli attori,delle fonti informative,degli ambienti e delle storie analizzate,come avviene con la moderna rivoluzione dei media,allenta il tessuto di scambi e di negoziazioni improntati al rispetto dei diritti e dei doveri dei fruitori e finisce per disaggregare e demolire la rete sociale solidaristica nonché le tavole della etica e della giustizia. I nuovi ancoraggi sociali sono ,infatti,l’individualismo,il narcisismo,il carrierismo, l’arrivismo,l’egoismo e l’economicismo,il menefreghismo ed il camaleontico voltafaccismo, considerati come lo smodato soddisfacimento di pulsioni interne all’individuo,atomo tra atomi,proteso a difendere i propri istinti e smodati desideri anche a scapito dei propri simili. Ad esempio,si tenta con sistematica determinazione di acquisire posti importanti,ben remunerati,fidelizzandosi ad organizzazioni e a lobby ,che non hanno trasparenza e che perseguono scopi e finalità assai poco popolari(democratici),strumentalizzando la vita dei partiti per risultati esterni al bene comune ed alla sana vita democratica . Un concetto,quello di “bene comune”,che sottratto alla negoziazione di una effettiva democrazia,si corrode e si trasforma nei fatti ,diventando un’esclusiva area di riserva da cui le élites estraggono risorse, senza iniettare efficaci impulsi per uno sviluppo culturalmente sostenibile . Pur di perseguire l’utilitarismo partigiano o personale,di controllare una buona parte del consenso della opinione pubblica,infatti,si dilatano smisuratamente l’organigramma delle istituzioni per mero clientelismo,si ingigantisce la procedura dei controlli e delle supervisioni,tutti comportamenti che rendono lo Stato e le sue funzioni una terra di conquista,di affarismo e fomite di corruzione. Anche i settori privati e pubblici dei media,delle imprese o dei servizi non si sottraggono a questa deriva:talvolta si occupano posizioni elevate o si diventa giornalista o soubrette o si fa carriera per favori personali o per cieca fedeltà a politici o dirigenti ,modi di agire che non hanno nulla di professionale o di premio per un impegno competente. In generale,tali esempi di successo dubbio,che favoriscono la pratica di scorciatoie,anche immorali, screditano l’autorità,le istituzioni e minano marcatamente le fondamenta sociali e l’ambiente democratico ,che si reggono, intuitivamente, almeno sull’apprezzamento e sul riconoscimento dello sforzo e del merito individuali. I comportamenti basilari dei contemporanei sono ,come si nota,descrivibili con degli ismi,eventi che indicano delle iperboli ,delle estremizzazioni di ciò che esige o vieta la regola sociale o il cosiddetto buonsenso. In tutte le cose, ci vuole infatti una sana competizione, ma essa non deve tralignare nel sopruso,nel raggiro o nella scorciatoia mistificatrice. Per l’insieme di un contesto,queste azioni infatti sono dei non –sensi,che ne allentano le prescrizioni , le sicurezze e la coesione sociale. Demoliscono la comunità tramite lo sfaldamento delle sicurezze giuridiche. Esagerazioni che dimostrano la debolezza della soggettività e la difficoltà,se già non è impraticabilità ,di ogni progetto o percorso di vita. Perciò,quando la regola diventa eccezione,allora evapora il cemento della società e si è più diffidenti. Che vale il mio impegno ,se tutto è mistificato?
Un altro fattore di dissociazione psicologica,da tenere presente,è che i media avvicinano ai nostri sensi cose che capitano altrove,lontano da noi, trasmettendole con una ridda di notizie,di immagini,di commenti,con lo scopo di sedurci e lusingarci piuttosto che informarci e farci partecipare ad essi con cognizione e impegno civile. Da essi noi siamo ammaliati più che informati. Non riusciamo a formarci e a educare il sufficiente pathos per partecipare con intelligenza e compostezza emotiva ai fatti e agli avvenimenti lontani. Anche quando sono eventi dolorosi,catastrofi naturali o stragi di guerra,che meriterebbero una attenzione maggiore ,essi sono epidermici,non “lavorano” e non si sedimentano nella nostra coscienza né da essi impariamo o ci facciamo ammonire per cambiare atteggiamento ed esercitare la riflessione. Le cose ci capitano dinanzi e scivolano rapidamente via come le immagini o gli scenari in uno schermo, che perciò non ci lasciano il tempo per approfondire. La vita trascorre veloce,non chiede di ristare sullo stesso punto di prima come l’acqua passata non è più la medesima acqua che guardiamo. Si devono avere i soldi per le necessità o i capricci quotidiani, ma non si pensa al domani, né a se stessi né agli altri, nel senso che si attenua il pensiero per guidare l’azione razionale per il futuro e per la sicurezza individuale e collettiva:come nella pubblicità,si naviga a vista. E siccome la certezza del domani,quello che viene dopo,dal punto di vista dell’esperienza soggettiva,necessariamente deve dipendere da come si prepara il prima, ne consegue che anche l’oggi,la sua solidità ed evidenza,sbiadisce,si sgrana nell’indeterminatezza del dopo. Quindi il domani è oscuro e confuso. Lentamente ,ma inesorabilmente,la vaghezza s’impadronisce cupa e silente della nostra storia di singoli pigmei confusi in un coro stonato ed assordante di altrettanti piccoli uomini interdetti ed anemici,deboli fuscelli in balia degli eventi.
1.9 Modalità comunicative e dipendenze sociali(qualcosa sui modelli comunicativi)
Si registra,in conseguenza del mutamento del modello relazionale originario(faccia a faccia),un processo inarrestabile di dissociazione dell’individuo dal contesto,che tragitta dal generale indistinto,-sia esso sistema statuale o villaggio-, al particolare,dal complesso sociale alla particolarizzazione,che slega ciascuno dalle pressioni ambientali e consuetudinarie che,tradizionalmente, sono la croce e la delizia di ogni biografia personale. Tuttavia,mentre nel villaggio comunque l’individuo conservava un minimo di iniziativa personale,nella società odierna essa è solo fittizia. Non dimentichiamo ,infatti,che l’imperante dissociazione dell’esperienza che sperimentiamo ,cui assistiamo quotidianamente,a causa delle molteplici influenze cui siamo assoggettati,è figlia della struttura sociale ,che incrementa con lo sviluppo industriale e commerciale le funzioni , i ruoli economici e professionali del welfare consumistico.Scorgiamo ,ad esempio, nelle sequenze della vita individuale come gli eventi della nascita,del curriculum degli studi,del matrimonio,del lavoro e della professione,della nascita dei figli,della malattia ,della follia,della morte , siano trattati,aiutati o assistiti da funzioni e ruoli organizzati specificatamente per ogni caso:ospedali,medici,ristoranti,scuole,professori,psichiatri,sacerdoti,necrofori,…Vivendo,lavorando e amando ,infatti, facciamo numerosi incontri,che certo arricchiscono ed alimentano la nostra esperienza,ma dai quali inesorabilmente dipendiamo. Nella nostra vita perciò abbiamo bisogno di molte competenze ,e per ragioni di tempo e di economia,non possiamo concentrarle in noi ,se non come un hobby assai costoso. La relazione di sistema quindi è ineludibile. Dalla industrializzazione,infatti, sortiscono a cascata numerosi lavori più o meno specializzati. I mestieri che richiedono una abilità ,esercitata e qualificata tramite uno studio o un tirocinio, si riuniscono in corporazione:ci sono le leghe dei fabbri,dei muratori,degli speziali,dei notai,dei medici,ecc.Più ci si avvicina ad oggi,i mestieri più umili come il carpentiere o il muratore si aggregano diffusamente nella categoria degli “artigiani”,mentre congregano,-perché refrattarie al cambiamento,ma non si sa fino a quando- ,quelle professioni,come il notaio, che per essere esercitate richiedono un curricolo di studi specifico.Di recente,inoltre,si nota che gruppi di studiosi o specialisti di elevatissima capacità professionale,in grado di dipanare matasse ingarbugliatissime in svariati settori economici,giuridici ed industriali, con soddisfazione dei clienti che li ingaggiano,costituiscono una latente,ma presente ,lobby di competenze assai ricercate ,che ,purtroppo,saranno presto corporazione e influenzeranno decisamente le politiche governative e dei colossi privati:sono i cosiddetti consiglieri o arbitri ,anche di controversie internazionali. Con lo sviluppo industriale,si può affermare che assumono perciò importanza rilevante l’apparato scolastico e le regole deontologiche professionali ,costituite per dotare i giovani di adeguata preparazione ,di nozioni ed abilità , pratiche e teoriche ,corrispondenti all’esigenze della vita quotidiana e del nuovo ambiente di lavoro. Infine,si può constatare che lo sviluppo economico,un tempo unito ad alcune riforme religiose(orat et labora,gli editti sull’usura ed i regolamenti su alcuni mestieri),comporta sin dall’inizio un alto tasso di competitività,di individualizzazione dei meriti e dei castighi,per cui ognuno è in una certa misura padrone dei propri esiti sociali,non li può addebitare alla società se non in minima parte perché essa di continuo fabbrica e sforna modelli sociali,desideri e stili che è faticoso rincorrere.
La ricchezza di nuove possibilità di scelta,di cose e di mezzi, per tutte le tasche e per tutte le ambizioni,fa pensare che gli individui ,in questa situazione,siano felici e soddisfatti,che la società mediatica commerciale sia la garanzia più efficace per estendere a una moltitudine i benefici materiali e culturali ,realizzati con la presente organizzazione sociale dei mercati e delle imprese. E’ vero che ciò è constatabile,guardandoci attorno,che in generale le opportunità sono aumentate,alimentazione,abbigliamento,lavoro,entertainment, acquisti,abitazioni,carriere,servizi sociali e professioni col tempo sono migliorati rispetto alle precedenti modalità di vita. Malattie,fame ed ignoranza sono state in larga misura contenute. Ma,secondo noi,il miglioramento più vistoso,quello evidente, è solo nel consumismo sociale,nella nuova possibilità di spendere ed acquistare in modo compulsivo(scandalosamente anche la reputazione e la dignità:si veda,ad esempio, gli ipocriti comportamenti di spregiudicati individui).
Perciò resta molto da fare per il benessere psicosociale individuale,impegnandoci a correggere alcune unilaterali prospettive socioculturali,assai economicistiche , assoggettate alla finanza speculativa e disancorate dalla realtà. A partire dalla risoluzione della originaria contraddizione tra i dati biologici e quelli culturali dell’uomo,che è in difficoltà a rincorrere lo sviluppo forsennato. Infatti,il miglioramento non riguarda l’intimo aspetto psicologico individuale,la sua tranquillità interiore,caratteristiche che per noi rimangono focalizzate a dei modelli relazionali e di esperienza,individuabili nelle nostre origini villiche e comunitarie, che la società dei consumi ritiene tuttavia sorpassate,ma che per ora non riesce ad espungere,a cancellare, perché in noi molto radicate,ereditate dagli effetti storici di lunga durata. Tali qualità sono i comportamenti che si alimentano nelle profondità delle dinamiche interiori presenti in noi,ad esempio,la curiosità innata,il tentare approcci,il con-tattare,la socialità,il provare affetti,l’imparare dai propri errori,il dare spessore alla memoria,il costruire reti di sicurezza,e pertanto non sono inclinazioni marcatamente acquisitive o sociologiche ,che abbisognano di soldi per essere concretizzate,o di una sostenuta ambizione per la carriera o per arricchire la propria immagine sociale e,quindi, soddisfare tanti bisogni commercializzati oltre il necessario e l’utile. Quindi,oltre la dovizia delle opportunità sociali ed economiche elargite dalla società,paradossalmente,c’è un sintomo di dissociazione cognitiva ,di latente resistenza,di palese conflitto, tra le naturali ed irriducibili esigenze dell’individuo e le oggettive e pesanti necessità del sistema industrial-commerciale,nel senso che quest’ultimo si sforza di allineare,inquadrare l’individuo in base a delle incrementate opportunità di spesa e di consumo. Per questo motivo,il conflitto tra l’individuo,che resiste, e la società,che continua ad offrire mezzi, deve essere chiarito prima di essere normalizzato. Bisogna in sintesi valutare se l’uomo è qualcosa di diverso una normalizzazione. Sull’altro piatto della bilancia c’è infatti il pericolo incombente di disancorare definitivamente l’uomo dalla storia delle sue origini biologiche ed etiche(sic!),relegandolo in un mondo di idee ,semplice idea tra le idee,da lui prodotte e assoggettate alla massima reversibilità. Il disancoraggio lo inserisce contraddittoriamente in un ciclo continuo di vita e di morte di cose e di idee. Incastonandolo in un mondo di scarti,di mode passeggere ,facilmente rimpiazzabili(Bauman). Finché si parla di oggetti e di progetti ,va bene,si possono alienare e scartare,ma quando si questiona dell’uomo?Che si fa degli uomini ?Una macchina la posso vendere,comprare o sfasciare,ma un uomo,legalmente ed eticamente, lo posso tradire od illudere? Eppure ,nonostante la rilevanza delle domande ,constatiamo che il mondo attuale relativizza l’uomo,distruggendone ogni sedimento di esperienza.
Di fatto,la velocizzazione dei modelli cultural-tecnologici costringe l’individuo,per conservare la sua salute mentale e fisica,a precipitose rincorse di adattamenti e di rapide risocializzazioni,rinnovando modi di approccio,concetti,categorie e procedure,appresi con fatica ed attenzione,soprattutto nei ruoli professionali ed occupazionali. La costante accelerazione non consente la regolare strutturazione di un contesto culturale determinato,leggibile con facilità come il cacciatore antico interpretava le orme degli animali. Non giova all’acquisizione di habitus,di comportamenti precisi ed utili alle circostanze, poiché gli assetti tradizionali dell’esperienza,l’ordine spazio temporale degli avvenimenti,la persistenza di un modello di sfondo,gli scopi e le finalità delle attività e delle azioni,la psicologia degli incontri,delle situazioni e le relative comunicazioni,mutano rapidamente i punti di vista e non offrono un aggancio sicuro alla realtà .Benché alcuni aspetti culturali permangano,-come la ricerca di comportamenti dialogici o di reciproco aiuto ,il riconoscimento della parità giuridica ed effettuale tra i sessi,l’arte di un corteggiamento adeguato,il valore accordato ai curricoli di studio,ad una cifra di moralità e di eticità,da spendere soprattutto nei rapporti con gli altri-,è indubbio che la rivoluzione comportamentale conseguente alla fruizione di elettrodomestici,di macchinari ed aggeggi vari,o l’implementazione di nuovi processi lavorativi,stressi l’individuo ed innesti una spirale di bourn-aut,di affaticamento e di confusione psicofisica,di difficile gestione. Tutte queste tensioni ,che ricadono sull’individuo,lo inducono ad essere un individualista e a soddisfare le sue esigenze materiali e quotidiane, ricorrendo all’acquisto dei nuovi aggeggi da godere ed usufruire da solo o con la sua famiglia .E’ il trionfo della retorica del privilegiare sé stessi ,o,in un senso patologico,del si salvi chi può. E’ lapalissiano inoltre che la dipendenza dalle nuove abitudini vanno a scapito delle relazioni sociali ,instaurando reti comunicative particolari ,differenziate,al massimo verso gli amici,o le associazioni cui si aderisce,che non hanno nulla da spartire con una partecipazione volontaria ed importante per le attività di un contesto.Ed è altrettanto evidente che la individualizzazione comporta un incremento del consumismo:al posto di amare la qualità dei rapporti interpersonali,promuovendo nell’incontro la ricerca della perfezione e di condotte virtuose,si fa attenzione al possesso di una quantità di beni o di servizi superiori al necessario. Anche l’aumento dei single e delle relazioni omosessuali di donne e di uomini sono considerati,talvolta,degli effetti dell’incontenibile processo di individualizzazione,analogamente alla generalizzazione dei servizi a richiesta individuale,effettuati affinché il singolo si senta soddisfatto ,nonostante sia capace di sostenerli e provvedervi da sé,ingigantendo però in questo modo gli oneri per la collettività. Lo Stato, le istituzioni e le amministrazioni che li attivano e li organizzano sono considerati e percepiti come prestatori di ultima istanza,ad esse vengono rimesse tutte le responsabilità individuali circa le varie attività e scelte possibili. Anzi:le possibilità ed opportunità alternative non vengono considerate ,ma,amaramente, espulse da qualsiasi ragionamento operativo. In questo modo,passivamente,lo Stato e le organizzazioni si impadroniscono di noi e della nostra iniziativa responsabile:infatti le nostre richieste soddisfatte sono alla fine anche la nostra prigione perché richiedono un nostro intenso,spesso insopportabile, contributo economico.
A nessuno viene in mente,in tale situazione, che lo Stato però siamo noi,che esso è la proiezione delle nostre aspirazioni:se esso ci appare complicato è perché probabilmente la società dei consumi rende complicati anche noi,almeno nelle esigenze materiali. Tuttavia,lo Stato complesso ,che tenta di esaudire le nostre attese ed i nostri appelli,viene comunque percepito come una entità lontana ed inafferrabile ,che cattura il nostro sospetto e la nostra diffidenza piuttosto che la nostra dedizione ed il nostro impegno nel riformarlo. Tanto che sembra che tutti i processi e tutti gli avvenimenti capitino in modo automatico,irresponsabile,senza che nessuno ci metta la faccia e la firma. Meriti e demeriti non sono di nessuno.
La disgregazione psicologica e sensoriale di ciascuno di noi,quindi , accade perché il contesto generale non è idoneo,nelle odierne circostanze, a soddisfare le nostre genuine richieste di una vita adeguata,attiva,saggia e felice. O controlla troppo o è troppo lassista,nel senso che ,in maniera farraginosa ed affannata , fa molto di tutto, orientando in profondità ciascuno di noi, ma, non seleziona ciò che di importante può effettivamente svolgere sia per noi sia per il benessere di tutti. Non è più capace di esaudire le nostre aspirazioni semplici o complesse esse siano,soprattutto,ed è una condizione infelice, non traccia più i nostri destini entro una cornice tranquilla e scontata. Infatti,allorché uno Stato cresce a dismisura ,in modo insostenibile e per carenza di direzione lungimirante,si auto paralizza e ogni processo diviene un impaccio gravoso anziché un motore di libertà. Non ci fa vivere in pace con noi stessi. E’ inondato da troppe idee,immagini e notizie,forse superiori alla nostra capacità di metabolizzare .La nostra vita diventa una scommessa ,un rischio che bisogna correre analizzando tutte le variabili in gioco,comprese le conseguenze di uno scacco o di un fallimento più probabili dei successi. Le avversità e gli ostacoli,vissuti dall’individuo nella società del welfare affluente,non sono lette come la richiesta di un ulteriore impegno prima di una meritata ricompensa,non influiscono su di noi,ma finiscono per destrutturare la nostra volontà ,infiacchendola piuttosto che rafforzarla. Questo avviene perché nella società della post-opulenza le informazioni ci giungono soprattutto dai media,spesso sono il resoconto di contenuti di altri media,ritrasmessi a catena dai media più popolari ,che hanno audience. Ad esempio,un reporter vede e filma un evento tragico avvenuto lontano,lo trasmette tramite internet,telefona ai giornali e commenta la situazione,invia fotografie,gli anchormen televisivi le diffondono dopo che la redazione ha confezionato il “pezzo”.Di passaggio in passaggio si perde la voce della primitiva esperienza,che si disincarna,si dilegua,trasformandosi in una sequenza di immagini e commenti privi della forte emozione ed intenso coinvolgimento,sentimenti ,questi ultimi ,che sgorgano dalla presenza materiale e realistica degli eventi e della situazione. Nei commenti infatti si perde anche il contenuto realistico ed effettivo delle parole,spesso disancorate dalla storia dell’originario significato. Si perde così anche la potenza formativa dei fatti e delle loro idee,sottratti alla riflessione perché sono il risultato di un maneggio e di un artificio su cui molti hanno dei dubbi malcelati.Nonostante la onestà professionale degli addetti. I “fatti “disincarnati dalla realtà effettiva non costituiscono un ‘esperienza,ma sono le ombre della caverna platonica,perché ci sia esperienza infatti ci vuole attiva partecipazione ed almeno una logica sintattica nella loro esposizione,software che il video non possiede,procedendo per flash-back e riprese a lungo o a corto raggio,con sequenze tiranneggiate dalla brevità e causticità delle immagini.La regola è :esporre in un breve periodo tante cose,anche logicamente differenti.La nostra esperienza è il palinsesto o le notizie giornalistiche.In questo modo,la narrazione è mille miglia lontana dalla logica consequenziale classica ,che ci ha consentito di avere un ordine causale o ipotetico nelle nostre argomentazioni,che ha allargato le possibilità tecniche del nostro pensiero e che ha permesso lo sviluppo della ricerca ,della innovazione e della letteratura,costituendo un’esperienza ricca di significative opportunità interpretative e di progressiva umanizzazione dell’uomo. L’indebolimento della prospettiva dell’io e della sua identità,perciò,espone maggiormente l’individuo alle pressioni dell’ambiente e delle circostanze. L’io non è padrone né conoscitore dei processi delle cose né degli avvenimenti, è un semplice spettatore od esecutore di copioni all’interno di questa cornice di relazioni. Si aggira sconsolato tra i meandri dei commenti e delle opinioni piuttosto che riflettere sui discorsi e sulle fonti.
Soprattutto,tramite il principio di lontananza dalle fonti,ed anche per la evanescenza della nostra “esperienza critica” delle cose, le nostre indifese coscienze sono levigate,trasformate e piegate,dalla giostra di immagini ,proiettate con diversi gradi di nitidezza ,sia dalla intensità e dal diverso tono dei suoni sia dai martellanti richiami e dagli interessati appelli indirizzati alla nostra vista e alla nostra mente. L’esposizione ai contenuti dei media,in primis alla TV,ci sottopone a una successione giocosa di coinvolgimenti e di distacchi,rispetto alla situazione personale, che a lungo andare allenta la nostra naturale vigilanza,preparata ed esercitata a considerare con atteggiamenti di pacata critica e di progressiva attenzione qualsiasi dato emergente dalla realtà,secondo il curriculum delle abilità intellettive ed artistiche apprese negli studi. Infatti,lo schermo ed i suoi contenuti,liofilizzati ed accelerati,accarezzano e trastullano,con sottile e piacevole brutalità, la nostra percezione e la nostra mente,cambiando gradualmente le loro originarie modalità di funzionamento.Perciò , il detto”il medium è il massaggio” è verificabile e quanto mai veritiero(Mc Luhan). Ciò è ulteriormente constatabile ,analizzando le fasi in sequenza delle nostre emozioni quando vediamo la Tv ,andiamo al cinema o assistiamo ad un concerto con musiche tambureggianti,reggae o metal rap…La variabile intensità delle immagini e dei suoni ci penetra ,la sentiamo dentro di noi ,nelle nostre orecchie,nella testa,nelle nostre viscere,possiede il nostro corpo:sussultiamo ,ci inarchiamo ,scuotiamo e plachiamo, a ripetizione ,come di fronte a dei multipli e spossanti orgasmi. Per questo spesso siamo agiti da profonde emozioni e ,senza il filtro della ragionevolezza,comunichiamo aggressivamente i desideri più istintivi e distruttivi,che riemergono dalla nostra ancestrale storia,comportandoci in modo meschino,sgarbato,irriguardoso ed irridente rispetto le buone maniere del galateo.Per questo,il suono tagliente del tam tam e l’aggressività montante ci possiedono,rendendoci talvolta violenti e spaesati,rabbiosi con qualcuno o con le cose per un nonnulla,devastati dalla incontenibile furia distruttiva,che ama sconvolgere sé ,gli altri e le cose. Tristemente, ammetteremmo che forse questa modalità di irrazionale confusione espressiva,antica e viscerale,è il pedaggio del “contrappasso” da pagarsi ad una società ipercontrollata,super controllante ed eccessivamente meccanica. A margine della descrizione,una ulteriore considerazione :quando l’ambiente esterno,civile e culturale, attenua i legami morali ed etici ,quando non guida più la formazione individuale con i consoni dinieghi e promozioni,quando disperde e sfuma il controllo sociale esercitabile sugli atti ed i comportamenti dei cittadini,i singoli ,senza inibizione ed inetti all’autocontrollo ,perché non hanno interiorizzato le norme e le regole,irragionevoli,si lasciano trasportare purtroppo dagli istinti primordiali (e dalla tentazione del nichilismo). L’ampiezza dei contenuti trasmessi dai media,tuttavia ,oltre ad avere su di noi un effetto cinestetico,ed iperdinamico,ci offre altresì un’ampia gamma di sequenze immaginarie,di ambienti lontani,di colori e luoghi attraenti da costituire un elemento imprescindibile di ricchezza culturale ed una inedita visione della vita. Costumi,lingue,istituzioni ,regole, economie,transazioni mercantili e tradizioni lontanissime,impensabili prima dell’avvento dei media, sono vicini a noi ,stimolandoci ad un fecondo confronto ed anche ad una assimilazione di aspetti significativi.Ci aiutano così ad avere una prospettiva più estesa,generale, nel considerare le vicende del mondo e quelle personali, arricchendo con una conoscenza più articolata degli accadimenti le nostre scelte e le nostre opportunità .La contraddizione tra la descrizione esposta più sopra e quest’ultima affermazione è solo apparente ,perché sia le precedenti sia quest’ultima considerazione illustrano uno stato di cose non trascurabile.Infatti è oggettivo il fatto che i media abbiano plasmato nel bene e nel male ex novo le nostre sensibilità,che i loro contenuti guidino la nostra giornata,altrettanto inoppugnabile è altresì riconoscere che ciò comporta un riorientamento di valori,di attese e di modi di agire ,nel senso che lo schema della società commerciale ed industriale decide i confini ,purtroppo,del nostro pensiero e della nostra azione. La situazione peraltro è assai eloquente e si commenta da sola:oggi senza l’apparato produttivistico dell’organizzazione vigente non appagheremmo i nostri bisogni vitali,includendovi molte necessità sociali che per l’individuo sono artificiali e non essenziali. Indubbiamente,l’opulenza oggettiva e la miseria psicologica e morale sono le facce della società contemporanea,che ha la finalità esplicita di includere gli individui nei suoi meccanismi,disabituando i cittadini alla ragionevolezza,al dialogo partecipativo e disancorandoli dai destini dei veri valori sociali,quali ad esempio la consuetudine alla effettiva democrazia ,per edificare delle istituzioni eque e trasparenti.(5).
1.10 Istituzioni in crisi:pubblico e privato
Un altro settore in cui i perimetri sono incerti è la concezione di cosa sia” privato” e cosa” pubblico” e come questa confusione impatti sul nostro “io”,su di noi e sul potere politico. Qui le argomentazioni e i distinguo si complicano e si rischia di scivolare sul banale,sull’astratto o sulla inopportuna semplificazione.Ma un approfondimento della questione ed una spiegazione degli attuali effetti sociali non richiedono soltanto una rivisitazione storica dei concetti di pubblico e di privato o della democrazia. Né si è esaustivi se si compendia l’argomento solo in riferimento agli effetti della pubblicizzazione,di noi e della storia, conseguenti alla invasione dei social network e delle nuove tecnologie mediatiche. E’ utile,invece,analizzare come avviene in noi il processo di immedesimazione con il mondo esterno ,ricorrendo anche alla analisi del parallelo processo di economicizzazione delle relazioni sociali ed allo studio sugli effetti psicologici della fruizione dei media. Infatti, da un lato l’atomizzazione estrema degli individui ,perseguita dal funzionalismo delle specializzazioni,comporta sia un’ inarrestabile individualismo,che è una forma di privatizzazione di tutto,dagli affetti ai desideri,sia una frenetica necessità di acquistare,rendendo commerciabili,negoziabili, i beni e le risorse sociali.( Comprese la politica,l’etica e la governance).Lo sviluppo economico perciò accelera le opportunità di scelta dell’individuo,che nel privato beneficia e gode dei suoi acquisti,divenendo altresì una pedina insostituibile della macchina industriale.Da un altro punto di vista,l’individuo “pedina insostituibile”,con l’intrico delle sue emozioni e desideri,si apprezza,ha un valore, quando socializza i suoi acquisti,nel senso che li può ostentare e paragonare con quelli degli altri. Così tutti i supposti vantaggi del ben-stare privato,il godimento,la fruizione ,la soddisfazione, vengono spesi ed ostentati nella pubblica piazza,subordinati al giudizio altrui e di ciò che nel mondo è di moda.Si registra una specie di potlach immateriale ,un rituale dove uno offre spettacolo non dei beni prodotti da sé,come la virtù e la ponderazione, ma di quelli acquistati,e fa di tutto per possederli. C’è, in questo, una sensibile trasformazione delle vecchie e ritempranti attività classiche,espresse privatamente nell’otium,con il relativo corollario di sentimenti e di comportamenti,che oggi sono prosaicamente negotium .Inoltre la situazione è aggravata dal fatto che non ci sono scuole o accademie che elaborano con fatica ed impegno concezioni sul bello ,buono,vero e giusto:i canoni sono erosi implacabilmente e non c’è tempo sufficiente per consolidarli o per edificarne di nuovi altrettanto validi come quelli superati dalla modernità.In realtà ,di scuole di pensiero ce ne sono molte ed ognuna ha la propria visione delle faccende mondane,ognuna sforna teorie in perenne conflitto con le altre,e lo scopo di tutte insieme non è la ricerca della perfezione ,ma demolire i modelli precedenti,da considerare fuori moda e che sono trash. Con il dominio di una diffusa e sfuggente forma di relativismo perciò sfumano le vocazioni educative,che hanno bisogno di tempo per maturare i propri esempi e le relative sensibilità .Sono gli effetti del consumismo e della mercificazione,infatti,che guidano molti nella scelta delle cose,che sono belle e buone né in sé o per noi,o per un ideale di perfezione,ma esclusivamente per il breve uso che ne facciamo. Soprattutto, con esse dobbiamo apparire. Ad esempio,se uno compera una bella e confortevole automobile,essa,paradossalmente, non è bella e confortevole per lui se non in minima parte,la parte dell’uso,viceversa l’acquisto gode della reputazione di bellezza e di comfort etichettati ,sul momento ,dalla piazza. Di conseguenza,il pubblico diventa l’arbitro di tutto e si alimenta dallo spettacolo continuo. L’individuo quindi non ha qualità,non ha gusti se non quelli riconosciuti dalla piazza,idola fori,cioè le qualità standard ,caratteristica in ogni caso della grande produzione e del grande consumo. Anche i prodotti di nicchia purtroppo seguono la stessa regola. L’argomento sembra una banalità,in realtà i modelli estetici delle cose ,il design,sono parecchi appunto per soddisfare i palati più disparati e grazie alla copiosità sono anche il segnale della necessità di variarli spesso per non annoiare gli acquirenti e per differenziarli socialmente. L’abbondante possibilità di scelta è una facoltà che da privata si fa pubblica,nel senso che è per tutti, ed in questa transizione si valorizza.In sintesi,si intende dire che tutto ciò che è privato è pubblico,al di fuori di questa magistrale semplificazione si è out dal mercato,dall’immaginario e dai desideri,si è emarginati.Anche la privacy,legalmente difesa,gelosamente custodita con unghie e con i denti dai cittadini,è invasa dalle esigenze pubbliche perché tutti vogliono sapere le faccende degli altri ed i loro sogni,che diventano merce di scambio nel mercato delle notizie.
La distinzione storica tra pubblico e privato prende forma quando si pensa di proteggere in segreto le intensità dei sentimenti e delle emozioni ,provate e verificate da ciascuno,che sono maggiormente efficaci allorché si rimuginano nella interiorità individuale o anche in un piccolissimo gruppo,ad esempio,la coppia o la famiglia. Questo ricco mondo interiore,infatti,custodito con cura,dà identità e consistenza relazionale e sociale ai singoli individui,li distingue dagli altri.Assieme alle cure delle pratiche quotidiane conferisce inoltre una dimensione di valore agli individui,che si differenziano dagli altri per le alterne fortune delle loro attività. Tuttavia, la crescita della interiorità o coscienza dell’individuo è parallela allo sviluppo della sensibilità e delle esigenze della piazza,nel senso che l’individuo, di solito, in privato costruisce le proprie doti intellettive,emotive ,affettive e professionali,ma nel pubblico viene misurato,in alcuni casi normalizzato,condotto nella norma.Per questo nella vulgata si trova il detto”vizi privati ,pubbliche virtù”.Nel mondo privato rimangono nondimeno alcuni sentimenti e comportamenti ritenuti dalla cultura sconvenienti e non inseribili nel galateo sociale del bon ton. Ad esempio,un rutto o una condotta sguaiata o smoccolarsi in un convivio pubblico oppure dichiararsi gay contro la morale sessuale corrente o a favore del libertinaggio in una riunione confessionale o a favore del ladrocinio ,della truffa o dell’evasione contro l’erario in una assemblea politica,ecc:sono dei comportamenti scorretti e irriguardosi. Nel privato problematico ed intimo,denso di echi ancestrali,sgraziati e violenti,dove perciò si può annidare anche la contraddizione,può rimanervi l’inconfessabile,”ciò che non è socialmente tollerato”,ed anche il perverso inimmaginabile ed innominabile. Mentre per essere virtuosi,nel pubblico, questo “ciò”non deve essere assolutamente pensato o desiderato.Tale riflessione è un lascito delle bibliche tavole della legge,del moralismo religioso e delle prescrizioni civili:per seguire la legge,per essere puri ed inattaccabili,per essere considerati e godere di grande reputazione pubblica,non si deve nemmeno pensare il “peccato”,mancanza che è deviazione riprovevole. Il popolo non deve dubitare dell’esemplarità delle proprie guide né dei singoli cittadini. Tale elevata ed assoluta correttezza,che è stata e sarebbe,a certe condizioni etiche, un indefettibile pilastro della società,tuttavia,oggi non è perseguibile né chiaramente rinvenibile. Con l’imperante mercificazione ,infatti,il mondo sociale,l’agorà, ritiene che tutto debba e possa essere nella norma comprato ed accettato,che non ci siano enormi differenze tra le sensibilità ,i comportamenti pubblici e quelli privati,ed opera ,in ogni settore ,affinché ciò avvenga. Anche contaminando frequentemente il pubblico con pensieri,interessi e sensibilità privati. Che sono in prevalenza solo in minima parte guidati dalla giustizia solidale e dalla etica. Situazione spiacevole e penosamente triste. Infatti,nei tempi nostri, il mercato,che è la massima espressione del sociale,si pensa e si organizza per stimolare e confrontare gli acquisti,i possessi ed elevare la somma delle ambizioni e dei desideri. Anche di quelli che coinvolgono la gestione del mero potere utilitaristico per una parte o soltanto per alcuni privilegiati di cittadini. Chi si defila o sottrae alla sua lusinga o comando o alla sua tirannica organizzazione viene emarginato o considerato fuori moda,quindi,paradossalmente, estraneo sia al pubblico sia al privato.
Quello che comunque avviene,quasi per incanto, è l’assottigliamento ed il lento dileguarsi delle differenze distintive tra gli ambienti pubblico e privato: le categorie valutative,le modalità espressive,il mondo dei vissuti e dei sentimenti,per paradosso anche i comportamenti esteriori ed interiori ,sono orientati vistosamente al pubblico da confondersi indistintamente con le esigenze socio-culturali ed economiche di esso. Purtroppo,in questa migrazione dall’interno all’esterno ,il nostro vissuto e la memoria sedimentata della esperienza passata e presente,anche linguistica, subiscono una inarrestabile trasformazione della consueta gerarchia d’uso dei nostri originari e normali pensieri,volizioni e desideri,nel senso che in larga misura ,piuttosto che essere filtrati dal nostro intelletto e dalle nostre scelte,facendoci sentire soggettivamente attivi ,essi sono calamitati dal pensiero sociale che va per la maggiore e dalle opinioni conformiste.
Lo sfondo culturale delle nostre attività è pertanto la pubblicizzazione,-o la spettacolarizzazione-,condizione dura e gravosa della contemporanea società informata(basti pensare alla questione della privacy),ma senza questa necessaria operazione di mercato culturale non esiste la possibilità di avere una opinione pubblica,una pubblica discussione o un dibattito. O un ‘esperienza che gli assomigli. In tale situazione ,di iperinformazione,di uso strumentale di notizie ridondanti rispetto ad altre tenute in sordina,di sottile utilizzo degli interessi partigiani,l’utente viene sballottato di qua e di là a seconda degli scopi dei detentori del potere.Anche il tempo di permanenza degli eventi eclatanti sui media più utilizzati si sgonfia rapidamente,rimane la velocità e brevità della notizia,ma nulla dei contenuti edificanti e strutturati,rimangono fantasmi di annunci,fagocitati nell’urgenza di ulteriori e pressanti informazioni.Al cittadino perciò non viene accordato il tempo adeguato per riflettere e rigirare nella sua testa i pro ed i contro circa una notizia sentita o letta,gli viene sottratta la possibilità di verifica e di validazione,gli si annulla l’opportunità di accertare le vicende,tutto può allora diventare un bellissimo o tristissimo film,una sequenza di storie verosimili, di insufficiente consistenza formativa e digradanti verso la fantasia.Le storie esistono ,banalmente, perché accadono,in esse non vi sono scopi o progetti,semplicemente sono anomiche,si lasciano vivere. E non sono approfondite e chiarite nemmeno con l’appoggio del dialogo e la discussione con le altre persone perché ognuno possiede uno spicchio deformante della medesima realtà ,in base alla propria deficitaria esperienza.
In questo caso,si sfilaccia il tessuto ordinario della realtà ed evaporano alla pari i significati pregnanti della esistenza,condizione sociale leggibile,come abbiamo notato, nei vivaci incrementi delle sindromi di bourn-aut o nella confusione terminologica e nella assente strutturazione del linguaggio, manifestantisi in molti individui. Nei dialoghi scompare il congiuntivo,altri tempi e schemi di ipotesi e di subordinazione non sono mai utilizzati,il pensiero viene schiacciato con frasi e parole dette al presente :circostanza che si rinforza fruendo maggiormente dei mass-media. Spesso il contenuto di un pensiero è espresso da una parola accompagnata da una onomatopea. Il cui effetto è una specie di generale lobotomizzazione o un grandioso evento di imitazione multipla. Che è una particolare situazione irritante e insoddisfacente,in cui la psicologia individuale, evidentemente insofferente alla situazione, sente il bisogno ineludibile di colmare i deserti di vuoto con appropriati contenuti di significati innovativi,contenuti che finora purtroppo non ci sono nella platea culturale mentre molte sono le panacee e gli effetti placebo. Uno di questi rimedi apparenti è indubbiamente il palinsesto dei media più seguiti. I contenuti mediatici della TV e della stampa offrono il tono ed il timbro alla giornata della popolazione statisticamente inattiva,i giovani e gli anziani ,che sono una parte rilevante di cittadini.Nei media appaiono e si descrivono le vicende ,i comportamenti,gli abbigliamenti,lo stile e si divulgano le “idee e le visioni “ delle “celebrità”,appartenenti ad ogni campo del lavoro umano,dalla scienza ,all’artigianato,alla politica e all’arte. Le esperienze e le vicissitudini delle celebrità sono i contenuti ideali dei media perché incrementano l’audience,attirano attenzione,perché molti si immedesimano alla loro psicologia , alle loro passioni ed emozioni copiosamente prospettate al pubblico. Tramite i media, pensieri e sentimenti da interiori diventano gettati nella ribalta e creano spettacolo,partecipazione ed adesione. L’immedesimazione da parte dei singoli cittadini ai fatti che riguardano le celebrità e le loro azioni,ad esempio, è oggettiva,sia per gli aspetti materiali,i comportamenti visibili, sia per quelli più sottilmente psicologici ed intimi,entrambi sono copiati,interiorizzati ed imitati.Sebbene i personaggi famosi ed importanti siano lontani,appaiano ad esempio sullo schermo o siano descritti in un reportage fotografico,visti o letti dai cittadini seduti comodamente in poltrona,si ritiene che comunque la lontananza della fonte di informazione lasci inalterato ed integro il contatto con la verosimiglianza di tale realtà quotidiana. Nel processo dal lontano al vicino avviene tuttavia una inevitabile conversione ed un insondabile capovolgimento dagli esiti radicali e notevoli.Vedendo ad esempio la TV, il principio della lontananza fisica e mediatica dei “famosi”,- che in teoria dovrebbe garantire tranquillamente agli individui lo svolgimento ordinato delle pratiche inerenti la realtà circostante,soprattutto quelle delle classiche categorie mentali ed emotive che ci aiutano ad interpretarla-, viene capovolto nel principio di sostituzione,con cui lo spettatore vive e partecipa per analogia ,non per stringente e realistica logica,la vita dell’uomo famoso(6). Agisce,spera e patisce con lui. Diventa altresì un fan o un tifoso. L’esito di tale capovolgimento sul piano comunicativo ed esperienziale comporta delle novità gigantesche,sia psicologiche sia di costume,di cui ancora non si conoscono né gli effetti né l’efficacia. Immedesimarsi in una” figura grande” sembra una modalità storicamente ricorrente per cercare delle rassicurazioni ad una vita grama e anonima,ma comporta anche dei rischi supplementari. Addirittura qualche fan psicolabile giunge al delitto o all’avversione violenta nei confronti di personalità carismatiche o di una nuova star emergente o di una “cosa famosa”,che potrebbe essere anche un partito o un’opera d’arte e che ritiene collidano con le certezze del proprio mondo. Talvolta,l’ idolo diviene l’oggetto della propria persecuzione,il capro espiatorio del proprio malessere. In tali circostanze,incontenibile esplode la sua rabbia, soprattutto quando l’idolatrato personaggio o gli oggetti celebri in cui crede, fideisticamente, lo deludono o vengono gradualmente soppiantati nell’immaginario collettivo o nel proprio da nuove divinità mediatiche,più potenti e convincenti. Si può affermare quindi che abbiamo bisogno di imitare e di conoscere le gesta e le azioni degli uomini grandi per consolidare l’esperienza attorno a noi e per velare ciò che vi è di meschino o di negletto. Per questo motivo,il tradimento della realtà ordinaria,costantemente fruita, e la lusinga del nuovo sono l’eco insopprimibile della nostra umile vicenda umana,nel senso che noi percepiamo meglio sia noi stessi che l’ambiente circostante, se davanti abbiamo delle mete e degli esempi elevati. Addirittura molti si percepiscono,infatti, come novelli eroi:delle Giovanna D’Arco,dei Robin Hood,dei Batman o semplicemente dei vendicatori,agendo di conseguenza per ristabilire un ordine interiore o sociale. Quindi pubblico e privato si uniscono sia nella nostra psicologia sia nella nostra recita:l’ambiente esterno e gli atri siamo noi. Tuttavia,spesso i media strumentalizzano la nostra inedita condizione e le nostre “debolezze” di immedesimazione, utilizzando il principio di sostituzione per scopi particolari ed eticamente opinabili quando gli obiettivi della informazione non sono oggettivamente corretti. In simili casi, mass media partigiani,o astutamente indotti in errore da una inquinante e cinica controinformazione,adoperano involontariamente la “strategia del fango “per montare un’onda di odio verso un personaggio sgradito politicamente,notizie inverosimili,ripetute a tamburo battente, sono scambiate per vere e su questa sottile contraddizione si istruisce una campagna denigratoria e crudele nei confronti di un malcapitato. Che viene considerato come il male assoluto. Anche se tale eventualità accade di rado, perché molteplici sono le fonti delle notizie dei media,tuttavia la ridda di informazioni contraddittorie o la notizia ridondante può allontanare i cittadini da una valutazione attenta e ponderata dei fatti e delle cronache. Manipolando con la medesima strategia l’informazione ,usando la tecnica della ridondanza con una sequenza studiata e ben organizzata nel tempo,si può trasformare un scialbo e grigio personaggio oppure anche delle semplici opinioni,rispettivamente in un mito e in un eroe indiscutibili o in importanti e solide credenze.
Quindi,in sintesi,i contenuti della tv,dei media in genere,soprattutto dei social network,comprimono le nostre esigenze di privacy, o ,semplicemente,di tranquillità,mettendoci non solo a contatto con “la piazza mediatica”,ma facendoci interagire costantemente con essa da molteplici punti di vista:psicologici,socio-culturali,motivazionali,politici ed economici. Noi siamo il tweet o lo sms del nostro telefonino,sempre raggiungibile e individuabile. Perciò,appena qualcuno contatta,perde il suo mistero e il suo segreto,si trasforma in una scena. Cosicché non esistono,in larga misura, le categorie del pubblico e del privato,ma esclusivamente quelle monopolistiche delle relazioni,trasparenti,della piazza tecnologica e ipercomunicativa.
1.11 Media,individuo e politica
Quali essenziali effetti comporta la descritta situazione sull’individuo e sulla collettività,in merito alla crescita personale ,sociale e democratica?La domanda è imperativa. Innanzitutto osserviamo l’itinerario,che storicamente si è determinato,della facoltà e possibilità di giudizio e di ragionamento circa le decisioni e le scelte da effettuare nella odierna situazione.Ricordiamo che il luogo di controllo delle attività umane ,situabile all’interno di ciascun individuo,raggiunge l’apogeo nell’età classica,quando trionfa il punto di vista soggettivo,ordinato e metodico, diretto da criteri socializzati,sottoposti alla pubblica discussione. La prospettiva delle forme e delle cose di un dipinto,ad esempio, è compresa da tutti benché sia un’opera esclusiva di un artista. La limitazione come la promozione della bravura e dell’iniziativa individuale,in tale caso la pittura del quadro,è rimessa alla volontà e al ragionamento del singolo.Criteri e ragionamenti di valutazione,però, pensati in solitudine dall’ individuo,tramite la discussione e l’affinamento progressivo,diventano oggettivi,pubblici e canonici. Inoltre le motivazioni e gli effetti delle azioni sociali e delle generiche attività umane comportano inevitabilmente una responsabilità attribuibile,in larga misura,alle scelte del singolo.Da allora qualcosa è cambiato:il locus of control ha trovato un nuovo posizionamento. Lentamente,esso ha sviluppato una oscillazione che partendo da una posizione esterna ,individuata nel controllo esercitato dalle pressioni e dai valori del villaggio o della comunità,giunge ,nella stagione dell’umanesimo,a collocarsi nella interiorità dell’individuo,regolandone le iniziative e le riflessioni;ora il pendolo sta rigirando nuovamente,come nelle nostre origini tribali, verso la dominante della pressione esterna. Il quadro di riferimento dell’influenza però,rispetto al passato in cui venivano coinvolti la comunita’ed i gruppi,è diventato grandioso,interessando una cultura ed una società globali. Da ciò un problema non indifferente di portata etica,sociale e politica.Che sarà l’avvenire se nei meandri della vita individuale si è dileguato il potere dell’autocontrollo interno?Semplicemente,non si può dire che saremmo subordinati ai poteri e alle opinioni dominanti.Considerazione troppo ovvia. Non asseriamo inoltre che noteremmo comportamenti opportunistici e docilmente acquiescenti o di esagerata ambizione e di pronunciato arrivismo.Queste modalità non sono evidentemente il peggio,il negativo assoluto,sono ancora controllabili e la società possiede una varietà di modelli comportamentali e di valore, utilizzando i quali, li può ancora agevolmente dirigere e riorientare. Il vero problema è che la smisurata produzione di beni e servizi nel mondo occidentale comporta di necessità,paradossalmente,una proporzionale ed inedita diminuzione dei consueti e rassicuranti modelli valoriali di riferimento,una perdita dei gusti e un decremento della differenza tra le opinioni,peraltro,quelle che contano, sempre meno numerose. Latitano le nobili intenzioni di attivarsi e volgersi agli ideali della perfezione e del sincero miglioramento etico. Si registra perciò una quota elevata di conformismo,sostenuta dalla interiorizzazione ,da parte dei singoli ,di incolori modelli culturali,estetici e stilistici ,che,di per se stessi impoveriti, non favoriscono certo la creatività e l’innovazione.Conformista è pure la corsa e la ricerca da parte dei giovani,ma in genere da parte di tutti,di trovare un gruppo in cui mimetizzarsi,stare tranquilli e godere della supposta sicurezza che esso offre ad attori stanchi di competere, o ,in ipotesi alternativa, di isolarsi dal mondo.Tutti raggruppati,quindi,o alla ricerca di esserlo,ma quanto sono lontani questi insiemi raccogliticci ed episodici dal carisma dell’associazionismo storico dei giovani ,delle professioni ,dell’hobbistica o dello svago dilettevole? Questi ultimi gruppi a differenza degli altri hanno un’ impronta ed una mission prevalentemente educative,facilitatrici e di guida:caratteristiche rilevanti ,oggi rarefatte nei gruppi conformistici.Ma la maggior pecca riscontrabile,assai più importante di quelle rilevate,è la marcata incapacità degli individui singoli di “arrischiare” significative costruzioni di sé,di avere la costanza di superare le impreviste difficoltà ,di elaborare ed immaginare metaracconti personali e sociali.Siamo alle prese con uno spietato sognicidio,ad un traumatico arresto della speranza e della voglia di fare.Siamo semplici consumatori dei prodotti della società industriale,che mostruosamente crea e distrugge i propri miti. Finché la società opulenta consente il mantenimento di questo status quo ,tutto va bene,quando invece diventa insostenibile economicamente ,allora ,a determinate condizioni, esplodono i drammi. Molti,infatti,si sentono amaramente impotenti e falliti.
Dal punto di vista della collettività,le rivoluzioni percettive e sociali sommariamente descritte,influiscono in un modo determinante sulla interpretazione e sulla operatività della democrazia rappresentativa.Le istituzioni ,considerate sia in senso diacronico sia sincronico,sono i canali attraverso i quali i soggetti acquisiscono identità,partecipazione e riconoscimento;l’ impegno individuale,in questo percorso costretto entro i ferrei argini delle prescrizioni sociali, viene pesato,lodato e sanzionato dalle regole pattuite.Tali regole ,scritte e non scritte,oggidì scricchiolano perché il concreto gioco democratico ,quello vero,ha perso una parte consistente dei valori tradizionali della democrazia civile:solidarietà,competizione,meritocrazia,trasparenza,valori che si appellano all’universalità dei principi dell’uguaglianza,e, per quanto concerne l’acquisizione delle posizioni sociali ,anche uguaglianza delle opportunità ,sono inesorabilmente venuti meno. Molti valori quindi si sono annacquati,hanno evaporato l’intensità primitiva,galleggiano a fatica ,irriconoscibili,sul mare delle vicende quotidiane.Nel frattempo,sono cresciute a dismisura alcune funzioni politiche che ordinariamente sono un puntello della democrazia e dello Stato. Si parla delle problematiche nuove che emergono dal ruolo prepotente assunto nel mondo istituzionale dalla burocrazia e dalla ideologia. Esse sono figlie di una interpretazione esasperata e sbagliata della realtà economica nazionale,che ha ritenuto sufficiente sposare automaticamente il disegno di sviluppo della società dei servizi,della società del terziario avanzato,anziché programmare tale sviluppo in maniera economicamente sostenibile, organizzando con efficienza la rete dei servizi senza lasciare indietro i diritti dei cittadini ,ma chiamandoli alla partecipazione delle spese in base al reddito e a politiche compensative. Perciò,burocrazia ed ideologia ,ritenute essenziali per ipotizzare ed applicare i contenuti e le formule politiche originarie,hanno svilito i compiti assegnatigli e sono diventate merce di deteriore e squallido scambio:nel primo caso, è infittita da assunzioni clientelari o da nuovi funzioni poco razionali,nel secondo caso con un infiacchimento generale delle idee fondative,derivante dalla prevalenza di un insignificante adattamento alle pressioni economiche della situazione.Si parla evidentemente dell’invadenza del burocratismo elefantiaco e del nuovo ideologismo fossilizzato,che sulla vita del singolo e delle collettività hanno amare conseguenze. Il primo è pensato per creare posti di lavoro e per giustificare l’andazzo, architettando perciò nuovi compiti,nuovi controlli, nuove filiere di procedure e di supervisione. Con tale procedura si moltiplicano le sedi e i timbri da apporre,un marchingegno infernale di cui è responsabile sia la decisione politica ,che vi provvede con l’emanazione di nuove leggi ,accumulandole sulle precedenti,sia gli studiosi brillanti-i consulenti- che redigono i piani e le procedure di nuove richieste sociali. Richieste e leggi che possono avere delle basi di palese ed evidente necessità,si pensi ad esempio alle questioni legate alla sicurezza nelle aziende,ai piani di edilizia sul territorio,al contenimento dell’evasione fiscale,alle norme antiriciclaggio,ma che per la mancanza di un efficace potere di controllo,soprattutto di coordinamento e di razionalizzazione delle vocazioni e delle aspirazioni territoriali,anziché snellire le procedure finiscono per ingorgarle,generando paralisi e disappunto. Una inattesa conseguenza di cotanto brillante studio,infatti, è l’aumento smisurato di obiettivi ,si dice che per l’efficienza ”bisogna lavorare per obiettivi”,ma non si pensa comunque di riorganizzare la struttura sottostante. Diabolico. Non ci sono più efficaci e caustici commenti di questo giudizio. Tuttavia anche le ideologie,come le abbiamo conosciute e vissute sulla nostra pelle,hanno subito un cambiamento sostanziale.Comunismo marxista,liberalismo ,socialismo democratico,riformismo sono ideologie classificabili come vecchie,superate,buoni libri e manuali da biblioteca,da studiare e da leggere nelle università.Possono offrire ancora qualche ottimo consiglio,ma condito con una massiccia dose di pragmatismo perché gli Stati contemporanei,meglio le loro strutture, sono permeati di una nuova ideologia,molto sottile ,impalpabile ,inclassificabile,ma altrettanto incisiva per la sua forza pervasiva e totalizzante.Si tratta dell’ideologismo lobbistico,delle forze di pressione e di orientamento che con l’economia,la legislazione e il controllo delle leve del comando politico,finanziario,giudiziario ed amministrativo dirigono la vita pubblica dei cittadini e delle istituzioni. Talvolta,la nuova weltanshaung ha legami ed interessi internazionali. Spesso le lobby sono comunelle o gruppi che hanno sostrati politici ed ideologici trasversali,di varia matrice culturale, accomunati dallo scopo di spartirsi l’economia e altri privilegi o prerogative esistenti negli organigrammi e nelle strutture di una società in dissolvimento. Nella dura ed astuta contrapposizione tra loro si servono di ogni mezzo,dall’uso spregiudicato della stampa con la manipolazione e la distorsione dell’informazione(che si fa anche tacendo su fatti, non dandone l’esatta rilevanza),alla corruzione,talvolta fanno pressione sulla politica per la promulgazione di leggi per svariati usi specifici.In molti casi la lotta politica,da utile e valido confronto di idee su problemi da risolvere o progetti da innervare nella società ,fruibili equamente dai cittadini,diventa arido scontro di propaganda. Perde le sue nobili finalità. L’esito di tale rissoso conflitto se da un lato avvantaggia una cordata rispetto alle altre ,con l’occupazione ed il controllo di posizioni prestigiose nel dominio sociale preso di mira,-e per cui vale la pena di misurarsi-,dall’altro ,per la cittadinanza, è indubbiamente negativo perché confonde e distorce le informazioni oggettive, veritiere, a vantaggio di strategie oscure, poco chiare ,e perché privilegia alcuni o delle categorie invece di seguire criteri universalistici di giustizia. Quando le lobby sono numerose ,inoltre,avviene un fenomeno inusitato per le democrazie sane: la proliferazioni della legislazione per la protezione e promozione di casi o di questioni particolari o delle tematiche più disparate.Il risultato è che alcuni settori importanti della vita sociale di uno Stato rimangono senza una copertura finanziaria adeguata per superare le difficoltà dipendenti,ad esempio, da accidentali calamità naturali :si pensi alle indecisioni politiche ,previsionali ,tecniche e finanziarie ,e alle problematiche inerenti, per fronteggiare con professionale competenza i danni di alluvioni o di terremoti o dell’inquinamento o delle emergenze territoriali di vario genere.Benché alcuni settori strategici del Paese siano privati dei fondi necessari per adempiere i compiti istituzionali,pensiamo alle politiche scolastiche o alla ricerca innovativa,altri comparti fanno lievitare scandalosamente la spesa pubblica(vedasi,ad esempio, le spese insulse per l’apparato partitico) ,sottraendo le documentazioni anche al controllo di merito dei contabili istituzionali. Qualche scandalo “parsimonioso” però c’è:talvolta,nonostante i consiglieri,non si riesce a spendere i fondi sociali della UE per distrazione o perché non ci sono progetti qualificati. E’ sufficiente analizzare il bilancio dello Stato o delle Regioni,disaggregando dai capitoli le singole voci per verificare e certificare la validità dell’asserzione. Sbrigativamente,si giustifica tutto dicendo che ,in ogni caso, dipende dal punto di vista e dalla agenda delle priorità politiche. In questo quadro sfilacciato,dallo sfondo assai mosso,si può arguire che la difesa ad oltranza delle prerogative e dei privilegi di alcune categorie,denominate dalla contemporanea pubblicistica”caste e lobby”, ha degli immediati effetti negativi:1) ad esempio,l’incremento della spesa pubblica nei campi sanitario,farmaceutico,della scuola e di altri servizi ha lo scopo sia di finanziare la copertura di ulteriore richiesta necessaria di servizi sia di tranquillizzare gli utenti,il popolo,altrimenti fortemente critico o facilmente strumentalizzabile;2)lo scollamento progressivo tra le visioni politiche generali,suffragate dalla Costituzione e dalle norme principali,ed il mediocre lavoro parlamentare e le scarne ricadute sulle aspettative del popolo dei cittadini;3)in conseguenza dell’aggravio insostenibile della spesa si hanno tasse elevate e una politica di retribuzioni contenute,e sono appannate ed indebolite le politiche alternative di sgravio o di agevolazione fiscale o altri incentivi per sostenere lo sviluppo;4)una generale condizione di assuefazione allo status quo,sostenuta sia da un impreciso e generico dibattito politico,sia dalla rissosità delle organizzazioni partitiche e sindacali,sia soprattutto dalla debole incisività delle associazioni di categoria.
Pertanto se il quadro d’insieme si fa fosco e si restringono le vie d’uscita per dei “buoni governi”,anche la democrazia storica è probabile trovi una facile scorciatoia nelle forme rappresentative ,carismatiche o leaderistiche.Una soluzione alla crisi che però ,secondo noi,farebbe rinascere in una parte della cittadinanza alcuni aspetti profondi ,egoistici,riferiti esclusivamente agli interessi individualistici di sopravvivenza e di analoghe scelte politiche a favore di primari ,ma ancestrali,interessi nazionalistici. Inoltre,l’affidarsi ad un capo è una generale deresponsabilizzazione dell’individuo,che declinerebbe costantemente molte opzioni che invece gli costerebbero fatica,è un comportamento dal valore simbolico che lo immunizza di fronte al fallimento poiché ,se le cose andassero male,sarebbe il leader il vero capro espiatorio.
Indubbiamente ,oggi la situazione è complessa,variegata,ci sono numerose fragilità di diverso ordine,soprattutto economico,quindi politico e sociale.Le ricadute sulla psicologia del singolo,perciò, generano incertezza e confusione poiché le architravi della vecchia politica sociale si stanno sfaldando,ad esempio,la politica del lavoro e dell’occupazione non offrono più delle rassicuranti certezze.Assai raro è infatti il curricolo scuola ,lavoro e famiglia.Al suo posto abbiamo:scuola liceale o scuola tecnica e professionale,stages,università,corsi di approfondimento,specializzazione,si allunga il periodo degli studi,i giovani avanzano d’età e spostano la soglia d’ingresso nel mondo del lavoro,se lo trovano.Cresce quella fase d’età ,che i tecnici sociali definiscono “neotenica”,in cui l’assunzione di responsabilità da parte dei giovani si dilata più in là nel tempo. Paradossalmente, anche per il calo demografico. Il ricambio generazionale nei ruoli e nelle varie funzioni in una società così timida nell’inserire le nuove leve avviene pertanto molto lentamente.La società è quasi bloccata,progredisce a singhiozzo,uno stop end go agonizzante e sfibrante,l’economia ristagna,clinicamente in depressione.Vediamo ,a grandi linee,perché ciò accade.
1.12 Lineamenti di sviluppo economico e le origini dell’incertezza
Nonostante si consideri la situazione macroeconomica globale,che fa da sfondo,ovviamente ci riferiamo con maggior attenzione alla situazione nostrana. Agli inizi del XX secolo la migrazione demografica dalle campagne alle città nelle industrie e nei servizi è avvenuta lentissimamente. L’Italia si caratterizzava per la sua civiltà rurale anche dopo il periodo della grande guerra. Durante la dittatura fascista,sono cresciute alcune aziende di fondamentale importanza nazionale,avvantaggiate anche dalle obbligate scelte protezionistiche:si pensi ,ad esempio,alle primeve industrie automobilistiche(Fiat),meccaniche,siderurgiche e militari(Italsider ,Ansaldo,Breda…),alle industrie conserviere,molitorie,di trasformazione di prodotti tipici e manifatturiere(Cirio,Maccarese, Florio-Cinzano e Lanerossi,Snia Viscosa…).Aziende che sono l’effigie del nascente capitalismo italiano,sebbene meno importanti delle analoghe industrie estere molto più forti economicamente e con estesi mercati .L’industria italiana ,infatti,produce esclusivamente per il mercato ed il consumo interni,a causa della mancanza di colonie,pertanto non è inserita nella piazza della competitività , alimentata da un mercato libero. L’occupazione interna cresce a ritmi lenti,anche se la sparuta colonizzazione delle regioni dell’impero offre un minimo spiraglio alla voglia di fare e all’ingegno degli italiani.Uno sfogo alla disoccupazione,in un periodo in cui anche l’emigrazione è limitata dalle leggi(7),è offerto dai lavori agricoli,dalle bonifiche, da altri lavoretti a basso costo e di scarsa istruzione,ma di grande maestria,quali i lavori artigianali:falegname,fabbro,carpentiere,muratore,dipintore,meccanico,ecc. D’altro canto per rinsaldare la fiducia e il consenso popolare, il regime annuncia interessanti riforme sociali:la nascita dell’opera maternità ed infanzia ,le colonie elioterapiche per i figli dei meno abbienti,la cura ospedaliera per i poveri,lo statuto del lavoro ed il perfezionamento della previdenza sociale,l’intervento inoltre del dirigismo statale nell’industria e nel progetto di sviluppo del Paese(I.R.I.e I.M.I.),che ha favorito il primo accenno alla elettrificazione ferroviaria..Nelle varie attività occupazionali,inoltre,si istituisce la settimana corta ,con il sabato libero per le incombenze personali del lavoratore e della famiglia. Il fine settimana,perciò ,viene trascorso dai giovani ,sotto la guida di adulti ,in esercizi fisici o con la progettazione di varie iniziative sociali da svolgere nella comunità. Storicamente ,tutto ciò appare comunque secondario al vulnus mortale ed indimenticabile della deliberata e sistematica limitazione della libertà individuale e di opinione,con cui si vela e si opprime la ricerca e l’innovazione in molti settori,che vengono tutti ideologizzati. Nella istruzione ,ad esempio,la vigilanza era sistematica soprattutto per la redazione dei libri di testo e della informazione generale. Un sussidiario famoso nelle scuole elementari,infatti, si intitolava “Tutto”ed il regime lo aveva vistosamente propagandato per la sua esaustività tanto che esso rimase impresso nelle menti di molte generazione a venire. Per questo asfissiante controllo ,tuttavia,ed anche per motivi razziali ,alcuni bravi ricercatori han dovuto espatriare. L’ideologizzazione e la carenza di sperimentazioni sono le maggiori ragioni per cui ,in quel periodo,non si ha un importante incremento della occupazione industriale né si ha un continuo fiorire di ricerche e di invenzioni sia civili sia industriali,è un paese rurale con una evidente situazione di ristagno economico, tranne per i settori collegati ai comparti militari e per i poli industriali ,situati vicino alle città. E’ soprattutto dopo il secondo conflitto che si registra un notevole incremento industriale,artigianale,delle infrastrutture e dei servizi,con ricadute sul movimento intenso della forza lavoro dalle campagne alle cinture urbane e dal sud al nord. In seguito agli accordi della CECA e dell’EURATOM,inoltre,ricomincia una massiccia emigrazione di manodopera ,più o meno qualificata ,verso i Paesi europei più industrializzati. Le rimesse degli emigrati sono una riserva monetaria importante per le casse esangui dello Stato e sono altresì un volano per la crescita dell’economia nostrana . Dapprima si nota uno sviluppo vigoroso nell’edilizia,le cui maestranze si occupano febbrilmente della ricostruzione. Contemporaneamente,nel Paese si amplia la rete stradale e si potenziano le ferrovie,la cui elettrificazione peraltro,come in tutto il continente europeo, era iniziata durante il regime. Città ,paesi e viabilità vengono ristrutturati a fondo e si inizia una loro riqualificazione urbanistica ed architettonica. Le abitazioni condominiali o singole si arricchiscono di nuove stanze,diventando più ampie con l’acqua corrente,il gabinetto o il bagno ,il riscaldamento ed altri locali funzionali alla tranquilla vita quotidiana di una famiglia,preservandovi l’unità,l’intimità e la privacy dei suoi membri.E’ una piccola rivoluzione culturale,poiché abitudini,desideri e comportamenti prima inesistenti o dalla consistenza tenue prorompono con maggiore forza,e divengono strutturali nel telaio delle relazioni sociali ,riorientando il gusto e le scelte delle persone verso beni durevoli di inedita utilità.Frigoriferi per ogni tasca favoriscono la conservazione del cibo,consentendo anche alle donne di lavorare fuori casa e di incrementare il reddito famigliare nonché la percentuale del tasso occupazionale.Televisioni ed elettrodomestici ,tra cui la lavatrice,completano le disponibilità di strumenti utilizzabili dalle famiglie sia intrattenendole nel tempo libero sia addolcendo le fatiche domestiche ,con una maggiore cura anche all’igiene.Nelle città inoltre gli immigrati hanno maggiore opportunità di istruire i propri figli essendo presente, nell’ambito urbano , l’intera gamma di tipologie scolastiche.
Il successivo incremento dell’occupazione,conseguente anche all’elevazione degli studi,è però Non c’è settore che stia fermo,immobile,ovunque,compresa l’agricoltura,che è interessata da una riforma epocale, si registra una tensione edificante ,ci si mette all’opera,si ripristinano e si estendono le bonifiche,si aprono capannoni,l’industria e l’artigianato si rinvigoriscono,le ciminiere svettano nelle periferie urbane,nelle città si allargano le fognature,si aprono strade,piazze,viali,si costruiscono palazzoni. I nuovi quartieri ,addossati l’uno all’altro, lambiscono e penetrano nelle campagne. Le vecchie cascine,fonti di vita autonoma ed ingegno fattivo,come un bel quadro macchiaiolo, sfumano piano piano inghiottite dall’asfalto. I mezzi di comunicazione cittadini,tram e autobus,come pure il servizio ferroviario nazionale sono estesamente elettrificati. Con il potenziamento o la costruzione di metropolitane la viabilità urbana viene accelerata e il movimento delle persone snellito e facilitato. Ogni mattina e ogni sera sui mezzi di trasporto si affollano i lavoratori/trici,gli studenti e le collaboratrici domestiche. Sulle strade che portano alle fabbriche ,oltre alle biciclette,circolano le mitiche “topolino”,le prime automobili familiari -tra tutte la” giardinetta” e la “cinquecento”-,le lambrette e le vespe. Nei centri urbani importanti,si aprono nuovi negozi accanto a quelli esistenti,sulle vie appaiano molte insegne di bar ,di parrucchiera e di profumerie ,la vita commerciale inizia ad animarsi,cinema ,music-bar e sale da ballo offrono opportunità di svago e di socializzazione. Anche le strade ,ad intenso traffico, che portano alle località amene di villeggiatura sono costeggiate da numerosi negozi ,da ristoranti e da motel. Mitici i negozietti di “pizza al trancio o per asporto” , le gelaterie e le rosticcerie. L’intera società assume ,in questa nascente vivacità,una configurazione diversa rispetto a quella di anteguerra e della dittatura fascista. Mentre allora si parla di una società chiusa,irrigidita in uno schema dualistico,da una parte l’industria ed il commercio nazionali,per la verità molto gracili e protetti,dall’altra il mondo agricolo,ricco di braccia,anch’esso asfittico,ripetitivo e tradizionalistico,nel dopoguerra il profilo sociale diventa più variegato,molteplice e ramificato. Ora,accanto agli interessi storici dell’industria, dell’ artigianato,del commercio all’ingrosso e al dettaglio,incidono soprattutto i nuovi servizi,che curano anche l’igiene della persona , soddisfacendone gli intimi desideri e ogni specifico interesse,offrendo prodotti anche raffinati a categorie di cittadini assai diversissime. Cresce organicamente l’occupazione, anche autonoma , in molti comparti. Dapprima l’incremento è evidente e vistoso nel settore edilizio,delle ceramiche , delle ricostruzioni,delle prime infrastrutture viarie,come si è detto,poi l’occupazione è cresciuta tramite la avveduta e volontaria politica delle partecipazioni statali,con cui lo Stato è penetrato legalmente e politicamente nell’industria e nella gestione dei servizi ,soppiantando e sostenendo , dove era necessario , i privati, ed anche,purtroppo,supplendo alla loro libera iniziativa. L’intervento statale,istituzionalizzato tramite leggi,sostenuto da corpose maggioranze politiche,ha avuto perciò una duplice valenza:da un lato ha creato continuità e stabile speranza per migliaia di maestranze,qualificate e non,assicurando il lavoro e la certezza di prospettive ,togliendole dalla sofferenza dell’emarginazione sociale ,dall’altro ha acuito il progressivo disimpegno delle categorie imprenditoriali dall’investire in progetti industriali,in nuovi processi lavorativi e concorrenziali,favorendone l’orientamento verso forme esclusive ed impenetrabili di patti oligopolistici, e,da ultimo, per una sottolineata propensione verso la finanza speculativa. Mentre per il contratto di sindacato,che lega mutuamente i grandi imprenditori in progetti conservatori,c’è qualche insistente critica,tuttavia merita sottolineare che non tutto ciò che è finanza è riprovevole e da buttare. Infatti,l’apertura alle quotazioni in borsa di una azienda è salutata con positività quando inietta finanze nuove nelle casse della stessa ditta,soldi utilizzabili per la crescita e la ricerca della qualità dei prodotti e di nuovi mercati. Per contro è da circoscrivere e da criticare con convinta determinazione la tentazione della categoria imprenditoriale di cedere alle lusinghe di una eccessiva finanziarizzazione,che con l’improvviso arricchimento speculativo comporta anche un rischio maggiore di volatilità dei capitali nonché l’inedita tendenza a impiegarli altrove ,lontano e in altre zone geografiche,secondo i comandamenti dell’incontenibile processo globalizzatore. Alla fine di questo excursus storico –economico con l’intento di dimostrare come” l’occupazione” sia figlia di scelte politiche protezionistiche o semi-liberali nonché di orientamenti mercantili, in una certa misura controllabili, traiamo alcuni insegnamenti ,che se ora non sono importanti potrebbero però ammonirci per il futuro. Innanzitutto,lo sviluppo rigoglioso e febbrile è il frutto di un incontrollato automatismo ,che ha ubbidito più alle pressioni delle necessità primarie –lavoro,trasporto,casa,salute e studio-,che ad un disegno ordinato e pianificatore. Non si può colpevolizzare di ciò la politica ai suoi diversi livelli,almeno nel momento delle origini del fenomeno,quando c’è l’impellente bisogno di offrire posti di lavoro,di costruire le infrastrutture con adeguata rapidità, poiché senza di esse il Paese sarebbe stato penalizzato .In secondo luogo,se c’è una colpa della politica di quegli anni,sia di governo e sia di opposizione,essa è ravvisabile nella carenza di una visione condivisa delle priorità e delle finalità su cui concentrare gli sforzi per avere uno sviluppo controllato ed efficace. Allo stesso tempo , non si è attivata con tempestività la sinergia con le scienze ed i piani di ricerca delle università ,perciò “politica e conoscenza” separate non possono con efficacia garantire la salute dei lavoratori né la tutela dell’ambiente né prospettive occupazionali e tecnologiche di medio e di lungo termine. Alcune domande essenziali chiariscono il senso di questo punto,approfondendo altri aspetti della questione,la cui risposta aumenterebbe il tasso di chiarezza ,per nostra maggiore comprensione. Il paese ha bisogno di nuove industrie,più consone con la sensibilità ed esigenze dei tempi,-più tecnologiche e competitive per intenderci,ma come si fa?-, oppure si deve continuare a sostenere le industrie già presenti durante il periodo infelice anteriore alla democrazia e alla repubblica? Il piano di industrializzazione post dittatura è sufficiente ad occupare migliaia di lavoratori indigenti e dequalificati? Si può con esso diminuire il fenomeno migratorio interno?L’occupazione e la qualità delle merci sono garantite ,mantenendo inalterati i fattori di produzione,soprattutto i processi ed i costi del lavoro nonché la preparazione delle maestranze?Altre domande si potrebbero porre,ma essenziale era individuare ,allora, un comune interesse delle forze politiche per migliorare con consapevolezza il Paese. Come detto altrove,quell’ accordo negoziato o moderatamente dialettico non c’è stato. Al suo posto ,invece,si registra quanto segue. Innanzitutto,una eccessiva,onerosa e conflittuale ideologizzazione,sebbene legittimata ,storicamente,dal vincolo di una palpabile,greve e materiale divisione est-ovest. C’è il confronto esasperato tra le forze del bene e quelle del male,da qualsiasi punto di vista ci si ponga. Anche la nostra politica-quella estera su tutte- soffre per tale nodo cruciale,tant’è che si preoccupa maggiormente dell’approvvigionamento e dell’autosufficienza energetica ,semza approntare lungimiranti politiche industriali e del lavoro, favorendo,in questo modo, la via di uno sviluppo già imbinariato,piuttosto che fare attenzione,tra l’altro, anche alle politiche produttive dei paesi emergenti,che,sebbene caotiche,hanno costi bassi e autorità decisionali assai direttive. Non ha legiferato bene,è intervenuta con finanziamenti a pioggia , non ha ,quindi,stimolato innovazioni significative nei processi e nei fattori lavorativi. In seconda battuta,si assiste ad uno sviluppo automatico,indirizzato dalla ricerca di dare immediate risposte ai vecchi e ai nuovi bisogni,entrambi comunque incrementati,quindi si evidenzia un caotico processo sottratto alla regia politica anche nella localizzazione delle aziende,-soprattutto delle nuove come la chimica ,la siderurgia,gli idrocarburi ed i derivati,progetti sostenuti dalle banche di investimento e dai cosidetti “salotti buoni”-, fatte sorgere a ridosso di popolose città con importanti scali portuali o snodi ferroviari , in cui le volontà e le felici intuizioni dei singoli imprenditori sia delle società a patto sindacale sia direttamente sostenute dallo Stato danno vita ad un fenomeno espansivo intenso ed irregolare .In terzo luogo,la politica è colpevole di non avere meditato e definito un programma di sviluppo progressivo e graduale,che in parallelo alla occupazione facesse avanzare sia l’efficienza produttiva sia le prerogative dei lavoratori,sopratutto nel campo delle sicurezze sociali, nel posto di lavoro e nell’ambiente circostante alle imprese. Anche l’individuazione dei “poli industriali”,quindi,risente talvolta della inadeguatezza programmatoria,anomalia testimoniata dalle famose “cattedrali nel deserto”e da deboli condizioni partorite per favorire il consolidamento di imprese grandi e forti. In tale frangente,perciò,cresce vertiginosamente la piccola e media impresa,che crea lavoro per l’indotto della grande industria e stabilisce altresì legami preferenziali per l’esportazione. La presenza pulviscolare delle piccole imprese ,però,caratterizzate da un costo del lavoro contenuto,con una scarna o nulla presenza sindacale,impedisce lo sviluppo di imprese medio- grandi,o di reti industriali interdipendenti ad unica direzione,da poter controllare autonomamente il mercato con l’offerta di finanziamenti,di vari processi di qualità e di prodotti innovativi. In quarto luogo,l’uso di una facile e disinvolta politica del “dumping esteso”(8),favorito anche da svalutazioni sistematiche della moneta, con la vendita di prodotti o manufatti sottocosto,comporta ,come su esposto,un progressivo impoverimento dei salari , degli stipendi nonché un aumento dell’inflazione. Di conseguenza si verifica una sostanziale riduzione del cash privato destinabile all’innovazione e alla ricerca,soppiantato dagli interessi delle cordate monopolistiche od oligopolistiche,espungendo così competitività ed efficienza dal sistema produttivo. Tali scelte,se nel breve periodo diminuiscono la pressione della crisi,se non sono sostenute da politiche di controllo e di limitazione delle spese statali,della fiscalità e del costo del lavoro risultano a lungo termine dannose perché non considerano realisticamente l’ambiente di sfondo,cioè cosa fanno e come si comportano su questi temi gli altri Stati. Una parte non trascurabile di responsabilità,sulla questione,ce l’hanno perciò sia la politica sia il sindacato sia l’impresa che non hanno saputo reagire con concretezza e realismo alla estrema ideologizzazione dei confronti.In questo frangente,spesso anche l’impresa grande e medio-piccola non ha promosso innovazioni. Quinta considerazione: l’ incoerenza di una disarticolata programmazione che non riesce a stabilire utili condizioni per i vari e nuovi settori industriali. Non si accordano,ad esempio,finanziamenti rapidi alle industrie emergenti, più avanzate e competitive sul mercato,si è costretti ad intervenire in molti settori in crisi,disseminando a pioggia gli interventi statali. Notevoli i salvataggi delle industrie “decotte”invece di studiare piani e sinergie diverse e valide sui risultati. In questa fase ,non sono immuni da critiche i sindacati,che per una malintesa devozione ideologica ad “un nuovo mondo edenico e perfetto”,coprono o promuovono condotte governative e delle maestranze scarsamente efficaci. Ad esempio,le imprese private di trasporto locale vengono sostituite dallo Stato senza studi di settore accurati, in quegli anni altri casi simili si potrebbero enumerare,analogamente vengono coperti sulle catene di montaggio fenomeni di boicottaggio sistematico degli impianti. Tutti comportamenti o scelte affrettate che sono alla lunga penalizzanti per il sistema. Perciò,lungi dal parlare di una pianificazione centralizzata,allora come oggi deleteria e controproducente, per la classificazione da prontuario,pedante, analitica e per l’ inevitabile rigidità degli interventi(vedasi l’esito che ha avuto nei paesi dell’est), è mancata una determinante cultura del coordinamento per consentire una ragionata distribuzione delle imprese sul territorio. Infatti, a sostenere il peso della selvaggia localizzazione ,in nome del libero mercato ,sono stati soprattutto i comuni,quelli più importanti,in cui la presenza storica di infrastrutture e le pressioni delle richieste-politiche e sindacali- sono più numerose ed intense. Province e regioni sono venute dopo,acuendo con sovrapposizioni di piani industriali e viari,fino ad un certo grado, lo sperpero ,il saccheggio e l’inquinamento del territorio. Anche queste ultime perciò di frequente non lo governano ,sebbene acconsentano uno sviluppo “intenso” a vantaggio di selezionati dati quantitativi:la crescita occupazionale e il reddito prodotto. Non si valutano purtroppo altri fattori tra cui l’innovazione tecnologica, la salubrità,una viabilità decongestionata,l’opportunità di una vita soddisfacente dei cittadini,la tutela del paesaggio e dei biotopi,una organizzazione del lavoro meno stressante e con minor pendolarismo,un decentramento delle imprese,prevalentemente quelle a partecipazione statale,e una politica orientata a sostenere un’economia per il futuro, responsabilizzandosi dei propositi e dei desideri dei giovani. Ancora oggi ,ai diversi livelli amministrativi ,si parla,insistentemente, di ridefinizione logistica ed ordinata del territorio da attrezzare per le imprese,per l’artigianato ,per la urbanizzazione o per altre funzioni. L’idea guida sarebbe di coniugare l’impresa al territorio,alla qualità della vita e alla salute. Ma sono ravvedimenti tardivi,peraltro inquinati dalla ricerca dei Comuni di incamerare le tasse sugli immobili e quelle sulle attività svolte. Perciò,le ragioni della precarietà e della velleità economica,che si registrano oggi con capannoni vuoti ed immobili invenduti,spesso sono conseguenti alle scelte improprie quali le famose cattedrali nel nulla,che originano da questa iniziale incapacità a far discorrere e coordinare tra loro,sia in senso gerarchico sia spaziale,gli enti territoriali. Oggi come allora manca una classe politica preparata ed efficiente,in grado di relazionarsi coi fattori produttivi e con gli oneri di sostenibilità,e questo è il primo handicap.
Il risultato sociale di questa crescita prorompente,automatica,si descrive con sintetica facilità. I vari settori industriali,artigianali ,commerciali e dei servizi,raggiungono presto il massimo potenziale della produttività,spingendosi anche oltre,verso l’orizzonte della sovrapproduzione. Domanda esterna e consumi interni facilitano il traguardo,perseguito con insistente aggressività. L’indice occupazionale raggiunge l’apice fisiologico e le possibilità di spesa sono maggiorate .In economia,però,le attività hanno un andamento altalenante,con momenti alti e bassi. Questi ultimi,se sono prolungati,creano problemi per la stabilità,gli scambi commerciali,la tenuta dei consumi e l’occupazione,fatti che si aggravano a cascata quando il sistema economico internazionale è in affanno. Attualmente,una consistente parte di giovani,anche istruiti ai massimi livelli, non lavora,molti hanno impegni a progetto o sono precari,inoltre molti di coloro- ma non tutti- che hanno perso il lavoro percepiscono le indennità di disoccupazione. Ma l’orizzonte del futuro si restringe. Durante le crisi violente,infatti,anche molti anziani perdono forzatamente l’occupazione. Ciò provoca per entrambe le categorie uno sconvolgente terremoto psicologico e un esteso disagio sociale,frustrazioni angoscianti che sono inedite sia per la generazione dei giovani sia soprattutto per gli adulti. Alcuni dei quali preferiscono il suicidio all’onta del fallimento. Possiamo perciò dire che l’ansia per il futuro paralizzi la società poiché tutti si sentono prigionieri di un mondo incerto ed insicuro,situazione che non è stata contrastata da chi aveva posti di responsabilità(9). Sinteticamente, i peccati della politica economica sono così riassumibili. 1)Scarso sostegno accordato alla crescita sul territorio di medie e grosse imprese in grado di competere con l’estero,semplicemente anche tramite,ad esempio, uno studio ausiliario per la qualità tecnologica,l’affidabilità e la desiderabilità dei prodotti e per la loro penetrabilità nei mercati. Una disattenzione probabilmente causata dal fatto che i grandi imprenditori storici , legati tra loro da “patti di sindacato” ,per proteggere i loro interessi costituiti , non hanno assecondato con crediti vantaggiosi la loro crescita ,non hanno riconosciuto la validità di numerosi progetti,impedendo di fatto lo sviluppo di aziende autonome e forti sia ,a lungo temine,la loro efficienza sul mercato. Inoltre,alcuni di questi colossi industriali,presenti nei board delle banche d’affari, hanno preferito inserirsi nella gestione di importanti servizi statali(ad esempio,le infrastrutture), in regime di oligopolio,piuttosto che favorire una politica industriale di efficienza competitiva ,facendo leva su una politica tariffaria per equilibrare i bilanci piuttosto che investire nell’innovazione organizzativa di nuove imprese e sulla qualità dei loro prodotti. In parallelo ,forse in contrasto a questa lobby conservatrice,definita con ironia anche “il salotto buono”,sono sorti club e logge segrete dedite agli affari e alla politica,che hanno inquinato anch’essi la vita sociale ed economica del Paese. 2)L’interventismo statale assai pronunciato, che non è stato sostenuto dalla responsabilità imprenditoriale di autopromuoversi con idee e progetti di lunga durata,sia per carenza di vocazioni imprenditoriali sia per la negligenza di investimenti strategici in partenariato o in altre forme collaborative.3)Liberalizzazioni e “privatizzazioni” eseguite maldestramente ,ed in fretta,per l’inconcludenza politica e per la presenza di forze corporative e sindacali , che non hanno consentito di prevedere condizioni favorevoli nel mercato,sia finanziarie sia di lunga sostenibilità , nonché soddisfacenti condizioni di garanzia per ogni iniziativa privata.In entrambi i settori ,soprattutto,le decisioni politiche sono avvenute in modo lento ed incerto. Peraltro,per un malinteso concetto di privatizzazione alcune aziende ex statali sono anche state acquistate di recente ,ad esempio,dalla Cassa depositi e prestiti,una “cassa-banca” sedicente libera ,ma il cui settore era stato fino a poco tempo fa nell’organigramma statale.4)Si è preferito ottenere la crescita occupazionale tramite l’elefantiasi delle varie burocrazie statali o degli enti territoriali o nei settori comunque protetti. Infatti,molti servizi sono esclusivo appannaggio di aziende municipalizzate o delle regioni,nonostante sia evidente la debolezza della loro autonomia economica ed il cui equilibrio contabile sia ottenuto peraltro con la leva tariffaria e fiscale.5)L’incertezza sul futuro a medio e breve termine, che anima il mondo imprenditoriale,attratto più da tornaconti immediati che da rivisitazioni critiche di processi ,prodotti e marketing,soprattutto per mancanza di finanziamenti privati e di strategie statali ,comporta anche un vistoso ed insostenibile fenomeno di delocalizzazione di imprese e di know how .6)Si registra la chiusura o il fallimento di tanti esercizi autonomi come i negozi al dettaglio o di piccoli artigiani e la vendita a costi deprezzati di ditte,aziende e marchi famosi,con perdita di occupazione,di capacità di innovazione e di ricerca competitiva nonché di orgoglio e di identità(il “lusso”,la meccanica,l’avionica ,il nucleare,Ansaldo,l’Alitalia e Telekom…). Inoltre,alcune aziende si volatilizzano all’improvviso, lasciando sul territorio la logistica o lo stoccaggio, serrando le manifatture con uno strascico drammatico per la maggioranza delle maestranze. Finora , resistono esclusivamente le società di nicchia ,qualificate ed innovative, che esportano maggiormente all’estero la propria produzione o perché lavorano in partnership con ditte straniere famose ed influenti sul mercato mondiale. Tuttavia, anche molte di esse,per resistere alla concorrenza globale, esternalizzano i processi strumentali e trasformativi a mini aziende italiane o estere .7)L’opposizione ,ad ogni piano di “modernizzazione” del Paese, di gruppi politici e di associazioni,che hanno visioni alternative a questi piani di sviluppo,considerati antidemocratici e lesivi delle autonomie territoriali. Secondo noi,tuttavia,molte di tali opposizioni sono preconcette,non offrono alternative concrete e praticabili per contenere la disoccupazione e per la tutela dell’ambiente ,che non siano quelle dell’inazione,della salvaguardia dello status quo e della garanzia provvidenziale di un posto di lavoro “sotto casa”.La salute e il territorio si difendono meglio,secondo noi,partecipando alla stesura dei progetti o portando avanti le proprie esigenze senza l’inquinamento dell’ estremismo. Le migliori proposte alternative,infatti, concernono la green economy:buone ,ma non sufficienti,perché ancora costose per i consumatori. Quindi le proposte alternative vanno presentate incentivando la cultura della prevenzione tra i cittadini consumatori prima che il potere avanzi progetti mostruosi, faraonici ed antieconomici. 8)Alcune categorie sono privilegiate da stipendi e da previdenze assai elevati,calcolati in stagioni di floridezza economica e che ora stridono in paragone ai bassi salari e pensioni ,che non consentono a tanti cittadini di acquistare le minime necessità fino alla fine del mese.9)La mancanza di decisioni politiche rapide ed efficaci a vantaggio del bene comune sia per l’elefantiasi burocratica sia per l’opposizione politica,pregiudizialmente muro contro muro, nonché per la carenza di una generale cultura di responsabilità sociale di molti e per la cronica incapacità riformatrice di tanti attori. La politica ,infatti ,che imprudentemente ricorre al debito sovrano eccessivo perché incapace di “lavorare” con serietà tra le voci di spesa infruttuosa del bilancio ,si subordina e si lega a lungo andare alle strategie ed ai bisogni delle banche e delle società gestrici del risparmio,-quindi alla finanza interna ed internazionale-,che sono più sensibili alle proprie necessità che alle esigenze amministrative di uno Stato. Pertanto,se i governi preferiscono e promuovono delle strategie di sviluppo fondate prevalentemente sul debito ,sia pubblico sia privato, può capitare che, in particolari momenti di crisi generale ,le banche si ricapitalizzino facendo un debito a tasso agevolato ed acquistando debito sovrano ben remunerato ,anziché concedere prestiti alle imprese ed alle famiglie. In tali circostanze, è probabile che le politiche statali ed imprenditoriali siano avvitate sulle rispettive strutture conservatrici,sia eccessivamente burocratiche sia adagiate su processi produttivi superati,allontanando da sé qualsiasi sorgente di innovazione,di crescita economico-culturale e di riallocazione occupazionale. E’ quello che succede spesso quando la politica,l’impresa ed il credito sono rispettivamente inefficaci di riformare l’amministrazione dello Stato,di estendere l’innovazione nei processi e nelle tecnologie produttive e di alleggerire il costo del denaro. Inoltre,molte decisioni piuttosto che avvantaggiare le imprese hanno ingolfato le procedure burocratiche e la contabilità statale, facendo sì che molte provvidenze, sia fiscali sia creditizie ,risultino infine improduttive ed inefficaci rispetto agli scopi per cui sono state pensate. Un esempio per tutti. Il ritardo con cui avviene la restituzione della quota dell’IVA, superiore alle compensazioni fiscali riconosciute,(quota generata dal gap tra quella pagata per l’acquisto dei materiali e la parte incassata alla vendita del prodotto),in alcuni settori strategici,come il lattiero caseario, fatto che mette in oggettive difficoltà le medesime imprese. Oppure i biblici ritardi con cui si saldano le imprese a cui sono stati commissionati degli appalti da parte della P.A.,oppure ancora la paradossale richiesta di restituzione dei contributi agevolati sul consumo energetico delle vetrerie artistiche per la contraddizione tra le leggi statali e quelle europee. Quindi,allorché un Paese si trova occluse tutte le vie di crescita e non riesce a manovrare sulla tastiera tecnica dei vari e condivisi fattori economici di sviluppo,avviene una moria di imprese ed un decremento dell’occupazione con l’impoverimento dell’intero sistema e ripercussioni conflittuali sul versante sociale e culturale. Saltano alcuni concetti fondamentali del libero mercato e delle relazioni sociali , radicati sull’accettazione condivisa di una costellazione di valori, sulla competitività,sull’affinamento continuo delle competenze,sulla riconosciuta qualità dei processi produttivi,ma soprattutto sulla solidarietà, sulla fiducia e sull’autorità che i medesimi principi trovano presso i componenti della società. Nel mondo globalizzato, una società impaniata dai veti incrociati della politica e del sistema di governance nonché da un esorbitante ginepraio di leggi e di regolamenti assai costosi,se non trasforma tempestivamente il network delle relazioni e delle autorità di decisione interni,tutelando comunque i cittadini più deboli,potenziando almeno il consumo interno,facilmente deperisce e diventa periferica ed ininfluente nell’universo del mercato. Inoltre,evidenzia l’incuria con cui il modello di governance ha valutato,previsto e studiato l’impatto di eventuali crisi globali sui processi nazionali di sviluppo e sulla sostenibilità economica e culturale di tale criticità. Conclusione : per una inversa legge del contrappasso,rispetto ai sessantenni ,che qualcosa hanno avuto,i giovani ,che si devono ancora misurare con la vita,sono nella ferrea morsa di questo inesorabile ed insaziabile sistema,crudelmente onnivoro,e che consuma tutto in fretta. Al macero sono anche alcune delle passate certezze. E’ una routine che provoca crisi di rigetto per l’eccessiva abbondanza di mezzi e di opportunità materiali assai poco qualificati e soddisfacenti ,un fenomeno che induce negli individui una saturazione anche psicologica con dei risvolti di carenza emotiva e di anemiche passioni .Al presente ,non ci sono idee né progetti validi per migliorare la situazione. Alla ideologia spinta del consumo,infatti, succede gradualmente la pratica soporifera dell’assuefazione sociale, priva di immaginazione e di riforme culturali,una condizione che strozza l’impegno e il coraggio degli attori ,incapaci di fronteggiare l’inedito. In tale temperie,ricamata dai ricordi lusinghieri del mito dello sviluppo accentuato e del facile consumo,col corredo di tante buone idealità e buoni propositi,ma che è un’epoca anche intrisa da invisibili tranelli, i cittadini si lasciano vivere e consumare nell’attesa di una ripresa economica che da noi purtroppo ritarda a manifestarsi. E se ci sarà ,certamente non aumenterà anche l’occupazione,per cui dovremmo imparare a convivere con un importante tasso fisiologico di inoccupazione giovanile.
1.13 L’immane potenza del trend
Il discorso retorico e ridondante sulla civiltà dei consumi non è un omaggio scontato e tardivo alla filosofia critica o al ripetitivo e conseguente sociologismo,ma nelle nostre intenzioni è un generoso ed istruttivo esempio di come “un modo unilaterale ed estremo di vita” ,con il corollario dei suoi arnesi e mezzi ,determini il pensiero ed i comportamenti degli individui che in esso abitudinariamente si muovono e si emozionano. La civiltà dei consumi ,infatti,ha una vocazione intrinseca e dominatrice,per ragioni sia di utilità sia di coerenza logica del proprio sviluppo, ad affermarsi nel mondo,condizionandone totalitariamente tutti gli aspetti,tutti i settori di attività e tutte le relazioni da quelle minime,che interessano semplicemente gli individui,a quelle che coinvolgono gli Stati. In tale percorso si avvale di nuove conoscenze quali la psicologia di massa ,il marketing,la statistica e l’offerta di tanti altri aggeggi materiali o immateriali come la trasformazione dell’immaginario collettivo, che la aiutano a generalizzare i suoi valori(10). Va da sé ,tuttavia,che ogni “modo di vita “abbia le proprie condizioni di esercizio,di gerarchie e di valori con cui opera e si propaga,con cui accantona, tralascia e sanziona i comportamenti devianti ed ininfluenti allo specifico modello. Un modo di vita,quindi, assomiglia ad un trend,ad una direzione sostenuta ed accelerata che non ammette deviazioni o eterodossie,esplicandosi in modo coinvolgente, esclusivo e padronale. Perciò,si corre il serio rischio che esso diventi il soggetto di tutta la situazione piuttosto che l’oggetto malleabile , ricostruibile ed adeguato alle circostanze e alle relative necessità. La descrizione di come passa il tempo libero la maggior parte della gioventù illustra in maniera calzante cosa avviene,ordinariamente,secondo noi, nella corrente forzata di un trend. Ovunque i giovani indossano abbigliamenti simili,hanno i medesimi passatempi,transitano di corsa i curricoli scolastici e non si impegnano a fondo,parlano di argomenti che li incendiano sul momento come il sesso,il successo, il denaro e il divertimento, evitando gli approfondimenti perché costano fatica e concentrazione prolungata. Seduti al bar ingurgitano cibi e bevande ipercaloriche,sono obesi tanto che qualche governo facilita con contributi la frequenza di palestre e di attività sportive, hanno un linguaggio criptico,allusivo,concreto e smozzicato anche nell’ironia e nello scherzo,tale gergo è comprensibile da loro stessi ed è un’esprimersi più adatto alla grammatica dei social network che ai dialoghi esplicativi ed articolati. Tranne che per adesioni volontarie e sporadiche ad associazioni o comitati che si occupano di ambiente,di povertà o di soccorso agli sfortunati di calamità naturali o di terribili malattie non hanno la costanza e la perseveranza di impegnarsi in politica e di contribuire a dei progetti che migliorino la vita ed il ben-stare di tutti i cittadini. Alcuni pensano alle ultime mode,al motorino,alle macchine ed al primo lavoretto che capita,scelte che vengono effettuate solo per trascorrere indolenti il tempo e per sbarcare il lunario ed avere una relativa indipendenza. Per contro, i più engagé ,i secchioni che pensano al futuro e ad una seria e specialistica preparazione ,non sono allettati di partecipare agli spettacoli che offrono subitanea fama e denaro ,ma vanno a imparare le lingue e a perfezionare i loro studi all’estero. Anch’essi però sono i portavoce del trend,che li vuole come alfieri della mobilità,dello scambio e dell’amalgama di abitudini e di tradizioni affinché le nuove consuetudini della società si generalizzino e si formi un pensiero unico. Che è dominato dai desideri più o meno congrui dei consumi e di una felicità data dal possesso di manufatti vari ,anche dei gioielli tecnologici all’ultimo grido,come gli smartphone, perché così si sentono in sintonia col mondo. In questo, i giovani si assomigliano tutti,sia i più che i meno fortunati perché l’acquisto di un tablet o di un navigatore,ad esempio,li mette in contatto e li fa sentire presenti.
Un trend è vincolante,ha una logica sotterranea dispotica,ridondante fino all’ossessione. Una volta entrati ,non si esce. Se un vicino ti mostra e ti descrive le qualità tecniche dell’ultimo acquisto ,sia un Tv o un elettrodomestico,è difficile che tu ti sottragga dal fare altre simili compere perché ne va di mezzo il tuo status symbol ,la considerazione che il vicinato ha di te e la soddisfazione che provi nel pareggiare i conti con coloro che hanno sfoggiato l’oggetto prima di te. Se un signore abbellisce la sua casa con un patio o una loggia è assai probabile che i conoscenti lo imitino. In ogni attività domina dunque la emulazione:l’importante è apparire ed essere alla stregua degli altri,non essere di meno a costo di indebitarsi e di sottrarre sicurezza anche all’avvenire dei propri famigliari. Tanto che per andare in ferie molti accendono un mutuo. Tuttavia,in modo irriflessivo la rincorsa imitativa avviene in ogni settore ed anfratto psicologico e materiale della condotta umana poiché gusti,aspirazioni e visioni sono uniformati da sembrare alla portata di mano e di tasca di tutti.
Il trend è fagogitatore ed assimilatore. Perché mentre accelera la corsa verso l’adempimento dei propri scopi addensa attorno alla propria direzione tutti gli altri micro- mondi di tecnica,di affetti,di emozioni,di norme e di pensiero, cosicché i connotati di una intera cultura o di una identità-anche nazionale-,considerati ad un livello generale ,e ,comunque, nella loro completezza,assumono i contorni ed i profili delle sue finalità,dei suoi comportamenti e dei suoi processi. Esso crea delle mentalità, alle quali molti si conformano e con cui scelgono ed agiscono. Soprattutto nel cambiare stili di vita e i mezzi da usare nonché il linguaggio per relazionare. Sebbene non si debba parlare,per prudenza,di un effetto strisciante di tecno- morfismo,si deve comunque constatare che l’essenza del meccanismo è l’abbreviazione della vita e della durata delle cose , delle funzioni e delle relazioni .Il trend brucia le proprie creazioni in una stagione e ne esige altre per mantenere la propria solidità e rotta. Se i modi di vita,le tradizioni culturali,le funzioni degli uomini e delle cose non si lasciano omogeneizzare diventano scarti,disusi da accantonare. Lo sfratto delle vecchie mentalità ed i rifiuti sono l’emblema di un trend egemonico. Di ciò si possono indicare numerosi esempi:da un maglione ad un tostapane ,da una autovettura fino alle radici essenziali di un modo di fare o di riflettere sulle cose,che sono modalità specifiche di una particolare cultura materiale o scientifica,ecc., perciò tutto se non si adegua e si adatta gradualmente è trash e out(11)bauman).
Un trend infine è un network,un sistema di relazioni,di impegni e di influenze reciproci tra gli elementi ed i soggetti che lo costituiscono. Sia nel bene sia nel male ognuno di noi partecipa ad un sistema di legami e di sinergie diversamente coercitivi o liberatori. Le reti possono avere influssi negativi o critici,dipendendo da come sono strutturati i contesti,se sono piccoli e controllabili o estesi ed incomprensibili. Due signori che formano una società ,si pensa che sia conoscibile e leggibile in ogni sua funzione e scopo,appunto perché la rete è piccola e,praticamente, dominabile anche col senso comune. Per contro,il network delle multinazionali ,che ha effetti ambivalenti nelle singole parti costituenti,nodi che sono anche i suoi legami ,presenta dei contorni incerti ed è altamente indefinibile. Gli interessi ed i programmi delle aziende multinazionali ,delle grandi banche e imprese che sono in perdita in un luogo sono compensati infatti dai lucrosi vantaggi in un altro. In questo caso,il network si avvantaggia dalle condizioni differenti in cui è strutturato il reticolo. Un trend perciò agisce limitando le possibili libertà alternative al suo scopo principale ed eliminando tutte le fonti di disturbo e di rischio ,che non siano quelle accettate o promosse dall’andamento dello stesso sistema.
Esistono tanti trend:un individuo,un gruppo,una famiglia,una organizzazione,una cultura,una tecnologia,una politica ,una istituzione costituiscono,ad esempio, dei trend perché mentre agiscono o reagiscono il loro comportamento è leggibile e comprensibile. Narrano una storia. Paradossalmente,un trend è anche un animato dibattito,un confronto vivace di argomentazioni o una accesa discussione, circostanze in cui l’interferenza,l’interlocuzione,lo scambio di espressioni e di battute producono un intenso tracciato verbale di azioni-reazioni. Un’escalation che si autonomizza rispetto all’ambiente circostante. Col risultato che una simile autonoma oggettivizzazione diventa più importante per gli attori e gli spettatori che così dimenticano altri aspetti rilevanti di un contesto. Un contrasto di vedute su una partita di calcio,ad esempio,può distrarre qualcuno dei partecipanti dall’orario del tram o di effettuare delle commissioni per cui si trovava in quel luogo. Un trend cattura in modo dominante l’attenzione degli attori e dei comprimari di una situazione ,emarginando dalla loro sfera di azione,qualsiasi altra esperienza o interesse particolare. Ogni attività delle unità ricordate,sia che esplichi dipendenza o resistenza, si muove come un trend perché segue degli habitus connaturati al suo essere ed alla ragione per cui o con cui sta nel mondo delle relazioni. Gli aspetti determinanti di un trend,quelli che lo manifestano,sono:la sua autonomia,la sua forza catalizzatrice,l’addensamento attorno alla nuova direttrice di altre tendenze e la relativa velocità o rapidità con cui tale concentrazione avviene nel tempo. Ad esempio,un nuovo partito o un nuovo movimento politico all’inizio fatica ad affermarsi,quindi i suoi slogans si diffondono nell’opinione pubblica e si rafforzano se gli adepti si attivano con gesti e manifestazioni eclatanti quali scioperi,marce,raduni improvvisi e feste,ma soprattutto se si sintonizzano con i pensieri e le dichiarazioni della gente comune:sono tutti comportamenti dissonanti con la cornice ortodossa delle riflessioni dominanti,che ,per la loro dirompente incisività,convogliano con naturalezza attorno a sé le preferenze ed il sentimento popolari. Tuttavia,la dinamica delle tendenze si potrebbe dimostrare in altri modi. Molte volte,infatti, è sufficiente la forza del trend a focalizzare l’attenzione degli individui,indipendentemente dal suo contenuto e dall’apparato di gesti e di iniziative straordinarie a suo sostegno,altre volte la sua direzione segue una traiettoria che conserva nel moto del suo meccanismo “qualcosa” di tradizionale o comunemente accettato. In una società democratica, ad esempio,nessuno impedirebbe ad una famiglia di leggere il quotidiano che preferisce né di commentare al proprio interno i fatti di cronaca e gli accadimenti politici in un ottica di libera critica o come gli pare,poiché in questa liturgia sembra ci sia ancora un grado di elevata autonomia,ma tutti,compresa questa famiglia,seguiamo dei trend assai determinanti quando andiamo allo stadio o a fare la spesa o in ferie,tanto che discutere su ciò sembra banale. I trend sono spesso in contrasto tra di essi soprattutto quando si scontrano valori e valutazioni:non sempre i valori di una gang o di una società commerciale collimano con quelli promossi dall’intera società o dalla politica. Una cricca di delinquenti è sicuramente contraria alle regole di buona convivenza,ma lo è anche una attività regolare che imbroglia nei processi di produzione,utilizzando il nero, o che evade le tasse. Generalizzando ,i conflitti tra i trend coinvolgono anche le culture tout-court ed anche le civiltà perché anch’esse sono,osservando con cura, un intreccio di trend. In esse ,tuttavia,prevale il trend che assomma in sé più degli altri,in maniera intensa ed esclusiva,gli assi portanti dell’orientamento,della valutazione e delle altre caratteristiche,-cioè le “strutture sotterranee”-, che cementano qualsiasi organizzazione. Il trend dominante di conseguenza denota e colora una intera società o cultura cosicché discutiamo di civiltà del ferro e dell’acciaio,di civiltà tecnologica,di civiltà dei diritti -doveri o semplicemente di età dei consumi. Un trend è infatti,mutatis mutandis, un “paradigma culturale”. In base a tali considerazioni, diremmo che anche lo scontro tra civiltà è probabilmente un confronto tra trend e la forza penetrativa delle relative organizzazioni. Infatti ,storicamente ,le civiltà si espandono,raggiungono la maturità, l’efficienza tecnica,una sicurezza ed una certezza giuridica , soddisfacendo materialmente e culturalmente gran parte delle aspirazioni dei cittadini, che ,a questo punto , vivono agiatamente e rassicurati ,con minore fatica fisica e psicologica, finché le medesime condizioni di vita non indeboliscono i loro intendimenti e le loro capacità di reazione critica. Con ogni probabilità è così che ad un trend ne subentra un altro maggiormente efficace dal punto di vista della organizzazione tecnica,istituzionale,militare ed imperialistica. Nel senso che le nuove strumentazioni ,le nuove protesi,costituiscono un trend. La storia ci tramanda,infatti, che le civiltà in cui il trend indulge alle gioie e alle mollezze della vita spesso vengono sostituite dall’imperialismo agguerrito di altre civiltà o culture tecnologiche più forti. Molto meno ciò avviene,tuttavia, quando si parla di religione ,di diritto o di consuetudini che avvantaggerebbero la qualità della vita degli individui:in questi casi si nota un’osmosi,nel senso che a tutti i popoli,dopo aver confrontato le differenze di stile, piace vivere nel comfort,nell’abbondanza,sfuggire alle angustie delle necessità e delle specifiche tradizioni,e rispettare le proprie divinità. Infatti,di frequente si sentenzia che i vinti con la loro cultura giuridica,con i concetti di bellezza ed i principi morali catturino l’attenzione ed il desiderio di emulazione dei vincitori. Forse è per questa ragione che l’essere umano in ogni luogo e tempo immagina un Eden da cui siano espunte la fatica e l’insicurezza.
Anche la sommaria descrizione dello sviluppo economico italiano ,con tutti i suoi successi e limiti,non è estemporanea alla materia qui discussa perché illustra un processo che in larga misura avviene su spinte di necessità ,che sono plausibili,ma che in seguito non ha saputo innovarsi e trovare nuove stabilità in relazione al mutamento rapido dei tempi. In fatti,ogni sviluppo estremizzato,deficitario di una guida e di sinergie lungimiranti tra gli attori,raggiunto il suo limite intrinseco,per molteplici ragioni,inizia un declino traumatico e psicologicamente scuote gli individui sin nel profondo delle loro intime convinzioni. E’ quello che si verifica in Italia,complice anche una crisi economica ,culturale e sociale di dimensioni globali. Soprattutto perché la società intera non è riuscita a controllare i fattori di produzione,l’innovazione,la organizzazione di efficienti istituzioni,il debito pubblico, infine a riformare la giustizia e a porre attenzione al mercato:i costi di tali variabili sono cresciuti a dismisura quasi senza che nessuno si interrogasse sulla loro sostenibilità presente e futura. Qualcosa di incontrollabile avviene purtroppo in molti Stati e società,che sono indebitati con la finanza mondiale e le cui scelte sono insoddisfacenti verso le basilari aspirazioni di uguaglianza dei cittadini,anzi si dilatano le disuguaglianze, quindi la considerazione vale non solo per il nostro Paese,ma drammaticamente li coinvolge tutti,sia quelli a direzione democratica sia quelli a governo autoritario. Tutte le invenzioni culturali mondiali,infatti,compresa l’economia,hanno seguito i trend di maggior profitto ed ora si trovano in un ingorgo storico,paralizzante, da cui è difficile districarsi perché bisognerebbe rigettare i dettami ed i principi fin qui utilizzati come le ideologie,le burocrazie,l’economicismo, le organizzazioni statuali e del mercato nonché i paradigmi culturali che ora informano il mondo. Forse ci sarebbe bisogno di un gesto generoso e coraggioso quale la remissione dei debiti o qualche potlach o sostituendoli con altre forme di servizi e di compensazioni affinché la maggioranza del consorzio umano abbia a sufficienza il necessario e possa restituire il di più, senza,tuttavia,ripercorrere le piste finora battute. L’esito di tali operazioni,secondo noi, non sarebbe il crollo dell’economia , dei contratti e dei meriti,ma l’inizio di una rigenerata responsabilità che ora latita a molti livelli decisionali, paragonabile alla parabola dei talenti dove si apprezza il frutto dell’intelligenza e del lavoro mentre si censura la negligenza ,lo scialo e la neghittosità. Forse una serie di ristrutturazioni dilazionate dei debiti sovrani,concordate ad alto livello ed accompagnate da altre misure in tutela degli strati più deboli della popolazione,ci farebbero guadagnare del tempo utile per riformare le istituzioni,le forme giuridiche e la cultura delle società. A vantaggio di tutti, poiché si sa che comunque ogni trend ,sviluppandosi senza equilibrio,ci avvicina con rapidità alla confusione e all’entropia.
Gli esiti di un trend spesso sono l’esagerazione e la ripetizione di alcuni meccanismi di causa –effetto fino all’ossessione,più o meno latente. Senza che ci siano filtri o schermi moderatori,purtroppo. Le opzioni antecedenti,assunte sia in modo volontario sia involontario o casuale , da decisori istituzionali o meno si perpetuano automaticamente sugli sviluppi successivi di un qualsiasi comportamento o direzione,così tutti i settori della attività umana toccati da tale vettore assumono una traiettoria prestabilita. Ad esempio,la ridondanza di un particolare aspetto di una cultura,come l’idealismo irredentista o revanscista,determina con una elevata probabilità, in ambito storico-economico, occasioni di conflitto e di costante dissenso fra contendenti o fra nazioni di opposti interessi. Vedasi le accidentate relazioni diplomatiche tra la Francia e la Prussia nel XIX e XX secoli scorsi o quelle tra il Regno d’Italia e quello d’Austria nel medesimo periodo. Qualsiasi ambito della attività umana,da quello conoscitivo a quello operativo,materiale o spirituale,potrebbe essere automaticamente trascinato nella rapida corrente di simile fenomeno e rimanerne impigliato. Un trend ,infatti,persegue i propri obiettivi in modo compulsivo,coinvolgendo tutti i settori della vita umana affinché la propria visione del mondo si imponga con l’influenza del movimento e della imitazione piuttosto che con l’uso diretto della costrizione fisica e psicologica. Sono tutti gli individui ,ma anche gli oggetti e gli strumenti da essi costruiti ed inventati che in questo vortice si coinvolgono perché rimanere ai margini della sua spirale accelerata significherebbe emarginarsi da sé ed auto-allontanarsi dalla nuova cosmogonia di valori. Il risultato del suo funzionamento è un mainstream di comportamenti involontariamente ripetitivi da parte di tutto il sistema e di tutti i suoi ospiti che l’insieme si muove all’unisono e tutto ci appare in un bagliore intenso di luce sì da accecare la capacità di intelligenza di molti().Perciò è difficile accorgersi quando siamo incanalati incautamente nella impetuosa corrente di un trend poiché la nostra esperienza in qualche misura ne è condizionata.
Un trend ,inoltre, ha un’altra caratteristica:è costretto a cavalcare la sua onda per essere alla pari degli altri competitori e per avere le risorse sufficienti a mantenersi e rafforzarsi nel mercato dei trend. Se è l’epoca dei treni veloci o delle piattaforme petrolifere molte imprese si orientano ai manufatti che servono a quelle costruzioni per stare con successo nel mercato globale,costituendo anche una ditta di fama internazionale. Le attività ad orientarsi verso tutto ciò che fa tendenza in molti settori della vita umana,inoltre,dalla robotica alle nanotecnologie,dalla promozione di certi stili di vita e di consumo alla giurisdizione e ai regolamenti generali,plasma con le proprie protesi tecniche e col proprio immaginario la cultura generale e le opinioni di vasti strati di individui al di là dei confini dei singoli stati nazionali. Talché risulta assai problematico limitare tale imperialismo culturale,che di frequente,nella letteratura sociologica, viene descritto,esemplarmente, dalla metafora della prigione dorata o da una vischiosa catena di nuove dipendenze mascherate.
Altri aspetti singolari di un trend sono la intensità persuasiva della sua comunicazione con cui calamita automaticamente il consenso e la attenzione attorno ai suoi vitali interessi e la soddisfazione e la tranquillità che offre a coloro che accettano le sue modalità di vita e di sviluppo. In tutti gli individui prevale in maniera massiva una sensazione di adattamento acritico alla situazione ,che si immaginano accettati e si identificano con quei determinati valori che la distinguono e caratterizzano. Un trend inoltre è tanto potente nei suoi scopi quanto più riesce ad offrire opportunità economiche agli individui , consentendogli di acquisire mezzi,strumenti e status symbol in modo semplice e naturale da alleviarli e da scagionarli dalle fatiche e dal degrado fisici nonché dalle afflizioni morali e dalla precarietà di una precedente routine di vita e di consuetudini. Il passaggio dalla civiltà feudale a quella industriale ne è un eloquente esempio(12)K.Marx). Un trend si differenzia perciò dalle abitudini pregresse soprattutto perché elargisce alle persone e alle comunità un senso di gratificazione e di sollievo nonché una tecnologia che consentono a loro di superare senza affanno i problemi del vivere in un ambiente relativamente sicuro. Durante la ricostruzione post-bellica,infatti,molte persone hanno abbandonato le campagne per inurbarsi,lavorare come operai vicino alle città perché comunque era un modo di vita più confortevole e tranquillo rispetto alla fatica sui campi. Di solito la traiettoria di un trend storico economico è puntata verso il meglio e la liberazione da ogni sorta di costrizioni per una moltitudine di persone,ma non è detto sia sempre così perché rispetto ai suoi effetti di lungo periodo potrebbe arrecare dei danni collaterali originariamente inestimati e perché gli orientamenti dei trend minori,quali per esempio il buon umore in famiglia o il buon posto redditizio,dipendono dalle scelte di ciascuno o dalla pressione delle circostanze,che possono essere per noi variabili fortunate o avverse. Perciò ogni trend conserva sotterraneamente almeno una ambivalenza costitutiva ,rinvenibile sia nel buon funzionamento per perseguire i propri scopi obbligati sia nelle tracce evidenti rilasciate dalle scorie e dagli scarti degli eventuali effetti patologici. Sicuramente è patologico e provoca sofferenza allorché mira ciecamente ai propri obiettivi accantonando i tempi , i modi ,le tradizioni,le consuetudini nonché la storia degli ambienti attraversati perché in tale caso il suo meccanismo persegue scopi estemporanei ed allogeni rispetto alla primitiva scena di azione,di cui non tiene conto. E’ difficile comunque misurare a priori,se non per ipotesi,la temperatura,la salubrità e gli effetti di stabilità e di equilibrio di un qualsiasi trend,perché anch’essi, come per gli esseri viventi ,soffrono di crisi cicliche o improvvise, che, normalmente,tramite dei laboriosi passaggi correttivi, riequilibrano gli eventuali scompensi. Si è concordi però nel ritenere che gli scopi del trend maggiore,più vigoroso ed organizzato,subordinino ed orientino a sé tutti i trend minori(eterogenesi dei fini). Ciò è valido soprattutto per la dote personale di esperienza che arricchisce ed accompagna ciascuno mentre attraversa il mondo. Anche se l’individuo non filtra una raffinata esperienza ,le finalità del sistema generale di vita sono comunque intatte ed efficaci e raggiungono il loro scopo. Il meritato guadagno o il minimo reddito legale accordati a ciascuno dalla “società affluente”,infatti, garantisce i consumi di tale sistema,e,nel contempo,la sua vitalità,indipendentemente dalla positività o negatività degli esiti. Che si perseguono automaticamente comunque.
Inoltre,la direzione di un trend o di una civiltà, a nostro parere, verso finalità di insaziabile acquisizione o di cautela nei comportamenti,di attenzione agli approfondimenti della conoscenza o di piega verso l’affarismo dipende dal residuo livello culturale con cui,tramite la critica, si metabolizzano, si studiano e si implementano nella vita ordinaria tali “affluenti inclinazioni”. Succede ai trend ,infatti,ciò che capita a noi stessi:se pensiamo di stare fisicamente bene proseguiamo con le medesime e costanti abitudini finché non avviene l’imprevisto,il chiaro sintomo di una malattia ,ed allora ricorriamo alle prescrizioni mediche. Ogni trend quindi si muove in una direzione ,anche per forza d’inerzia,e non devia dai propri obiettivi costituiti dall’attività dei suoi interni meccanismi,incapace di sorvegliare e di fare attenzione alle istanze dell’ambiente esterno,che effettivamente ingloba,finché non si inceppa per surriscaldamento ,saturazione di offerta o per cortocircuito. L’influenza di una cultura determinata,come la civiltà dei consumi,in questo caso va in tilt. Sembra che attualmente si sia giunti a questo punto cruciale sia nella politica ,sia nell’economia e sia nella giurisdizione tra gli Stati nonché nei rapporti tra gli individui. Infatti,anche la situazione culturale e sociale è tesa tanto da considerare che si è prossimi ad una rottura dell’equilibrio sinora esperimentato. I sintomi sono molteplici:dall’assuefazione alle situazioni della vita ordinaria al senso di depressione e di eccessivo adattamento ai condizionamenti diretti ed indiretti della civiltà dell’iperconsumo,circostanze con cui si restringono irrimediabilmente i sogni, le attività e finanche le utopie degli individui.
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Con ciò si intende affermare che ogni estremizzazione di un modello o di un trend,quando non ha più uno spazio vitale in cui muoversi,svilupparsi,arreca del danno piuttosto che offrire soddisfazioni:per il fatto che tale processo non ha in sé dall’origine un’idea di equilibrio e di avanzamento cauto ed avveduto,ma parossisticamente si accartoccia e si agita in modo vacuo su se stesso. Avviene nella società un fenomeno di eutrofizzazione come negli stagni:un’unica forma di vita si adatta allo spazio e debilita la coesistenza di tutte le altre.
1.14 Modalità di riappropriazione dell’esperienza
In questa situazione complicata,tuttavia, si impone una domanda importante. Che ne è della esperienza degli individui e delle collettività ? E quale esperienza si forma e quali condizioni la migliorerebbero? L’esperienza ,come si è detto,è un provare liberamente secondo l’impulso della curiosità innata il rapporto che abbiamo con gli uomini,le cose , l’ambiente circostante ma anche con i nostri sogni.E’ una misto di rischio e di libertà assai ponderati. E’ avere iniziativa per toccare ,manipolare i materiali ed esplorare lo spazio circostante,costruire con essi dei grezzi meccanismi che ci servono per fantasticare e,tramite questa originaria elaborazione,raffinare i nostri sentimenti,le personali emozioni,il nostro pensiero e le nostre strategie di soluzioni dei problemi contingenti. L’esito di queste attività è il germoglio della fiducia in se stessi,che si trasforma ,mediante un’alchimia di verifiche e di valutazioni successive ,in speranza che le medesime iniziative mirino a soddisfare i bisogni psichici ed operativi di ciascuno. Ad esempio, un bambino di circa due anni mentre gioca e corre attorno ad un tavolo spesso incoccia su uno spigolo, piange per il dolore,ma dopo ripetuti giri osserveremo che lui procede con speditezza facendosi schermo con la mano dal pericolo. Fare esperienza è perciò ipotizzare anche schemi di interpretazione del mondo,imparare parole e concetti nuovi,immaginare scenografie inedite,provare la veridicità di percorsi possibili,mai intrapresi. E’ un crescere,è la ricchezza dell’individuo:infatti senza esperienza non c’è storia,non c’è biografia,non c’è consapevolezza né dignità di sé né responsabilità né il diritto di affermare o di negare o di scegliere qualsiasi cosa. L’esperienza quindi è una fonte di democrazia,di relazione e di certezza perché garantisce lo sviluppo individuale e collettivo arricchito da una partecipazione responsabile e confrontabile tramite una intensa comunicazione culturale e intellettuale.
L’esperienza effettiva conferisce ordine e significato alle vicende umane,rendendo il piano delle attività individuali adeguato alle ambizioni personali con ricadute psicologiche stimolanti per sé e per la comunità ospitante. Una esperienza ben condotta infatti restituisce validità e certezza alle opinioni,alle iniziative e ai giudizi espressi in un ambito determinato di vita,nel senso che ha dentro di sé,nella propria originaria costituzione, i criteri e le direttive per confrontare le attività ,gli atteggiamenti e i comportamenti di uomini e di istituzioni. Tramite l’esperienza si sa se le cose,gli strumenti ed i pareri elaborati ed utilizzati nelle incombenze e nel quotidiano sono in regola o no,contemporaneamente si individuano e si “provano” gli accorgimenti necessari per restituire efficienza ed armonia agli impegni intrapresi.
L’esperienza sia intenzionale o involontaria porta ad una approfondita conoscenza pratica, utile per la nostra vita, perché essa comunque ci tocca ,ci leviga,aiutandoci a giungere a nuove e più precise definizioni concettuali di ciò che incontriamo nell’ambiente di riferimento. Infatti partecipare ad una seduta di esperienze scientifiche in un laboratorio attrezzato ,seguire con diligenza le diverse fasi di un esperimento,ci rende più consapevoli dei principi e delle regole che spiegano molti fenomeni. Fare un esperimento quindi ci abitua a selezionare con rigore i criteri di valutazione, gli strumenti ed il materiale adatti a spiegare una nostra teoria o la “teoria” sugli avvenimenti del mondo. Una forza come la pressione infatti si comprende meglio premendo sul palmo di una mano con un utensile appuntito e sottile piuttosto che con uno più arrotondato , largo e piatto. Da questa esperienza grezza si può ragionare sul fatto che un oggetto affilato ed appuntito penetra facilmente su una superficie,anche se questa è costituita da materiali più o meno resistenti,secondo una formula che esplichi che la pressione è uguale al rapporto tra la forza penetrante di un vettore più o meno sottile e la resistenza del materiale che si vuole perforare. Altro banale esempio. Se si desidera conoscere la somma del perimetro o la estensione di qualche superficie irregolare,anziché affaticarci di misurare tutti i lati e le altezze potremmo usufruire delle figure di triangoli e di rettangoli o di trapezi ideali che in essa si scorgono per facilitare i calcoli .E’ quello che si fa generalmente negli uffici statali sulle rilevazioni dei satelliti e sulle mappe inserite a sistema dagli operatori. Quel che qui ci preme di sottolineare è il fatto che di passaggio in passaggio la conoscenza procede da un piano concreto ad uno più elaborato,schematico,riutilizzabile in parecchie occasioni,che è un esito di operazioni economiche e comunicabili. Di solito una esperienza chiarisce le situazioni più disparate perché illumina la nostra mente ed amplifica la nostra conoscenza delle cose, ed il nostro comportamento da un semplice e generico fare qualcosa ed incontrare degli eventi diventa tramite essa un agire consapevole e razionalizzabile.
Perché nella società contemporanea,definita del ” welfare affluente”, non si fa una esperienza arricchente? La risposta è articolata,dipendendo dalla valutazione delle situazioni particolari degli individui, e ,di conseguenza, non potrebbe essere diversamente.
Innanzitutto ,si intuisce che l’esperienza che si fa dipende dall’ambiente che si percorre e che si frequenta,perché in esso avvengono gli incontri,gli episodi e le azioni che ci influenzano. Ogni bambino impara dai comportamenti e dalle espressioni linguistiche della propria famiglia e dall’ambiente che pratica e dagli altri ambienti che incontra casualmente o abitualmente. Anche gli adulti si adattano sia alle regole degli ambienti di lavoro specialistici sia alle circostanze o agli eventi occasionali che gli capitano o verso i quali si sintonizzano. Quindi,l’esperienza non è mai un dato oggettivo,valido ed uguale per tutti,perché,sebbene ci siano gli inevitabili condizionamenti dell’epoca,del periodo storico e delle circostanze,ciascun individuo attraversa e calca la scena storica con la propria soggettività,la propria dote intellettuale ,con una particolare percezione e con il personale sentimento dell’accadimento delle cose. Nonostante questa importante precisazione,tuttavia,ognuno di noi è inserito nei macrotrend che caratterizzano le epoche storiche, perché sono più potenti ed organizzati delle attività minori. L’uomo del medioevo aveva ,ad esempio, un rapporto col potere,la giustizia,la fede e l’etica differente rispetto a come percepisce i medesimi istituti l’uomo contemporaneo e moderno. La forza attrattiva di un macro trend è dimostrata facilmente anche dalla potenza di penetrazione che ha sulla psicologia degli individui e delle masse la propaganda faziosa di un regime politico totalitario.
Tuttavia,se tale interpretazione è scontata in linea di principio,non si deve sottacere che la civiltà dei consumi orienta più delle altre epoche la vita degli uomini. Che sono condizionati maggiormente dai suoi meccanismi di feed-back verso il consumo delle cose,degli oggetti,e,soprattutto,verso il sacrificio sistematico del tempo,che deve essere bruciato in fretta. Infatti,la lotta contro il tempo,immolato nel rogo della velocità,diventa spasmodica. Bisogna arrivare prima degli altri a proporre le novità sul mercato,al successo in tutte le attività che ci interessano,a godere del denaro e di che cosa con esso si ottiene e compera. Si pensi ,nel merito, all’attrazione fatale ,che si sprigiona dai programmi televisivi dove si propongono ricchi premi o si sponsorizzano avventure in isole esotiche in cui il vincitore viene reso famoso e ricco perché partecipa con artistica simpatia ai format e riesce ad avvincere gli spettatori più degli altri concorrenti. Molti soggetti restano ammaliati da tali proposte tanto che si candidano a frotte per un ruolo di soubrette o di personaggio importante:lo fanno in nome della fama,del denaro facile e dello stato di strana autonomia che gli consente di spendere e di divertirsi senza vincoli sociali o morali. Con la trasmissione di questi spettacoli , vengono abbandonate le vie tradizionali della saggezza e del corretto vivere ,che imporrebbero sforzo intellettuale e disciplina morale per raggiungere le virtù,la prudenza e la fama nella condotta,principi che vengono scialati e sostituiti dall’uso di scorciatoie,dagli spintoni e dalle furberie,che edificano ed implementano nel percorso della vita una mentalità aleatoria,da gioco di roulotte,tutti atteggiamenti volubili che alimentano un inesausto desiderio individuale di opportunismo , di stupire continuamente la platea e di ottenere facili guadagni ,contrari alla coerenza e alla costanza negli impegni verso sé e soprattutto verso gli altri. Infatti,se tutti li emulassero che ne sarebbe della società e degli insegnamenti virtuosi consegnatici dalla storia? Rimarrebbe il nulla. Inoltre,se ,per paradosso, tutti fossero raccomandati chi occuperebbe i posti messi a concorso se non i soggetti più conosciuti o potenti di una qualsiasi organizzazione partitica o di altro genere?Ma i più forti e i più rappresentativi sono anche i più adeguati e i più intelligenti ? Quanto meno ,ci sarebbero numerose perplessità.
Tuttavia,dobbiamo asserire che la nostra vita comunque si svolge entro il trend” vincente”,che assomiglia ad una enorme corrente di eventi in cui fiorisce il telaio delle nostre ed altrui relazioni ed in cui si avvalorano , si sostanziano e si edificano la nostra esperienza e conoscenza del mondo. Verosimilmente in questo colossale flusso avviene una specie di florescenza,come le praterie oceaniche del plancton,costituita dai numerosi contatti e dagli incontri delle nostre individuali attività,una pulsazione animata che vivifica la nostra esperienza. Essa infatti,ci piaccia o no,al macrolivello si sviluppa entro gli argini di questo fiume sotterraneo ,naturale ed incomprensibile,almeno sul momento,ma ineluttabilmente esso è l’orizzonte della nostra conoscenza,da cui siamo condizionati e a cui,inconsapevolmente, ci subordiniamo. Noi perciò viviamo la nostra esperienza in tale fluire. Ovviamente,ciò è sempre avvenuto,tutti siamo stati avvolti dalle contraddizioni delle nostre situazioni sia storiche sia contingenti,ma ora non siamo purtroppo autonomi nemmeno nelle questioni ed attività più semplici,che interessano la nostra quotidianità perché anche in tali aspetti risultiamo condizionati e facilmente “orientati”.Non è bene quanto capita. Probabilmente mai come nell’odierna età dell’affluente consumismo siamo schiacciati in modo pesante dal macrocondizionamento che ci impedisce l’autonomia e la libertà critica del pensiero e del movimento. Sebbene nella retorica ufficiale si valorizzino e si difendano la qualità e la concretezza dell’abbondanza di fatti e di risultati,indubbiamente la nostra esperienza è di tipo adattativo, atrofizzando con costanza ,nel suo procedere,le altre forme di” mondi possibili”. Che perciò non sono ordinari o stanno scomparendo dalla situazione quotidiana,sebbene alcune forme di esperienza ipotetico-deduttiva siano praticate nelle alte accademie scientifiche,con ciò divaricando cospicuamente la forbice tra l’esperienza comune della gente e quella “educata in laboratorio” delle élite. Le conoscenze e le pratiche delle persone comuni sono nella fascia bord-line della sufficienza standard anche perché la gerarchia del potere intellettuale e scientifico ha imposto una comunicazione “autoritaria” del sapere e perché la “scuola universale” ha fallito drammaticamente i suoi compiti di elevazione culturale e sociale del popolo. Manca,infatti,qualsiasi timido accenno ad un ‘esperienza di tipo attivo e proattivo con cui si limiterebbe l’influenza dominatrice di un particolare mega-trend, proponendo altre opportunità di modalità di vita o controllando con efficacia meno deterministica gli esiti di una evoluzione già direzionata delle cose. Un trend prevalente porta con sé una dose consistente di “determinismo” ,e questa caratteristica si legge in ogni “modello di tendenza” ,dai più semplici ,di cui abbiamo immediata contezza,come sarebbe un comunissimo dialogo ,ai livelli man mano più elaborati come potrebbe essere uno Stato. L’esperienza adattativa si estende come crema sullo stampo sociale predeterminato,assumendone le forme e le pieghe anche più minute, e per tale motivo non è in grado di suscitare l’avvertenza sufficiente a contrastarne l’influenza egemone né a scorgere il limite oltre il quale il soggetto dell’attività non è più l’uomo ma l’edificazione,la macchina. L ‘uomo non è più la sorgente dell’iniziativa per costruire e migliorare le protesi strutturali che sono attorno a noi, ma la fonte delle attività,delle scelte e dei valori è la loro organizzazione interna ,che colorano l’esperienza , lo sviluppo esistente e si arroccano a difesa dei corporativismi o dello status quo. Trovare il discrimine di questo limite è importante perché eviterebbe di fare molti errori e di rovesciare i vantaggi in svantaggi.
Di fronte al dilagare del fenomeno storico ed economico del condizionamento,molti critici scelgono la strada del decondizionamento culturale tout court,parlando di decolonizzare gradualmente l’universo dell’immaginario e della conoscenza così come si sono stabilizzate nei comportamenti delle società industriali(13),altri esperimentano una critica che li conduce a riscoprire i modi di vivere in comunità cooperative e parsimoniose ,affrancate dal desiderio di quantità cumulative per riscoprire la frugalità del pensiero classico , l’importanza dello studio e del lavoro nonché il piacere di una vita contemplativa vicina al lento trascorrere delle stagioni. In alcune di queste comuni,la cassa dei soldi è comune per gli acquisti ed i pagamenti dei servizi di ciò che non può essere prodotto o fatto all’interno,esemplarmente le famiglie e gli individui si aiutano vicendevolmente e si scambiano le rispettive professionalità a zero costi affinché il gruppo possa godere di una armonia e di una tranquillità meno stressanti. In breve , la corrente della decrescita,-figlia di studiosi che hanno vissuto o che conoscono le dinamiche dei paesi del cosiddetto terzo mondo-, è contraria con argomentazioni suggestive alla economia così com’è e come si è evoluta nella storia ,mentre la corrente dei cooperatori e dei gruppi di critica alternativa si ritirano dalla odierna contingenza mercantilistica ,pensando che il proprio esempio sia il più saggio e facilmente perseguibile. Tuttavia giudichiamo che se non c’è almeno un’economia non c’è alcun valore,e ,nella migliore della ipotesi ,quando una relazione non è violenza del più forte,si ritorna allo scambio puro e solidale per soddisfare le reciproche necessità. Ma,così facendo , scomparirebbero la meritocrazia , la valorizzazione delle abilità individuali ,il dono e la gratitudine,che sono caratteristiche fondate dalla cultura occidentale ed universale, di cui abbiamo bisogno nelle nostre attività. La filosofia dei gruppi alternativi per contro si limita a praticare una visione della vita distaccata dagli eccessi rutilanti e materialistici,vicino alla natura,bella,buona o cattiva essa sia,ma comunque in simbiosi con la società dei consumi di cui avverte gli echi lontani. Sul piano politico bisogna tuttavia tracciare tra le due visioni una netta separazione:mentre il movimento antieconomico è esclusivamente intellettuale,è nato nelle università e solo di recente si è esteso a gruppi di militanti,il movimento delle “comuni” è sorto attorno a personaggi carismatici, che hanno influito enormemente con la loro dottrina e predicazione sugli adepti e sui seguaci ,in qualche caso sino al plagio. E’doveroso rammentare che in pochi casi ,ma non per questo insignificanti,i gruppi carismatici sono considerati più pericolosi degli altri per l’ordine costituito poiché,ad esempio,in alcune primeve comunità si ammettevano dei comportamenti non consentiti dalle autorità ,come il libero amore o la comunione dei beni nonché una vita di eccessivo ritiro e mistero ,separata dalla convivenza sociale. Entrambe le ipotesi di critica sociale,secondo noi, preconizzano un ideale mondo alternativo o sono prigioniere del miraggio di ricostituzione dell’ Eden primitivo,seducente ed armonioso,difficilmente ottenibile per le strade della cultura e della riforma sociale tout-court ,poiché di mezzo c’è la situazione attuale e la fossilizzazione delle istituzioni. Nell’odierno “mondo occidentale”,infatti, ci sono cinque Mld circa di individui che dipendono dal trend consumista dell’ipercapitalismo,persone che non sono autonome e senza questa organizzazione,che accettano incondizionatamente, non saprebbero nell’immediato come vivere e ricostruire una diversa esperienza. Perché da questa condizione sono quotidianamente “impegnati,formati e levigati”.Gli stessi decresci tori sono consapevoli di questo dramma e tentano risoluzioni alternative all’imperialismo economico,parlando tout-court di “società della decrescita”. Ma se questa via andasse bene per l’occidente,sarebbe accettata dall’oriente e dagli altri che ci scopiazzano?Forse no. Quindi non è agevole percorrere con la ragione della convinzione la via della deindustrializzazione perché tale processo sarebbe quanto meno soggetto a defatiganti negoziati ed incomprensioni tra popoli che hanno avuto differenti opportunità di approfittare dello strepitoso sviluppo, che ha aperto la mensa ed il godimento soddisfacente a milioni di persone. Dire a costoro che sarebbe necessario invertire la rotta e avere una diversa consapevolezza sul divenire di Gaia sarebbe un modo indiretto anche per affermare il diritto di ricostituire un sorta di colonialismo del pensiero ,dopo che essi hanno assaggiato il sapore delle opportunità dello sviluppo. Dire che il mondo avanzato ha sbagliato le linee di sviluppo è una considerazione fragile e meschina dopo aver saccheggiato il pianeta e risulterebbe una posizione incomprensibile da molti ,che si sentirebbero dolosamente raggirati. Noi viceversa apparteniamo alla categoria di coloro che si ritengono vicini alla “sostenibilità culturale dello sviluppo e della vita”,ma ,come vedremo,in un senso particolare,che mira sia alla prevalenza di una “cultura orientante e istituente” lo sviluppo ,e,nel contempo,ad allontanare nel tempo l’entropia insita in ogni attività biologica e materiale. Non ci opponiamo e non ci ritiriamo astrattamente dalla storia dello sviluppo economico,ma utilizzeremo le sue strutture vincenti,quali la formazione,il lavoro e la comunicazione,per infiltrarvi dei “cavalli di troia”ed orientare secondo i nostri scopi quelle stesse forze incontrollabili. Noi riteniamo,infatti, che tutte le correnti di pensiero stigmatizzatrici del consumismo e dell’iperindustrializzazione abbiano partorito un discorso critico, giustamente reattivo ,al fenomeno incontrollato,ma siano nell’alveo comunque di uno schema stimolo-risposta,altrettanto ammalato di iperattivismo come lo è la molla gigantesca che li ha generati. Una forza incontenibile ed inspiegabile che ,in prospettiva, per alimentarsi distrugge alla fine tutto il vantaggio che ha creato(cupio dissolvi).Tutto il male infatti viene individuato unilateralmente nell’insensato mondo del capitalismo della concorrenza:un accusa generica e tiepida,secondo noi. Sembra un ossimoro che proclama roboante la rivoluzione dei costumi, i cui effetti sono però deboli. Viceversa la società del consumismo,secondo noi,non è il nemico perché essa è la conseguenza di un meccanismo automatizzato,parossistico ed autoproducentesi,il vero limite è nella nostra incapacità di controllo della situazione ,nella nostra voracità e nella esplosione delle energie titaniche e distruttrici dell’es individuale e collettivo. Che vanno educate,non in modo totalitario. In sintesi ,è mancata una cultura del controllo, insufficienza che,in molti ambiti dell’umano agire,si è manifestata con un evidente acquiescenza al feticcio dell’esagerazione. Che ci ha condotto ad essere oggetti di uno sviluppo automatico piuttosto che soggetti della cultura dell’equilibrio e della prudenza. A pensarci bene,una tristezza dopo mezzo secolo di istruzione pubblica aperta a tutti.
In contrasto al timido o al provocatorio atteggiamento verso la deludente ed allarmante piega che la storia ha sviluppato-la qualificazione dipende dal punto di vista dei decresci tori o dei pragmatici-,noi siamo per una operatività umana fondata su alcuni principi imprescindibili alla portata di tutti e di facile applicazione. Siamo anche per riflettere sul fattore tempo e farlo pesare realisticamente su tutta la vicenda poiché riteniamo che esso non sia stato considerato appieno dai fautori della decrescita né dagli “anacoreti isolazionisti”.La grande rivoluzione della odierna situazione si può immaginare coll’intelletto come ritengono e praticano i filoni critici dello status quo,ma non si può omettere che noi nel frattempo siamo nel guado delle questioni e dobbiamo convivere e districarcene. Non si può essere perciò contro l’agenda dell’economia pensando di disintossicare lo sviluppo con semplici operazioni intellettuali che si fondano su argomentazioni tessute da prefissi magici come il “de” o il “ri” ,o, semplicemente, adottando la strategia della fuga. Ri-fare la storia dell’uomo o de-potenziare il suo immaginario,et similia,oppure conficcare la testa sotto la sabbia,sono solo delle scorciatoie che saziano menti e corpi tranquilli. Del resto,gli stessi fautori della decrescita,-che sono i critici intellettualmente più agguerriti-, sostengono che essa ,prima di un programma elettorale, è una concreta utopia di speranza e di sogno(14).Con una bava perciò di cerchiobottismo:cioè una transizione verso una rivoluzione agognata e,contemporaneamente,solidarismo conviviale e prudente verso l’establischment politico. Gli obiettivi della scommessa “decrescista” ,infatti ,sono contestualmente “possibili ed impossibili”,facili e difficili,da raggiungere da parte di piccoli gruppi di associati plurilocalizzati:una circostanza insufficiente di fronte alla conclamata ed incombente catastrofe ecologica. Neanche la lumaca,simbolo della decrescita, procede così lenta. Belli esempi di accademismo radical shic,in definitiva,con pochi circoli affiliati ed un corollario di letteratura terzomondista ,che ha suscitato acredine verso lo sfruttamento coloniale,come era prevedibile e giusto,ma non ha promosso in quei Paesi uno sviluppo economico democratico ed equamente condiviso da quei popoli. Risultando una sgradevole fotocopia di quello occidentale,ma con maggiore ingiustizia. Oppure un bel monito di un’accademia di neocatecumeni illuminati ,privo del carisma di martiri e di testimoni per sostenere la propria causa poiché ,tristemente, il mondo è troppo secolarizzato anche per essa. Il sommario dell’agenda “decrescita”,benché volenteroso,è esile per sovvertire il paradigma attuale dello sviluppo economico. Perché,secondo noi,non tiene conto come è avvenuta la storia delle rivoluzioni copernicane nella scienza e nel costume, né come si è susseguita,incistandosi lentamente,ma radicalmente, nelle credenze e nel pensiero del tessuto sociale. Tanto che la vischiosità è la loro inconfessabile eredità ,essendo rintracciabile in ogni filone culturale e biologico(l’ontogenesi ricapitola la filogenesi).Quindi,i paradigmi culturali non vengono ribaltati facilmente:storicamente sono gli sconvolgimenti esterni come le catastrofi o gli shock interni conseguenti a cruenti conflitti ,che producono mutamenti e cambiamenti sostanziali rispettivamente nella biosfera e nelle società. In ogni caso ,sebbene si sia costantemente accorti e vigili sia nei confronti di un impatto con degli asteroidi o dell’incendio improvviso dell’atmosfera terrestre sia di un ‘esplosione di una centrale atomica o dell’uso generalizzato di pesticidi , il monitoraggio severo non ci immunizza dall’ineluttabile entropia finale. Non sappiamo quando accadrà l’apocalisse. Di fronte a tale destino c’è chi grida opportunamente allarmato contro lo sviluppo economico smisurato, individuato come la causa principale del dramma ,perché ritiene che tale preoccupante esito sia estremamente anticipato. Soprattutto per il progressivo degrado della biosfera. Tuttavia,quando si passa all’operatività, i medesimi tendono ad allearsi con gruppi o associazioni che a nostro avviso sono elitari e distaccati dai cittadini perché all’obiettivo dell’avvertenza popolare aggiungono una faticosa intermediazione. Inoltre,i medesimi distinguono l’alta politica dalla politica spregevolmente politicante,intralciando così il processo di sensibilizzazione della gente comune sulla grave minaccia dell’inquinamento e dell’implosione economica. Siccome tale informazione deve avvenire in fretta,la nostra posizione culturale cerca tutte la alleanze e sinergie possibili,anche della politica bassa,purché si faccia carico di provvedervi con delle legislazioni generali, con specifici divieti, con comportamenti coerenti ed accettando le regole democratiche. Inoltre,ci differenziamo dalle tesi “dei decrescitori e degli isolazionisti “perché noi approfittiamo delle agenzie che strutturano la narrazione eroica e paradigmatica del turbo-capitalismo per inocularvi dei “trojoans gifts” e trasformare la sua vittoria nei prodromi di una sconfitta,che, paradossalmente,è il successo di tutti e di tutto. Perciò,la tavola delle regole della nostra condotta relazionale si basa sui seguenti cinque capisaldi,rintracciabili anche nella esperienza comune e non solo confinati nell’astrattismo scientifico o nella strumentalizzazione di utopie più o meno positive.
Primo:non nuocere a sé ,agli altri, alle cose e agli animali.
Dedotto dalla pratica e deontologia mediche dichiara che lo specialista,per essere considerato un professionista,non deve volontariamente operare e scegliere delle terapie contro la condizione del paziente. Similmente,devono agire gli uomini verso gli altri e ciò che hanno di fronte.
E’ il principio che tiene legato tutti gli altri perché ogni decisione ed attività deve corrispondere alla tutela della nostra e dell’altrui vita e sicurezza,comprendendo in tale visione anche le cose materiali ed immateriali esistenti nel mondo. E’ anche una modalità tradizionale con cui si esprime la saggezza ,che è il massimo valore culturale di ogni tempo e luogo. Ad esempio,l’inquinamento e lo sfruttamento sistematico delle risorse terrestri provoca scarsità di beni preziosi come la terra,l’acqua e l’aria. La penuria tuttavia è un concetto economico importante perché ,per evitarla, accelera dei comportamenti aggressivi e competitivi ,che sfuggono al controllo della ragionevolezza e sfociano,storicamente, in azioni selvagge di emulazione prevaricatrice e dominatrice. Di conseguenza ,molte specie animali e vegetali,come numerose culture, sono scomparse o in via di estinzione,impoverendo la comprensione della nostra storia di relazione con il mondo e indebolendo la nostra cultura generale. Anche l’implementazione radicale di abitudini di vita in contesti culturalmente differenti ,senza l’adeguato tempo di assimilazione e di vaglio,genera scompensi e disagi nei comportamenti degli uomini,che non si integrano intelligentemente ai nuovi modelli perché sono vistosamente disturbati:benché attratti necessariamente dal nuovo, avvertono nel contempo un senso di colpevolezza per il tradimento dei valori dell’ambiente di provenienza. In breve,bisogna tener conto di un importante ammonimento ,che è anche una inedita virtù:il rispetto e la dignità che dobbiamo avvertire di fronte alle persone,alle cose e agli animali,ed ai loro ambienti, sono delle rilevanti qualità e dei nobili atteggiamenti che dobbiamo promuovere e sottolineare durante la nostra vita per scrivere effettivamente una grande storia collettiva. In questo senso,l’uomo di uno sperduto villaggio piuttosto che forzato e condizionato a tralasciare le proprie consuetudini deve essere lasciato libero di provare e di accettare consapevolmente l’integrazione nella novità, valutata in modo autonomo migliore della vita precedente.
Secondo:un dovere di responsabilità e di equità verso tutti e tutto ciò che vi è di animato ed inanimato nel mondo.
Brevemente,l’espressione significa che ciascuno avvalora,perfeziona e distingue il proprio operato di fronte all’autorità della storia e della evoluzione culturale ,soprattutto dei loro valori istituzionalizzati e generalizzati. Che sono i valori del rispetto,della reciprocità , della riconoscenza e della gratitudine. In genere ,un figlio apprezza un padre quando gli trasmette in eredità doti professionali ,economiche ed una alta reputazione. Altrettanto dovremmo fare nei riguardi delle risorse umane,vitali ed immateriali del mondo.
Il conferire dignità culturale e adeguata considerazione ad ogni essere o cosa diversa da noi ,è un atto di elevata responsabilità politica perché ci abitua alla convivenza e ad agire tenendo conto delle varie esigenze e presenze ,che hanno il diritto di coabitare con noi anche per la nostra sicurezza di specie. Le cose ,gli animali e gli uomini non vanno eccessivamente sfruttati o strumentalizzati in modo irragionevole e spericolato perché avremmo degli effetti collaterali nocivi per l’equilibrio generale della biosfera, e,soprattutto,per la nostra sopravvivenza. Dobbiamo accettare di convivere sia con la varietà di cose sia con le differenze individuali,soprattutto considerare ed apprezzare il diverso grado di efficienza e di autonomia con cui si esprimono gli uomini rispetto agli standard valutativi delle rispettive società o ambienti. Molti sono gli sfortunati che per scarsa qualità ed incapacità non possono gioire pienamente dei doni della vita,ma non per questo li dobbiamo cinicamente ignorare,ma farcene carico. La responsabilità deve guidare ed unire il tempo della vita e della storia individuale e collettiva:passato,presente e futuro devono essere disegnati secondo una progettualità culturalmente condivisa e perseguita come un’avvertenza principale per non nuocerci. Di fronte al tribunale della storia e della cultura,pertanto, dobbiamo convalidare le nostre azioni o confessare ed espiare le nostre manchevolezze. La costruzione attorno a noi di una “protesi” equilibrata e delle istituzioni rassicuranti nonché sostenibili è un atto politico rilevante per garantire la dignità della nostra vita e la continuità della nostra e delle altre specie nonché delle cose che parsimoniosamente ci servono. Come si nota il soggetto di tutte queste azioni è l’uomo e le sue proiezioni culturali devono essere monitorate costantemente e guidate per il meglio e per il bene. Equità e giustizia sono la misura del suo agire. Quindi l’essere responsabili è una manifestazione di cultura tout-court,altrimenti si è nella sfera di comportamenti egoistici,individualistici,categorizzabili come atti di imperialismo o di razzismo e di scarsa comprensione e relazionalità. Questi ultimi sono comportamenti paragonabili agli atti predatori anziché culturali.
Terzo:l’esercizio di condotte sostenibili ,che evitino surriscaldamenti ed amplificazioni di alcune azioni sulle altre. Si tratta di esercitarsi nel controllo indefesso di ogni attività e situazione per non cadere nelle maglie di un qualsiasi trend,di una routine automatizzata,che finisce per perseguire i propri scopi anziché le nostre finalità. Un mega-trend evidente è ,come riferito,la società consumistica contemporanea che orienta e convalida certe nostre abitudini e comportamenti piuttosto di altri,ma sullo stesso livello possiamo identificare altri modelli,altrettanto rigidi benché le loro prescrizioni siano invisibili .Anche una semplice competizione o un diverbio,con la spirale di azioni e controazioni,o un modo sistematico di fare le cose rientrano in tale schema interpretativo perché provocano in noi determinate risposte o comportamenti prevedibili ed esclusivamente giustificabili entro i confini operativi di tale punto di vista. Comportamenti che non sono convalidati” erga omnes”. Una discussione,ad esempio, può sfociare in grave litigio,una fabbrica,se non corregge alcuni processi,può inquinare. Si tratta di evidenziare le insidie nascoste di alcune nostre azioni. L’inavvertenza di tali catene e orientamenti ci espone inconsapevolmente a dei pericoli per la nostra specie e per la continuità storica della cultura. In generale,sono delle sequenze di azioni,ripetitive, di facile esecuzione,narrate come dei meccanismi tendenti ad obiettivi prederminati,sui quali possiamo intervenire solo parzialmente e sui quali non abbiamo alcun potere interdittivo perché superiori alle nostre possibilità di comprenderli nella loro complessità. Il fatto però di agire anche in maniera parziale è di somma importanza perché ci abitua a redigere dei progetti dominabili e ad approfondire la conoscenza delle nostre attività. Nella nostra vita individuale e collettiva il programmare delle storie, delle “imprese”,l’avere delle visioni sociali,politiche ed istituzionali vuol dire definire delle progettualità ,fattibili ed equilibrate,da perseguire con il consenso degli altri,considerando altresì le forze storico-sociali,economiche e geopolitiche compresenti. In ogni caso,la scienza ,il monitoraggio ed il controllo costanti nonché il buon senso devono preavvisarci di quando un’attività o un processo si trasformano in disequilibrio,da disturbare e da compromettere la vita ed i progetti di tutti.
Quarto :esercitarsi alla prudenza,valutando i vantaggi e gli svantaggi di ogni singola scelta affinché l’opzione avvenga e si concretizzi come l’esito di una decisione effettuata da un terzo rispetto agli elementi ed ai soggetti in campo. Si tratta di individuare e di risolvere negli effetti e nella esecuzione delle nostre decisioni e operatività le aporie ed i paradossi che in esse frequentemente si annidano. Nel farlo bisogna essere vigili ,severi ed oggettivi .Si spiega meglio questo principio ricorrendo ad un esempio indiretto,che sembra lontano,ma nella realtà calzante. E’ opinione comune che i risparmiatori ed i consumatori tendano a tutelare i propri interessi. Desiderano ottenere il massimo profitto dai propri faticati risparmi o pagare una merce di meno a parità di qualità, di merito , di prestazione e di ulteriori servizi. Il cittadino va dove gli conviene. Nessuno si sogna di criticare tali preferenze perché ampiamente accettate dalla cultura e dal mercato. Il cittadino in questo modo è anzi coinvolto con le proprie opzioni a definire il mercato e a convalidare la cultura corrente. Tuttavia,si va in tilt ,secondo noi,quando il piccolo gruzzolo, unito alla massa di altri risparmi ,viene utilizzato in cifre astronomiche dalla finanza globalizzata ,che deve assolutamente ottimizzarli per reggere la concorrenza,assai spietata tra le imprese del credito,perché tale “scelta forzata” crea delle instabilità e turbolenze monetarie e finanziarie incontrollabili. La grande finanza cerca in giro per il mondo il profitto ed il valore ,che maggiormente si ottengono riducendo i costi di produzione nelle singole aziende ed amplificando il mito della efficacia ed efficienza dei processi. In teoria grandi banchieri , risparmiatori e consumatori ,tutti dovrebbero guadagnarci,in pratica,paradossalmente,il mercato superefficiente espelle molti operai ,riduce il potere d’acquisto degli occupati ,innestando una spirale di impoverimento progressivo. Analogamente,molti Stati ,che hanno perfezionato un sistema di welfare di scala per tutelare i cittadini ,si trovano in difficoltà nel mantenere tali servizi ,- predicati dalle correnti illuminate del pensiero sia riformista sia conservatore-,e progettano del debito pubblico,che dovrà comunque essere onorato,riducendo così sul piano internazionale la loro autonomia di decisione e di intervento. La conclusione del discorso è che la ricerca giusta del massimo interesse di ciascun cittadino,se non è ben governata,produce degli squilibri generali che arrecano a tutti svantaggi indesiderati e sono sorgenti di ansia e di preoccupazione piuttosto che di tranquillità. E a lungo andare ciò può avere degli effetti critici sulla cultura e sulla stessa democrazia così come si sono definite nel tempo. Sinteticamente, in ogni nostra azione,semplice o complessa essa sia, c’è una elevata probabilità di errore e sarebbe etico che la cultura individui con tempestività quando una routine anziché vantaggi ci arrechi danno. La formazione di questa abilità è il punto centrale di tutto il nostro contributo,e l’abbiamo individuata nello studio e nella applicazione della criteriologia. Che è un sistema aperto e dinamico che ci abitua ad operare tenendo conto di regole ,semplici ed evidenti,che hanno lo scopo di facilitare i nostri giudizi , le nostre scelte e la nostra operatività affinché non ci nocciano nell’immediato e in prospettiva. La tavola di queste norme di buon senso devono inoltre principalmente godere del valore della terziarietà perché le nostre azioni siano valide per la collettività e per le cose che manipoliamo,allontanando qualsiasi conflitto d’interessi. Dovremmo essere responsabili di ciò che facciamo e di ciò che pensiamo per essere pronti a correggere i nostri errori ed i nostri comportamenti. I principi che noi qui proponiamo sono dei condivisibili esempi di terzietà.
Quinto:il dovere della reciprocità relazionale in tutti i rapporti tra culture,persone ,processi e tra gli ecosistemi presenti nel mondo.
Ad esempio,Gaia non va violentata dalle attività umane ,qualunque esse siano,sia industriali,commerciali,organizzative , politiche e dal monopolio totalitario della cultura corrente.
Il genere umano ha comunque diritto,in una certa misura,di elaborare una cultura diversa ,di promuovere leggi ed istituzioni che lo orientino alla convivenza ,di avere sufficiente cibo,vestiario e di vivere dignitosamente sulla scia delle proprie specifiche tradizioni. I popoli non devono essere forzati ad abbandonare le proprie consuetudini in ragione di acculturazioni improprie e strumentalizzate,al contrario è loro autonoma scelta accogliere,tramite la relazione, elementi di sincretismo culturale.
La condotta umana deve essere guidata da criteri,concordati da tutti e convalidati da comitati terzi rispetto alle ragioni delle parti,per evitare che i processi e le organizzazioni avviate sfocino in surriscaldamenti e contraddizioni incontrollabili.
Tutti i popoli e gli Stati devono collaborare con ogni strumento a loro disposizione affinché le organizzazioni e le istituzioni terze siano organicamente coinvolte con diritto di veto ,di consigli e di raccomandazioni vincolanti in qualsiasi decisione che concerna il metodo democratico e la coesistenza tra gli ecosistemi mondiali.
Tutti gli esseri viventi e tutte le cose devono godere di rispetto e di considerazione,analizzati nel loro contesto e nei loro effetti,le particolari situazioni devono essere valutate secondo criteri equi di opportunità e di merito etico. Opportunità significa che bisogna tener conto della storia con cui certe caratteristiche si sono sviluppate nel tempo. L’attuale crisi sistemica dell’economia ,che provoca disoccupazione allarmante ,soprattutto giovanile, non può essere risolta ,ad esempio, applicando misure ragionieristiche ed utilitaristiche,espellendo dal lavoro altre maestranze. Non si deve essere vincolati esclusivamente dalla stabilità di bilancio di un’azienda o di uno Stato,ma,prevedendo gli eventi futuri,negativi o positivi essi siano, bisognerebbe fare delle scelte più coraggiose e protettive,mettendo in campo ogni mezzo possibile,compreso la solidarietà collettiva verso i più sfortunati. Merito significa che ci si deve comportare secondo giustizia sia nella previsione dello sviluppo delle organizzazioni e delle società sia nella operatività contingente affinché le nostre opzioni siano eque, pur nel rispetto della storia,delle esigenze e dei diritti presenti e futuri delle genti e delle cose. Perciò si deve avere l’intrepidezza di cambiare anche paradigma culturale se tale opzione è la più giusta e sostenibile. Il mutamento dei punti di vista ,infatti, provoca una flessibilità salutare nei comportamenti, nelle istituzioni e nelle decisioni ,rendendoli coerenti ed auto correttivi rispetto a condizioni cristallizzate.
Selezionati i principi in argomento,chi deve e come si deve o è adeguato operare?
Questo “si deve” non ha nulla a che fare con un rapporto di autorità ,di un indirizzo esteriore e tecnocratico,ma è un obbligo che ciascuno deve avvertire e coltivare come una propria guida interiore. E’ indubbio che la suddetta rivoluzione assiologica dapprima deve essere applicata da ogni singolo individuo ,che operando nei gruppi e nella comunità a lui vicini ne attiva l’esempio,ma sappiamo anche che egli è ,nelle odierne circostanze, debole ed inerme di fronte alle contraddizioni del trend ipercapitalista o dell’inefficienza politica. Quindi l’agenda etica coinvolge direttamente anche la collettività,che deve muoversi nell’alveo di questo nuovo costume,unendo alla propria visione i destini dei singoli. La sinergia di particolarismo e di universalismo promuove infatti nella società una visione superiore alla interessata partigianeria degli egoismi ,soprattutto nei momenti di crisi lacerante,perché nonostante la pesantezza del malessere,non viene naturalmente meno l’attitudine umana alla solidarietà,alla compartecipazione e all’aspirazione di uscire dal cupo ed opprimente labirinto. Certo,ciò deve capitare nel massimo rispetto di ciascuno,ma ,nella onerosa composizione degli interessi ,la politica deve svolgere appieno il suo compito. Come si nota, il nostro discorso per un verso si muove dentro la tradizione storico -culturale,quando ad esempio dà fiducia alle capacità di rinascita del singolo,ma per un altro inchioda alle sue responsabilità il costume e l’etica corrente di una società esageratamente consumistica,richiamandola ad una operosa solidarietà. Il tramite tra le esigenze individuali e la garanzia del minimo esercizio di regole generali è la politica. Se ad esempio la grande finanza e la grande industria non rispettano i principi avanti enunciati,uno Stato ha il dovere di garantire i diritti essenziali dei propri cittadini con leggi che tutelino il lavoro e la sua stessa sopravvivenza. Non deve avere paura dell’accusa di protezionismo, ma resistere alle pressioni di vario tipo ,a costo di far saltare il piatto della libera concorrenza e del libero mercato. Se degli imprenditori accecati dal profitto stracciano qualsiasi contratto di solidarietà sociale ,sostenuta anche con ulteriori coperture pubbliche ,Lo Stato deve appropriarsi temporaneamente delle fabbriche e dei macchinari ,far lavorare gli operai alle direttive di dirigenti statali professionisti ,-tanto ce ne sono parecchi-,e garantire alla produzione tutte le agevolazioni fiscali ed organizzative per incrementare il marketing e l’appetibilità di quei manufatti. In periodi di grave crisi ,inoltre,Lo Stato deve ripensarsi,riformarsi ed amministrarsi, come in una situazione di emergenza ,finché i diritti e gli obblighi di quei principi non vengano ripristinati. Ad esempio,deve riorganizzare la struttura delle sue sedi welfare-istituzionali per garantire i diritti essenziali dei cittadini quali un sostentamento dignitoso,la salute ed una nuova cultura ,da considerarsi beni comuni. Inoltre,promuove la sospensione temporanea degli effetti di alcuni istituti giuridici vigenti quali,ad esempio,la tutela dei diritti riconosciuti o la proprietà privata di cose e benefici strumentali al reddito, deliberando delle leggi che acconsentano di agire con massima solidarietà e compartecipazione alle gravi situazioni in cui si trovi la cittadinanza. In caso di inquinamento o di fallimenti o di disoccupazione massiva,si può con tempestività sequestrare una fabbrica e congelare emolumenti, pensioni e vitalizi il cui importo è stridente rispetto alla situazione media della popolazione e provvedere con efficacia diversamente. Lo deve fare soprattutto quando i diritti e le certezze dei singoli cittadini e della intera comunità sono resi insicuri ed impraticabili se non si agisce e non si cambia. In queste circostanze,uno Stato deve risolvere la questione giuridica tra la libertà individuale di gestire i diritti consolidati a proprio esclusivo vantaggio o tutela e la responsabilità sociale in cui essi si muovono ,che ,a nostro avviso ,deve essere talvolta cogente. Ma in primo luogo deve contrastare gli interessi essenzialmente finanziari delle grandi lobby e delle grandi banche,che, messe alle strette,sono maggiormente interessate ai profitti immediati piuttosto che alle responsabilità sociali delle loro scelte. Gli Stati devono perciò impegnarsi a regolamentare pesantemente i paradisi fiscali(Caiman,Bermuda,Dubai,Andorra,ecc),nei cui forzieri si annidano ingenti masse di denaro, che ,movimentato secondo i disegni strategici di questo cartello, turbano come un improvviso ciclone la vita dei mercati,dei medesimi Stati e delle popolazioni. La loro spericolata azione ruba le emozioni e la vita quotidiana di molte persone ,assoggettate al loro capriccio e agli interessi nascosti. Tuttavia,la presenza di questi luoghi speciali è,a pensarci bene,fisiologica ed antropologicamente accettata dal cosmopolitismo affaristico e speculativo. I santuari del segreto bancario e del fisco vantaggioso,infatti, sono simili a quegli angoli , privi di vincoli e di regole, che i bambini usano nei giochi. Quando un ragazzino è stanco si ritira in uno spazio,la sua tana,in cui nessuno lo può catturare e comunque finché non rientra in gioco nessuno gli può vietare qualcosa. Simili nascondigli venivano utilizzati ,storicamente,anche dai pirati e dal malaffare per moltiplicare l’illegalità,poiché senza di essi in numerosi casi non c’era più l’affare e l’utile. Nulla è cambiato,tranne il fatto che questa “terra di nessuno” ora è legalizzata e da essa partono iniziative incoerenti con l’equilibrio o l’andamento dello status quo,che sconquassano la tranquillità del mercato ,per il tornaconto di architetture che sfuggono all’analisi della pubblica opinione. In genere, sono strumentalizzazioni ad uso politico e finanziario per destabilizzare alcuni Paesi e per avere su di essi l’influenza necessaria per orientarne la politica .Talvolta,gli suggeriscono una politica espansiva sostenuta dal debito, che sono costretti a negoziare,talaltra sponsorizzano scelte di forte recessione e razionalizzazioni sui servizi del welfare, ed in questa oscillazione ludica ,che inquieta od illude la gente comune,nei momenti di crisi nera,tutelano i propri investimenti. Una diastole ed una sistole prolungate. Il tutto assomiglia ad una molla che viene all’inizio compressa e quindi automaticamente rimbalza,creando una fiducia illusoria di uno sviluppo economico.
Inoltre,un governo lungimirante,avvalendosi delle conoscenze dei tecnici e degli studiosi,può anticipare e prevedere i morsi laceranti di improvvise crisi economiche prolungate,proteggendosi dai cicli negativi con funzioni ed interventi anticiclici ,positivi e concreti ,per la tenuta del reddito,dei consumi e di soddisfacenti servizi ai cittadini. Di più,non deve consentire che certi settori industriali,commerciali o altre attività crescano troppo, formando delle bolle ingestibili dal mercato e onerose per l’erario generale. La produttività nelle varie filiere deve essere regolamentata verso il limite del settanta percento delle rispettive potenzialità,per reggere all’urto cruento e drammatico di eventuali crisi. La parte restante va colmata con l’innovazione tecnologica dei macchinari ,dei materiali, della versatilità delle funzioni dei prodotti ,dei processi nonché con la generalizzazione di una nuova cultura come potrebbe essere la sicurezza nell’ uso dei manufatti o nel posto di lavoro. La medesima funzione trainante dell’edilizia o dell’automobile,ad esempio, è valida e sicura per un determinato periodo oltre il quale si rovescia in saldi critici e negativi per la collettività ,se non si apprestano delle soluzioni alternative contingenti, strutturali e culturali. Deve vigilare affinché in ogni comparto produttivo,fin dove è possibile,la domanda sia corrispondente o leggermente superiore all’offerta di beni. Si deve altresì considerare nel conto anche i flussi verso l’estero di merci e di manufatti. Di conseguenza,la spesa pubblica aggregata doveva e deve attestarsi entro dei limiti di copertura,individuati nel 35% del PIL, non superarli e,contestualmente, lo Stato doveva e deve qualificare e scegliere come e dove intervenire . Se la spesa sfugge a questi limiti siamo tutti in pericolo e con l’ansia. E’ all’interno di tale discorso che si avvalora l’ipotesi che con l’innovazione scientifica e tecnologica,razionalizzando gradualmente alcune spese(sprechi),un governo possa prevedere un reddito di cittadinanza e riformare le leggi,le professioni ,i tempi e le esperienze del lavoro. Siamo consapevoli che è nel complesso una strategia complicata ,ma tale opzione deve essere comunque prevista ed applicata. La pratica del modello prudenziale e cautelativo,infatti, ci consapevolizza sull’eventualità di fallimento o di scacco delle nostre iniziative,allontanando comunque dal nostro orizzonte spiacevoli drammi quali la disoccupazione e l’incertezza di protezioni eccezionali.
In periodo di emergenza lo Stato deve intervenire per ristrutturare l’efficienza di scuole ,ospedali, edifici pubblici e le infrastrutture ordinarie ed anche con opere pubbliche di rilevante importanza quali strade,linee ferroviarie(tav) ed altre opere. Ridisegnare le reti aereo portuali ed i traffici marittimi. Però deve contrattare con i residenti di quelle zone, ascoltarne le opinioni ed i giudizi e spiegare le ragioni sociali di tali lavori. Eseguire una seria analisi dei costi e dei benefici,dei vantaggi e degli svantaggi non esclusivamente economici. Se servono da volano per l’occupazione e l’indotto ,se non sconquassano il costume di vita ,se non alterano il territorio in modo sconvolgente,se non sono nocivi per la salute,allora si potrebbero trovare le ragioni di un accordo consensuale purché i benefici economici delle opere lascino nelle località coinvolte,oltre alle necessarie compensazioni,anche una parte del ricavato ed un credito fiscale pluriennale da parte dello Stato. Nelle grandi opere vanno studiate anche soluzioni non convenzionali quali attraversamenti in tunnel sotterranei od aerei di periferie cittadine o di centri abitati purché belli da vedere quasi come la ruota di Londra e meglio delle sopraelevate di Tokio.Il tutto deve essere armonioso e non inquinante,graziosamente integrato con l’ambiente e studiato per non sottrarre altro territorio all’agricoltura e al paesaggio.
Deve inoltre favorire la riqualificazione edilizia anche per i meno abbienti con prestiti d’onore, restituibili in tanti anni , anche dai pensionati al minimo, con una cifra simbolica o restituendo in parte l’integrazione dell’inflazione perché una casa sicura ed efficiente previene comunque sprechi e disequilibri di bilancio(meno gas importato e meno farmaci).Obiettivo che va perseguito con una politica della casa e dell’abitare sicuro e confortevole per tutti ,ristrutturando ed edificando ,secondo i criteri dello stato dell’arte, con materiali innovativi ,salutari e traspiranti,per garantire la maggiore sicurezza dei residenti con minor costo di energia. Tali decisioni vanno integrate,comunque, con un’accorta razionalizzazione urbanistica delle città ,dei paesi,del traffico,dei trasporti,dell’uso e del consumo di territorio affinché il tema del coordinamento , della razionalizzazione, del disegno unitario ed armonioso sia superiore alle fughe degli interventi a pioggia ,atomizzati,disordinati e dispersivi. Le grandi e popolose città metropolitane devono essere di conseguenza suddivise in unità amministrative a dimensione del cittadino di ogni età e si deve ripristinare la sinergia tra il tessuto urbano e quel poco che resta del rurale ,per ricompattare il territorio in modo intelligente attorno a dei nuclei di servizi e di usi fruibili da tutti. L’organizzazione dei trasporti e del lavoro devono essere coordinati per evitare sovra -dimensioni temporanei negli spostamenti,collassi viari e elevato inquinamento e stress. Laddove possibile, le grandi arterie viarie vanno liberalizzate e potenziate nei pressi di città e cittadine per evitare lo scempio di circonvallazioni che non si sa che vantaggio arrechino per le attività produttive locali.
In tale contesto,si dovrebbero sostenere le piccole imprese territoriali,che occupano maestranze locali,per le opere di manutenzione ed intervento continui,un po’ come avveniva per le “ officinae “ delle cattedrali in Europa o come avviene per gli impegni della fabbriceria del Duomo di Milano. Il vantaggio sarebbe di configurare un progetto di un’occupazione per lunghissimo periodo, riducendo i costi di sprechi ,dovuti soprattutto alle onerosissime intermediazioni del rapporto vicino-lontano. La politica fiscale pertanto deve favorire le attività,i progetti e le scelte che evitano,a parità di condizioni,maggiormente gli sprechi di ogni genere.
Infine ,promuovere una rete sociale di comunità,individuando su questa ottimale dimensione i bisogni degli abitanti con i rispettivi servizi essenziali quali la salute,l’istruzione,il commercio,la posta ,l’ambulatorio medico,le chiese,l’ufficio digitale decentrato del Comune per collegarsi con altri uffici statali o privati,in cui anche gli anziani possono usufruire di servizi adeguati o sbrigare incombenze quotidiane. Si devono generalizzare i servizi di telemedicina per monitorare i pazienti senza che escano di casa o dal circondario. Gli ospedali e gli ospizi vanno digitalizzati affinché tutte le attività curative ed i laboratori siano ,all’occorrenza ,collegati in rete e si possa condividere il monitoraggio di casi specifici. Queste comunità devono avere anche luoghi per lo svago e gli incontri come parchi,sale giochi,biblioteche e una agenda di eventi con i quali espandere lì informazione e l’esperienza di ognuno.
L’attività politica deve favorire questa nuova sensibilità culturale ,che ordinariamente sembra un’utopia. La politica secondo noi ha quindi il compito importante di elaborare dei criteri di scopo , di controllo e adeguate finalità-valori con cui sostenere il complesso dell’attività economica e sociale .Altra sua missione,non secondaria, è l’ edificazione di progettualità congruenti a tali finalità , conferendogli “un’aura speciale” per orientare in senso etico l’operato sociale degli uomini e delle organizzazioni. In questo senso,avvedutamente,il nostro osservatorio non rifiuta apriori tutti i contributi che possono integrarsi alla politica,a partire dai messaggi religiosi,dalle associazioni e dalle idee dei singoli,compresa la politica politicante. Quest’ultima,anche se invischiata ovunque ,come è intuibile,nella ragnatela dei trend turbo- capitalisti dell’affarismo spericolato ,-che perseguono uno sviluppo economico estremo e,per alcuni versi, insopportabile ed immorale –,se non altro ci serve come obiettivo delle nostre sferzate critiche,che catturano audience,aumentando la consapevolezza della cittadinanza a vedere chiaro in tutte le scelte che da essa vengono effettuate.
Con l’apporto di una opinione pubblica de- imbambolata e de-assopizzata ,depurata dalla propaganda di uno sviluppo continuo ed inarrestabile ,la politica non si deve esimere di fare delle scelte sociali e culturali rivoluzionarie per il bene dell’umanità e per la convivenza delle specie viventi e degli ecosistemi generali e particolari. Se non si agisce in fretta ,di fronte a noi ci sarà una serie di eventi calamitosi come allagamenti,tifoni ,esplosioni di centrali atomiche,inquinamenti che finiranno probabilmente per mutare la nostra genetica,l’avvelenamento dei cibi,recessioni economiche violente, disoccupazione e sogni infranti di generazioni di uomini. E tutto questo sarà il frutto tossico e degenerato di una politica cieca ed acquiescente ai giochi e alla avventura della grande finanza internazionale,succuba del profitto. Un comportamento esecrabile perché anticulturale e distruttore,che ripudia ogni barlume di umanità.
Per contro,lo Stato deve dominare la propria visione monetaria sulle dinamiche produttive e distributive interne con rivalutazioni e svalutazioni competitive della moneta,favorendo anche l’adozione di buoni.-moneta regionali,sostitutivi di quella ufficiale, per proteggere le produzioni manifatturiere ed alimentari specifiche di quei territori e per accelerare le transizioni commerciali e di scambio. Se le prime manovre hanno una valenza maggiore nei rapporti macroeconomici tra gli stati,la seconda opzione ha uno sbocco positivo e calmierante per consolidare o incrementare lo sviluppo economico e culturale dei territori. Ad esempio,la “carta locale” potrebbe valere pari, più o meno della moneta ufficiale,a seconda delle circostanze,della protezione di alcuni beni e servizi e della tutela del potere d’acquisto, da ultimo lo Stato interviene per pareggiare le differenze,convertire tali monete in modo equo e precontrattato con la governance regionale. In ogni caso,sia le macro sia le micro,sono misure stabilizzatrici dei sistemi e funzionano come mastice di certezza delle progettualità sociali.
Di fronte alla carrellata delle problematiche enunciate ,la politica deve altresì riformulare la propria agenda deliberativa ed operativa rispetto alla questione dei diritti-doveri delle persone,del fisco e degli aiuti e delle promozione di nuove piste socio-culturali,calando le proprie scelte sia sul piano istituzionale sia locale per ottenere una robusta sinergia di coordinazione e di collaborazione tra i poteri che gestiscono lo stato piuttosto che rinserrarsi in una dialettica defatigante,automatica e meccanica tra il centro e la periferia.
A livello istituzionale-parlamentare
La ricerca scientifica deve essere open free ,specialmente quella sulle energie rinnovabili e le loro tecnologie. Il principio della trasparenza della ricerca strategica e delle sue tecnologie,comprese quella farmaceutica, sulle nanotecnologie,sulle biotecnologie e sui nuovi materiali deve essere controllato e guidato,nel rispetto della libertà e delle modalità di conduzione degli scienziati e delle loro organizzazioni, dall’ONU e da agenzie internazionali. I programmi di ricerca avanzata devono essere finanziati da tutti gli stati membri,in base alla relativa capacità contributiva ed i frutti delle eventuali scoperte distribuiti in proporzione tra gli aderenti. Il messaggio è che tutti ne dovrebbero fruire senza intermediazioni utilitaristiche e senza vincolare le nuove tecnologie alle procedure di brevetto esclusivo , ad idee di controllo del loro mercato e di profitto. Le medicine salvavita,i protocolli curativi all’avanguardia,le tecniche produttive non inquinanti devono avere un costo politico sostenibile da tutti i cittadini.
Una quota di diritti di partecipazione indiretta agli utili sulla terra coltivabile ,da pascolo e boschiva devono essere distribuiti fra tutte le famiglie ed i cittadini. Lo Stato si prenderebbe cura con sovvenzioni dei piccoli e medi contadini per garantirgli una vita dignitosa e per consentire che i prodotti genuini e locali siano fruiti da tutti. Il diritto di partecipazione consente alle famiglie ,in base ai componenti ,di ottenere le derrate alimentari ad un prezzo bassissimo. La legge deve stabilire altresì regole affinché i governi locali possano indirizzare e scegliere una parte delle colture e degli allevamenti,e le Comunità e le municipalità locali dovrebbero stabilire ogni due anni quanta terra deve essere lasciata ai cittadini per la coltivazione di orti sociali con prodotti stagionali. Anche le altre aziende di beni e di servizi devono entrare in questa visione ed una quota delle loro produzioni deve essere “goduta ed usata “dai cittadini. La politica deve fare il suo compito affinché ciò avvenga in modo da non nuocere a chicchessia sia informando sia tutelando il cittadino, produttore e/o consumatore egli sia.
Non si applica la collettivizzazione della terra né dei mezzi produttivi perché si riconosce il diritto alla proprietà privata benché temperata dall’uso sociale della stessa ,dei prodotti e delle funzioni. Si favoriscono i mercati locali,vicini al produttore e al consumatore,per contenere significativamente i prezzi ed orientando verso la genuinità e semplicità i gusti culinari della gente. Quindi semplicità e stagionalità gastronomica significa anche notevole risparmio e un cibo sano o controllabile. Nella prospettiva della rivalutazione della terra,è necessario predisporre ,inoltre, una politica per la difesa idrogeologica del territorio tramite piani di forestazione,di ricreazione di biotipi, di corridoi ecologici per l’avifauna,di siepi frangivento,di cura generale dell’”ambiente” e dei suoi scarti, di salvaguardia del paesaggio e dei beni artistici in esso presenti.
Promuovere politiche dei beni comuni(acqua,energia,terra,aria,cultura ,tutela della salute,della viabilità,dei trasporti , del lavoro e del credito bancario).Da potenziare sia come concezione culturale sia come diretto coinvolgimento tramite la definizione legislativa del “diritto di partecipazione” ,riconosciuto ai cittadini per l’arco della loro vita. In questo modo sono coinvolti a determinare ,ad ogni livello amministrativo, le politiche economiche,ambientali,culturali, sanitarie e dei servizi territoriali dello stato. Il bene comune è di tutti e perciò va protetto,curato, rinnovato ma non sciupato ,per essere fruito da tutti in eguale maniera e per essere un tesoro che lega un particolare “ambiente” alla sua identità storica del passato,del presente e del futuro. Poiché il diritto di partecipazione esige e comporta la fruizione di questi beni da parte dei cittadini a costi politici e calmierati,è indispensabile che la politica eserciti il proprio potere delegato per risolvere il dilemma pubblico vs privato, soprattutto dei servizi comuni. Nel senso che essi vanno conservati in mano pubblica purché i costi di gestione e del consumo siano comunque inferiori a quelli attuali,gonfiati dalla burocrazia,e ,a parità di condizioni,anche di quelli gestiti dai privati. Solo se i costi per gli utenti sono vantaggiosi , i beni comuni possono stare nella sfera pubblica. Altrimenti vanno pensate altre soluzioni ,comunque nell’alveo del garantito “diritto di partecipazione”. E’ chiaro,tuttavia, che l’articolazione della intera proposta ha dei costi perché nulla da quando si nasce è gratuito,perciò anche fiscalmente ognuno se ne deve fare carico e l’agenda politica riposizionare in tale senso le sue priorità.
L’onere fiscale di ciascuno,inoltre, deve essere proporzionale ai rapporti di servizio o di uso che egli ha con l’ambiente sociale . Se un cittadino “esternalizza” nel territorio il risultato degli apporti negativi della propria attività quali l’inquinamento,l’inefficienza ,l’incuria,il danno erariale,la truffa e la frode,deve pagare di più l’utilizzo dei beni e dei mezzi comuni. Parimenti gli deve essere riconosciuto un merito se nella sua attività “internalizza” al massimo grado dei compiti che in teoria dovrebbero essere assolti dalla collettività. Ad esempio,se un agricoltore tiene in ordine ed in efficienza il suo terreno,permettendo lo scolo delle acque e liberandolo dalle erbacce senza uso di pesticidi o diserbanti dannosi,pagherà sì le tasse ,ma le istituzioni gli devono anche riconoscere dei meriti che gliele dovrebbero, in una certa misura, ridurre o che lo dovrebbero favorire in altro modo. Se un imprenditore dirige con previdenza ,proficuamente,la propria azienda e procura lavoro ad altri cittadini ,deve ottenere dallo stato dei riconoscimenti anche pecuniari o di vantaggio a carico della intera collettività. Perciò il saldo fiscale va eseguito anche contabilizzando le “internalizzazioni e le esternalizzazioni” di qualità,di altruismo e di rilievo-(oltre alla proprietà,al reddito e alla professione)- che ogni cittadino o azienda “dona” alla società.
Pensiamo infatti che ognuno sia titolare dalla nascita di “attenzioni” che riguardano i suoi diritti e i suoi doveri,sia egli un consumatore/produttore,un cittadino importante o umile,ma in tale prospettiva deve con responsabilità contribuire ,attivamente o passivamente,a seconda dei ruoli che gestisce e occupa, se offre o riceve attenzioni,alla costituzione della dote collettiva di tali servizi. E ciascuno deve svolgere nel migliore dei modi quello che sa fare affinché il vantaggio e la stima siano distribuiti fra tutti. I contributi individuali e particolari alla dote comune devono rispettare sia l’apporto effettivo di ciascuno sia essere equamente riconosciuti. Tuttavia ,è diritto e massimo dovere della politica e dello stato stimolare la responsabilità etica dei contribuenti e di migliorare costantemente i servizi in una gestione comunque solidale,equilibrata,non punitiva e vessatoria. Quindi le tasse ed i servizi devono essere per la vita,per la gioia,per l’ottimismo costruttivo e per l’impegno di ciascuno anche nell’alleviare le sofferenze dei più sfortunati o per garantire la tenuta di un sistema equo e solidale. Con ciò i meriti e le fortune dei singoli non vanno puniti, ma esaltati nel bene comune. Infatti,ognuno è quello che è,con proprietà , redditi e professione,certamente in virtù del proprio impegno e della propria sorte,ma anche in base alle condizioni e alle opportunità approntate dalla società di riferimento.
Tra le altre attività,la politica deve potenziare la scuola,estendendo l’alfabetizzazione a tutti. Si parla di formazione sia formale generalista,sia quella scientifica –matematica,sia di quella tecnica sia dell’educazione tecnico-professionale e manuale,che deve avere pari dignità alle altre. Ma la istituzione non deve formare le giovani generazioni con contenuti e professionalità esclusivamente congruenti ed appiattiti alle esigenze mercantilistiche del sistema vigente. Deve conservare una sua autonomia di cultura e di studio nella scia della eredità storica:perciò alcune abilità classiche sulla libertà del pensiero,quali il rapporto tra i problemi ed i numeri,la retorica e l’ermeneutica, devono essere rafforzate. L’obiettivo che essa deve perseguire è incrementare le abilità di giudizio e di iniziativa da parte dei cittadini. Cambiamenti di paradigmi culturali o una avvertita sensibilità verso le problematiche del mondo attuale sono infatti accelerati da una interiorizzazione della capacità critica di base. Ognuno deve possedere gli strumenti per analizzare gli sfondi culturali in cui vive ,e, se essi sono contrari alle esigenze naturali e civili dell’uomo,impegnarsi per modificarli. Non si pretende che la scuola sia guidata da intellettuali accademici ,organici ai partiti,né che l’opinione pubblica sia formata ed acquiescente ad una visione prettamente illuminata dai loro consigli ,ma si chiede che essa si attivi affinché la conoscenza e il fare dei cittadini operino per istituire una società integrativa e solidale. La società non deve essere guidata dall’intellettualismo elitario, che acquieta , valuta e stimola il popolo subordinato ,perché tutti i cittadini con il saper fare devono partecipare direttamente alla democrazia della polis. Viceversa c’è l’imbolsimento. Pertanto,la scuola deve praticare un itinerario liberatorio dai condizionamenti e coltivare ,oltre ai piani di studio odierni, anche le caratteristiche della pro-attività,della prudenza e della conservazione. Crediamo infatti che una cultura sia tanto più grande quando valorizza il meglio del passato,riconcettualizzando le categorie lessicali che lo hanno formato e riutilizzando ex novo le sue eredità ideali per corrispondere pertinentemente alla situazione contemporanea. L’innovazione tecnologica non è bandita ma serve per rinvigorire la nostra sicurezza e la nostra felicità della sobrietà e del maggior tempo da impiegare per noi stessi.
Si sa,ad esempio,che il contesto socio culturale è una bestia vitale di condizionamenti che imprigiona l’iniziativa e la volontà dei singoli,che agiscono in base alle caratteristiche dominanti del trend di quell’ambiente. Tuttavia nella storia dell’industrialismo c’è una sottile differenza meritevole di essere ricordata. Anche perché queste differenze ci inducono a riflettere sulla situazione attuale. Durante l’epoca del “positivismo”,agli albori dell’industrializzazione ,la scuola e le autorità analizzavano gli abbrutimenti socio ambientali anche per intervenire con leggi ed educare,c’era una politica che ,in un certo grado,favoriva e si preoccupava dell’ascensione sociale tra le classi di reddito. Viceversa ora ,nella stagione della maturità industriale non si educa né si emendano le storture sociali di origine,ci si diploma e ci si laurea ,ma non c’è occupazione, perché la cultura generale ristagna nell’omologazione e preferisce uguagliare le aspirazioni consumistiche degli individui piuttosto che selezionare e promuovere le loro qualità. Vuol dire che siamo andati ben oltre la giusta misura. Per contro,oggi la scuola deve essere,perciò, la messaggera e la curatrice di una cultura generalizzata della prevenzione per tutelare tutti dalle vischiosità dei surriscaldamenti ipertrofici di visioni unilaterali sia nelle interpretazioni cocciute dei fatti sia nello sviluppo distorto dei rapporti tra l’uomo,le cose e l’ambiente. Più che una scuola per le funzioni sociali deve essere una scuola per la vita ed per “esternalizzare” la cultura della conoscenza,della scienza e della laboriosità come bandiera di pace e di convivenza tra gli uomini e per la vita del pianeta.
Infine,la politica deve sfoltire la selva di leggi,regolamenti,prescrizioni ,autorizzazioni per scegliere la strada di emanare poche regole chiare,efficaci , trasparenti e di facile esecuzione. L’intricata foresta legislativa comporta ansia,dispendio di tempo,paralisi ,per cui di fronte a tale itinerario, vissuto da molti come una invalicabile barriera amministrativa, le idee e le iniziative buone si perdono e svaniscono. La burocrazia delle numerosissime regole e dei molteplici visti quindi produce spesso nei cittadini un effetto simile alla “eutrofizzazione” ed ognuno sgomita per avere la sua aria. Talvolta ,per riuscire ad ottenere celermente dei nulla osta , battere la concorrenza o soddisfare i propri irregolari interessi , qualcuno corre anche l’alea di pagare mazzette sottobanco,a scapito della trasparenza e del merito del progetto personale. Tale comportamento è diventato un serio problema sociale e non solo una agra realtà filmica. Anzi nei film si celia e si ironizza sulla bustarella ,ma non si va oltre un triste sorriso, finendo per essere indulgenti verso il malvezzo piuttosto che indignati. Infatti,nei meandri della amministrazione pubblica,tra incartamenti,faldoni,archivi ed uffici,da cui dipende la realizzazione di progetti e di iniziative,è percepita come normale la pratica di “oliare “ ,nella maggioranza dei casi,le procedure per ricevere una spintarella. Per evitare quindi che degli impiegati infedeli gestiscano a piacimento la “cosa pubblica “,la politica deve pattuire coi cittadini regole chiare,controllabili e procedure spedite. Non dimentichiamo che la democrazia è soprattutto l’efficienza delle regole.
A livello locale – individuale
E’ importante creare le condizioni per favorire la massima autonomia individuale fin da giovane età. Nei piccoli problemi ciascuno deve,fin dove possibile ed opportuno, contare sulle proprie capacità ,supportate da aggiornamenti e cicli formativi,da tenersi nelle biblioteche,in cui apprendere almeno le abilità di base e le dovute accortezze per svolgere lavori di giardinaggio,di piccola manutenzione della casa o sull’autovettura :ognuno deve saper fare qualche minima riparazione o potare una pianta. E’ un modo tranquillo per passare il tempo impegnando il fisico e la mente. In questa ottica, è necessario favorire nell’ambito locale lo scambio di professionalità a costi azzerati o contenuti,costituendo una banca degli impegni e del tempo. Ad esempio,se un muratore o un professore offre la sua abilità a chi necessita, può essere ricambiato da altri volontari con altri lavoretti,e così via,costituendo una catena di socialità e di solidarietà reciproca. E’ anche lodevole costituire gruppi di volontariato per eseguire lavori utili alla comunità come la tinteggiatura di aule scolastiche o dei municipi o la pulizia delle cunette , dei fossi e delle piste ciclabili,l’abbellimento delle aiuole,la manutenzione della segnaletica stradale o svolgere la funzione del nonno vigile o accompagnare e trasportare gli anziani nei presidi ospedalieri. Tutti questi impegni favoriscono la socialità e la responsabilità dei residenti verso l’ambiente in cui vivono,evitando di spendere del denaro pubblico, così da sostenere altre attività più stringenti come gli interventi nel sociale.
In tempi di crisi,è improcrastinabile costituire delle cooperative di produzione di beni,di lavoro e di consumi per tutelare la dignità dei cittadini sia garantendo la certezza di emolumenti sia di una sufficiente capacità d’acquisto per gli aderenti. La mutualità è d’obbligo per contrastare la povertà e la sensazione di precarietà incombente. Ad esempio,la cooperativa dei muratori può eseguire dei progetti di social housing o dei lavori di ristrutturazione di quartieri e di paesi tramite i prestiti d’onore,già suggeriti, concessi ai proprietari e di cui si faccia garante il municipio. Analogamente si opererebbe per i falegnami ed altre categorie artigianali. Forse gli artigiani avrebbero meno autonomia e soldi ,ma in cambio avrebbero l’assicurazione di un lavoro nelle vicinanze. In qualche maniera,i proprietari committenti dovrebbero essere avvantaggiati nell’ affidare i lavori alle cooperative locali,ad esempio anche con l’annullamento dei costi burocratici.Nel merito,grande rilievo dovrebbero assumere le piccole banche mutualistiche sia per garantire i crediti sia per sostenere la attività locali. Associazioni di liberi cittadini,inoltre,possono costituire dei gruppi per l’acquisto a costi vantaggiosi di derrate alimentari e di abbigliamento dai mercati generali da suddividere tra le famiglie residenti in un rione o in una via. Con la stessa procedura si possono acquistare merci e beni diversi ,dai frigoriferi alla cancelleria scolastica,o usufruire dell’assistenza di professionisti nelle incombenze burocratiche o ottenere in comodato d’uso dei terreni,in cambio di riduzione di tasse ai proprietari , per la coltivazione e l’allevamento,rispettivamente,di frutta e di ortaggi o di animali. Rilevante è anche riscoprire nel “locale” i vecchi mestieri della magliaia , del calzolaio,del sarto e della lavabiancheria:con l’ausilio delle macchine,anche se non alla moda, possono eseguire vestiti e scarpe resistenti e duraturi.
Vanno costituiti i banchi alimentari e dell’usato in cui la gente,opportunamente sensibilizzata, offra quello che ha di superfluo per distribuire ai bisognosi cibo e qualsiasi altro materiale come vestiario, mobili,elettrodomestici ,scarpe e giocattoli. Costituire una associazione di volontariato per venire incontro alle esigenze locali,è un grande esercizio di democrazia ,di sensibilità e di attenzione civica. Infatti,ci vuole studio accurato delle specifiche situazioni famigliari ed intervenire con tatto e con diplomazia per non scalfire la dignità e far sentir male le persone.
I municipi devono promuovere e favorire l’insieme delle attività solidali sia per garantire la sicurezza della comunità ,la sua storia e la sua identità,sia per tutelare i diritti-doveri essenziali dei cittadini. La conoscenza approfondita e condivisa della situazione locale rafforza la coesione sociale e l’unità di intenti per la ricerca di soluzioni non solo temporanee,ma costanti nel tempo. L’intervenire per opere di solidarietà o per contribuire al mantenimento e al decoro degli spazi e delle abitazioni o della chiesa stimola l’adesione ad una visione condivisa dei destini della comunità ,favorendo un legame tra i cittadini e l’ambiente che abilita tutti alla sua conservazione e a pratiche di maggiore socialità e partecipazione. La politica locale deve oggi perciò consolidare un immaginario ed un’esperienza di fratellanza e di unità tra i cittadini,un viatico che cambia certamente l’impegno e l’attenzione di numerose persone per la gestione dei beni comuni e per far regredire l’oppressione della povertà con un’amicizia operosa. Entro tale cornice nei bilanci comunali vanno rinforzate le poste per le spese di bollette,di cure mediche,di riscaldamento e di illuminazione delle famiglie in particolare disagio,aiutando almeno gli adulti a trovare un’occupazione possibilmente stabile.
Qualcuno criticherà la nostra proposta perché è contraria al libero mercato e danneggia gli artigiani, i contadini ed i vari professionisti,nulla di più bizzarro perché viceversa tali professioni sono valorizzate in dimensione locale e producono domande di lavoro per costi equi di realizzazione e per la storia sociale che edificano. Questa nuova modalità si aggiunge pertanto alle associazioni dei consumatori e produttori ,che già esistono , col risultato di favorire un adeguamento competitivo dei costi e una maggiore tempestività nei servizi.
In questa logica ,le autorità devono favorire la partecipazione attiva dei giovani e degli adolescenti alle scelte della famiglia e della piccola comunità,facendoli presenziare agli incontri e alle assemblee degli adulti,e responsabilizzandoli nei problemi secondo la effettiva comprensione dei casi e l’apporto che possono offrire. Non è un evento che disturba o onera la loro crescita,ma un modo diverso di maturare giudizi e convinzioni , di abituarsi alla discussione , al confronto e al vaglio di pareri. L’importante per essi è condividere le preoccupazioni degli adulti sui problemi che riguardano sia la famiglia sia la comunità ed osservare che soluzioni solidali vengono adottate. Per ciò che riguarda le riunioni del quartiere o del paesino ,con questa precoce esperienza si legano ,tramite le scelte degli adulti,alla comunità,ne assorbono le ansie e le speranze e vivendo la solidarietà e la democrazia in essa si riconoscono. Compito della politica,nelle situazioni critiche, è infatti impegnarsi per “esternalizzare” al massimo grado solo la solidarietà ed “internalizzare” produzioni, consumi e scarti,il tutto esclusivamente a livello locale per la maggiore protezione dei cittadini. Pertanto è necessario sia favorita una cultura generalizzata dell’operosità autonoma,del controllo e della trasparenza. Alcuni diranno che è poca cosa,ma intanto la partecipazione che si richiede a tutti e ad ogni età genera un atteggiamento impegnato e di attenzione che i modelli esistenti o praticati dalle grandi organizzazioni non producono. Vantaggi e svantaggi ,preoccupazioni o pericoli imminenti,con tale pratica, sono conosciuti e partecipati da tutti. Tutti devono fare esperienza sin dalla giovane età. E le nostre misure ci sembrano più concrete per raggiungere gli obiettivi del controllo partecipato rispetto alle altre ,ad esempio,che promanano dallo stato o dalle regioni o dagli iper- stati(UE), che sono più distanti nello spazio e nel tempo dalle situazioni di dolore e di incertezza che si notano nella dimensione locale.
1.15-Brevi considerazioni finali
Molti diranno che noi tentiamo un’agenda dei doveri ,assai lontana dalla realtà, e di cui non scriviamo un programma fattibile:rispondiamo ad essi che non si intende comunque redigere un libro dei sogni,-la grave situazione attuale non lo sopporterebbe-,ma chiamare tutti ad operare per il bene comune ,preferendolo alle ideologie politico-industriali e all’affarismo di cui sono l’emblema non i politici , ma dei talentuosi sensali forse travisati da politico. Infatti,per paradosso,quando si è alle strette e si ha un problema,si “deve scegliere di fare qualcosa” di specifico,non “un fare qualunque”.Inoltre,i principi operativi da noi indicati sono chiari,semplici,accettabili da tutti come un assioma. .
Ogni civiltà e società ad essa correlata può essere assimilata ad un gigantesco trend,che assorbe attorno alla propria energia propulsiva tutte le attività,i poteri istituzionali e culturali degli uomini.
Ogni trend persegue i propri scopi utilitaristici intensificando le modalità operative e le spinte interne idonee al proprio sviluppo egemonico.
E’ difficile stabilire quando un trend raggiunge il massimo di estensione della sua efficacia e i vantaggi si tramutano in danno e allarme per la società e per gli individui. E’ inoltre problematico individuare in anticipo quando dei trend più organizzati prendono il sopravvento su un trend dominante , finché il fenomeno non si è effettivamente orientato,consolidato e verificato. Per questo abbiamo individuato degli indicatori assiologici che tentino di prevedere quali comportamenti prudenti, quali operatività influiscano ,meglio ed eticamente, sugli effetti delle scelte e delle attività umane rispetto all’ambiente relazionale,socio-culturale e naturale. Riteniamo ,infatti,che senza una tavola pratica dei doveri ,per guidare ed accompagnare la nostra condotta, si trasgrediscano con facilità le regole della convivenza,della solidarietà ,della libertà,dell’uguaglianza,della giustizia nonché del rispetto verso la natura e le cose del mondo. Regole e rispetto che sono l’eredità delle idealità umane, anzi che sono le fondamenta della nostra società ,e che vogliamo conservare e che non siano sciupate dall’andamento incontrollato e fuori fase con cui spesso operano l’ economia,la finanza,la politica,l’informazione-propaganda,la burocrazia e le istituzioni.
E’ indispensabile che tutti,dalle classi dirigenti ai più umili del popolo ,dai rappresentanti delle religioni ai personaggi famosi,si impegnino per allestire le condizioni favorevoli affinché tutti facciano esperienza. Con essa, è certo che le possibilità di innovazione e di conservazione dell’umano agire siano tenute sotto controllo ,con saggio equilibrio, senza indulgere all’autoritarismo politico o tecnologico o piegarsi alla cieca e dozzinale casualità. Infatti,secondo noi,l’esperienza ,dopo la vita,è il bene più prezioso che possediamo perché ci consente di ricordare e di progettare ,e suo tramite possiamo sperare di vivere meglio e in relazione con tutto il mondo esterno. Condizione necessaria affinché si possa fare una efficiente e buona esperienza è edificare attorno a noi un ambiente sociale e culturale di libertà e di tolleranza verso le iniziative individuali ,che non siano nocive per ciascuno e per la collettività. Condizione sufficiente è che la guida etica dei valori non sia opprimente per qualsiasi alba di attività individuale ,che assicuri una gamma di lasco opportuno,entro i cui termini l’individuo possa rischiare e ricercare, con responsabilità e coraggio, il bene ,ma non l’eccesso di male. Una prima rilevante avvertenza è di sfuggire alle maglie tentacolari e suadenti dell’assuefazione al contesto in cui ci troviamo,tenendo sveglia la mente, perché le forze socio-culturali in esso presenti possono fuorviare ed offuscare il nostro pensiero e giudizio,allontanandoci,inconsapevolmente,da un libero agire e quindi da una feconda esperienza. Infatti,questo cauto atteggiamento deve essere in noi connaturato poiché qualsiasi trend,come lo è anche la nostra civiltà,condiziona e mistifica i nostri comportamenti e le nostre routine.
Le “strutture assenti” che costituiscono la vita di ogni società e cultura,come abbiamo notato, ora stanno sgretolandosi e vaporizzandosi ,e quindi non cementano neanche più la società produttivista ,che con la sua cupa onnivoracità è contro i vincoli e tutti gli obblighi, tranne il consumo e quei comportamenti e atteggiamenti che la sostengono. La loro odierna inefficacia forse ci è d’aiuto, perché dopo l’esagerazione della megamacchina e l’eclissi di tante virtù importanti ,come la prudenza , ci stimola a costruire ex nuovo , per paradosso,le linee guida di una società più attenta alle esigenze naturali e sociali degli individui. Viene così recuperata la possibilità per ciascuno di noi di fare esperienza vera tramite la convinta adesione all’impegno politico. Le piste sopraindicate per esercitare in ambito politico istituzionale e locale la nostra volontà sono significative opportunità per fare un’esperienza di servizio,solidale ed altruista. Le qualità del controllo,della partecipazione e della conoscenza sono comunque maggiormente tutelate dalla piccola comunità ,perché in essa le relazioni tra gli agenti sono sotto lo sguardo di tutti ,analizzate e meno manipolabili. Nonostante tutto,quindi,con un pizzico di ottimismo,speriamo bene.
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Indice degli argomenti
1.1 – Pagg. 1-2 Antropologia ed esperienza
1.2 – Pagg. 2-3 Strutture immateriali
1.3 – Pagg. 3 Ambiti principali di cambiamento
1.3.1 Pagg. 5 La formazione
1.3.2 Pagg. 13 La giustizia
1.3.3 Pagg. 17 La religione
1.3.4 Pagg. 20 Ideologia e politica(i partiti)
1.3.5 Pagg.22 La famiglia
1.3.6 Pagg. 26 Tecnica,estetica ed etica
1.4 Pagg. 35 Linguaggio dei consumi
1.5 Pagg. 38 Il moloch trasformatore
1.6 Pagg. 39 La macchina spietata ed i desideri
1.7 Pagg. 40 L’eclissi della biografia e della memoria
1.8 Pagg. 42 La precarizzazione delle relazioni sociali
1.9 Pagg. 43 Modalità comunicative e dipendenze sociali
1.10 Pagg. 47 Istituzioni in crisi:pubblico e privato
1.11 Pagg. 51 Media ,individuo e politica
1.12 Pagg. 54 Lineamenti di sviluppo economico e le origini dell’incertezza
1.13 Pagg. 60 L’immane potenza del trend
1.14 Pagg. 67 Modalità di riappropriazione dell’esperienza
1.15 Pagg. 83 Brevi considerazioni finali
Bibliografia
1.J.B.Thompson,Mezzi di comunicazione e modernità,pagg.253 e seguenti,1998,il Mulino. Nell’opera si descrivono i pilastri invisibili della cultura tradizionale(orientamento,riflessività,valutazione e direttività);noi gli abbiamo adattati per interpretare ogni tipo di cultura o di civiltà, integrandoli con il vettore della innovazione. Che per molti autori è una caratteristica scontata ed ovvia mentre noi l’assumiamo come rilevante forza di mutamento culturale.
2.E.J.Hobsbawm,Il secolo breve ,2004,BUR.
3.L.M.Friedman,La società orizzontale,2002,il Mulino.
4.L.von Bertalanffy,Teoria generale dei sistemi,2004,A. Mondadori.
5.P.Maranini,Miseria dell’opulenza,1998,il Mulino.
6. J. B. Thompson ,Mezzi di comunicazione e modernità,1998,il Mulino.
7.Vedasi il T.U. sull’emigrazione del 17 aprile 1925 n.473;la Circolare sulla emigrazione del 3 giugno 1927;la legge del 6 gennaio 1928 n.1783;il R.D. n.358 dell’11 febbraio 1929 e successiva legislazione. Sono tutti atti che ostacolano l’esodo per lavoro all’estero ,orientando la migrazione verso l’interno. e verso le colonie.
8.Si intende per “dumping esteso” gli aiuti indiretti al contenimento del costo dei fattori produttivi come gli interventi statali per le imprese in aree depresse o la fiscalità di vantaggio. Quindi non solo vendita sottocosto dei prodotti.
9.a cura di M. Pera ,Il mondo incerto,1994, Laterza
10.A nostra conoscenza ,il concetto di trend in prospettiva storico- sociale non è mai stato analizzato né utilizzato come modello interpretativo. Il trend finora è’ un concetto di cui si parla nelle analisi finanziarie o si usa per i fenomeni di moda.
11.Z.Bauman ,Vite di scarto,2005,Laterza.
12.K.Marx,Il manifesto del partito comunista,Einaudi,1967.
13.S.Latuche, L’invenzione della economia,Bollati Boringhieri,2010;Breve trattato sulla decrescita serena,pag.92,Bollati Boringhieri,2010. Comunque,la nostra posizione differisce da quella di S. Latuche perché sottolinea maggiormente l’importanza del contributo di tutte le componenti politiche per accompagnare l’uscita dal consumismo e guadagnare una diversa responsabilità culturale. E’ vero che alla fine dell’impero romano i territori si sgretolarono in tante parti tra loro autonome,ma l’autorganizzazione avvenne solo al termine di quel potere. Nonostante le crisi economiche e le catastrofi ,che come lui riteniamo dei catalizzatori del cambiamento, ora,per contro,non siamo all’epilogo del turbo industrialismo. Anzi consideriamo che il periodo critico della transizione turbolenta sarà lunghissimo e per questo ci sarà bisogno di guidarlo politicamente. Perciò,mentre la visione di Latuche è ,in qualche misura,evangelica,appoggiandosi su gruppi locali,la nostra si basa su una logica di maggior intervento politico. Mentre la consapevolezza delle problematiche economiche ed ambientali dei gruppi volontari può essere lenta,la politica, amministrando di continuo uno Stato,facendo delle scelte,è più avvertita,quindi può stabilire quali di esse sono più confacenti per la tranquillità del popolo. Infine Latuche è contro l’economia capitalista,noi pensiamo che il tempo della transizione verso altre utopie economiche sia molto più lungo di quanto lui auspichi,perciò durante la transizione la politica può fare molto per regolare la finanza e l’economia. Infatti,un modello sociale ed economico dipende,per autoregolarsi,anche dalle opzioni di altri Stati,almeno da quelli dell’area circostante.
14.S.Latuche,La scommessa della decrescita,2009, pagg.94-95,Feltrinelli.