’O pernacchioOltre gli spari e gli attentati: la camorra di palazzo e in borghese

Ci sta sempre un posto in più, un posto libero, un posto buono da occupare, al tavolo della Campania. È il posto della camorra e del malaffare, del sistema economico e corrotto; del padre-padrone c...

Ci sta sempre un posto in più, un posto libero, un posto buono da occupare, al tavolo della Campania. È il posto della camorra e del malaffare, del sistema economico e corrotto; del padre-padrone con la frusta e il kalashnikov, del politico che compra e vende i voti, della signora che si mette di mezzo, tra poliziotti e spacciatore; di chi urla, minaccia, guarda male. Il posto dell’ingordo, di chi si autoinvita, del c’è-ma-non-si-vede.

Non è che perché non se ne parla, la camorra non esiste. Non è che perché le persone, che la tengono davanti ogni santo giorno, evitano di sottolinearne l’esistenza, la ignorino. Non è che se, all’antagonista, si preferisce il protagonista (e quindi: all’anti-Stato lo Stato) si tengono gli occhi chiusi e si va per luoghi comuni e facili. Banali, come direbbe Formigli. A Napoli e dintorni la questione è un’altra, è diversa ed è più profonda e radicata. Ed è difficile, veramente difficile spiegarla in poche parole all’uomo della strada.

In Campania la camorra c’è. Nessuno, sia mai, direbbe il contrario. Da quando sono caduti i veli con gli scissionisti; da quando Cutolo ha dato una nuova dimensione al giro d’affari mafioso, e da quando il Sistema – perché così si chiama – s’è militarizzato, tutti, volenti o no, sanno che ci sta la camorra. E che la camorra è ovunque: è negli appalti per costruire l’asilo, il nuovo condominio; nelle discussioni politiche di periferia, nel parcheggio abusivo, nella camera della burocrazia. Dentro e fuori le questure, le chiese, i palazzi del potere. La camorra è una dimensione: come la profondità. Un 4D a tutto tondo, una visione del mondo onnicomprensiva e, per chi è campano, chiarificatrice. Alle domande più assurde, inconcepibili e disarmanti, la risposta è – tonante e ripetitiva – una sola: camorra.

Il problema c’è quando alla camorra s’aggiungono, fratelli e sorelle, l’imprenditoria, la politica, il potere economico, i servizi, le istituzioni (con la minuscola). Il problema c’è quando a qualsiasi domanda ti fanno, ti pigli tempo e rifletti e sai che non è solo la camorra ma anche altro. E l’altro ha un nome. Un nome e – molto spesso – un cognome. Napoli, 16 Novembre: si manifesta in piazza e si fanno vedere le facce di politici ed alti rappresentanti di governi, regionali e nazionali, passati, presenti e – probabilmente – futuri. I giornali (alcuni e non tutti fortunatamente) tuonano: la gente s’è dimenticata della camorra. E invece no, la camorra c’è. C’è e si vede. Tra le rughe del politico, sulla fronte alta e macchiata del funzionario; tra i denti larghi e storti del poliziotto corrotto. La camorra non è solo quella che spara: guai a ridimensionarla così. La camorra è quella che ti dice sì quando tutti gli altri ti dicono di no.

Quella che davanti alla proposta di un sistema tutto incentrato sul sotterramento dei rifiuti, sull’impasto del calcestruzzo con la monnezza, sulle discariche a cielo aperto, di fanghi e liquami industriali, ti dice sì. Si siede, ti sorride, piglia un caffè con te e ti dice, chiaro e tondo, sì. Ma tu, istituzione, politico, imprenditore, sai: e sai molto bene con chi ti stai mettendo in affari. È per questo che la gente se la prende con te. Se il primo nome che fa, su tutti, è il tuo. Perché tu sei uomo, proprio come loro. E in quanto uomo avresti dovuto pensare, temere, ritrattare. In quanto uomo avresti dovuto avere paura del lupo, della bestia, della fetenzia formato sistema. E invece no: ti ci sei seduto a tavolino, c’hai fatto affari, quando hai potuto l’hai coperta e ora, supportato da una informazione non-informazione, ti scandalizzi. Ti senti punto nel vivo. «Collegamenti facili», scimmiotti.

A chi crede che la camorra sia stata lasciata da parte; a chi pensa veramente che la gente, non nominandola, abbia pensato d’averla debellata come un male o una febbre tropicale, c’è da dire solo questo: non avete capito niente. Aprite gli occhi, guardate. Osservate. Il fatto è carne e sangue, firme e strette di mano, volti e responsabilità. Se non ti puoi fidare del controllore, di chi – viene da chiedersi – ti puoi fidare?

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