Ancora una volta, il Brasile sorprende il mondo.
Da una settimana infatti il carcere federale di Papuda, a Brasilia, ospita i condannati per lo scandalo del mensalão, l’esteso schema di corruzione scoperto nel 2005, durante il primo governo Lula, nel quale fondi neri di imprese statali venivano destinati a parlamentari di opposizione per “convincerli” a votare con il governo.
Dire che si tratta di condannati eccellenti non rende bene l’idea.
Hanno infatti varcato le soglie del carcere, tra gli altri, José Dirceu, José Genoino e Delùbio Soares, tre personalità di primissimo piano degli ultimi 40 anni di storia brasiliana, protagonisti delle lotte contro la dittatura negli anni 70, del processo di ridemocratizzazione negli 80, e dell’ascesa del Partido dos Trabalhadores, al governo del paese dal 2002, prima con i due mandati di Lula, dal 2011 con Dilma Rousseff, che tra un anno cercherà una non scontata riconferma.
È difficile per un osservatore esterno capire che cosa significhi tutto ciò: José Dirceu e José Genoino, in particolare, hanno dedicato la loro intera esistenza alla lotta politica, sin da quando – giovanissimi – negli anni 60 non hanno esitato a mettere a rischio la vita contro gli scherani della dittatura, divenendo protagonisti di episodi ormai leggendari.
José Dirceu, leader studentesco arrestato durante un congresso clandestino nel 1968, fu rilasciato con altri 14 dissidenti un anno dopo, in cambio della liberazione dell’ambasciatore USA, sequestrato nel centro di Rio de Janeiro da un commando di guerriglieri. Riparato a Cuba, sull’isola riceverà addestramento militare e diventerà intimo di Fidel Castro, prima di tornare in patria in clandestinità, non prima di aver fatto una plastica facciale per evitare di essere riconosciuto dalle spie del regime. Con l’amnistia del 1979 riprende la sua “vera” identità, diventando lo stratega del PT, la guida del leader carismatico Lula nella lunga marcia, durata oltre un ventennio, verso la presidenza.
José Genoino sceglie la clandestinità quando nel 1968 il regime militare inasprisce le restrizioni alle libertà democratiche. Nel 1970 è nello stato di Goiàs, tra i guerriglieri dell’Araguaia, movimento che cerca di creare le condizioni per una sollevazione popolare, ma sarà represso dai militari lasciando pochissimi superstiti. Anche lui partecipa alla fondazione del PT, di cui sarà una personalità di primissimo piano fino all’esplodere dello scandalo.
Date le traiettorie personali dei protagonisti, non stupisce la copertura che i media brasiliani hanno dedicato ai loro primi giorni di reclusione, descrivendo nei minimi dettagli le minuscole celle, i precari letti a castello, l’acqua fredda della doccia, il pasto servito con stoviglie di plastica.
Questo ovviamente per non parlare delle persistenti polemiche sul merito di un processo, a detta dei governisti viziato alla radice dal sillogismo (però non applicato al presidente Lula) secondo cui i vertici del partito di governo “non potevano non sapere”, per gli oppositori sintomo dell’estesa corruzione dell’amministrazione del PT.
Mentre quindi continuano a infuriare le polemiche, che investono tra l’altro il protagonismo del presidente del Supremo Tribunal, quel Joaquim Barbosa che è anche il suo primo membro di colore, sulle quali magari torneremo in un altro post, chiudiamo ricordando l’unico intervento sul tema di Dilma, presidente in carica che vede condannati illustri compagni di partito: “In ossequio al principio della divisione dei poteri, non posso pronunciarmi sul merito della vicenda. Devo però ricordare le gravi condizioni di salute di Josè Genoino (ha subito un by-pass coronarico pochi mesi orsono, n.d.r.), che certo non rendono adeguato per lui il regime carcerario, e quindi spero per lui in un trattamento rispettoso delle sue condizioni personali. Non posso comunque negare i rapporti di amicizia che mi legano alla sua famiglia, in particolare a sua moglie, con la quale ho condiviso l’incarcerazione e la tortura ai tempi della dittatura”.
Così, giusto per ricordare che la giustizia deve fare il suo corso, anche in Brasile, dove però – magari sporcati dal day-by-day della politica – le personalità contro cui si sfoga anche in quel paese il vento dell’antipolitica che abbiamo visto soffiare impetuoso durante le proteste della Confederations’ Cup, hanno un passato di lotte per la democrazia portate avanti a rischio della vita.
(nella foto, José Dirceu arriva nella base militare di Brasilia, sbarcando dal jet della Polizia Federale che lo ha trasferito da San Paolo, dove si era consegnato alle autorità al ricevere l’ordine di esecuzione della pena)