La City dei TartariPropedeutica dell’alba

Chi parla troppo di rivoluzione, non e' un rivoluzionario, anzi, ne ha paura, anche se ne ha assunto toni e frasi. Chi parla sempre di cambiamento, in fondo, non lo vuole, se non fa seguire alle pa...

Chi parla troppo di rivoluzione, non e’ un rivoluzionario, anzi, ne ha paura, anche se ne ha assunto toni e frasi. Chi parla sempre di cambiamento, in fondo, non lo vuole, se non fa seguire alle parole i fatti. A volte, e’ una forma di controllo, un processo di riaffermazione della volonta’ di un’elite’ sull’alienazione popolare rispetto alla politica del palazzo, quell’umanita’ che chiede, nelle strade e nelle piazze, nei social network ed all’uscita del lavoro, un mondo nuovo, splendido, di prospettive possibili.

Unirsi al coro, per provare a dirigerlo, questa e’ la regola, facendosi largo fino alla prima linea. E di tratto, ti trovi uno che fa il solista, mentre cerca di dirigere anche la musica. E tu sei nel coro, segui le regole. E confondi l’ego con la novita’, i maglioncini a collo alto e gli accessori con l’innovazione. Paura, controllo, ossessione con il potere, od un’idea che esista sempre un posto, un luogo specifico per chi vuol essere alternativo a qualsiasi alternativa. Come se, diciamocelo, la politica fosse un posizionamento dello spiritus mundi e non tanto lo sporcarsi le mani, fino in fondo, fino ad averle tutte quante nel fango, per tirar su la costruzione del futuro. Dell’amore per gli altri. O, nell’etica della politica punk, vogliamo il futuro e lo vogliamo adesso, nella sua forma embrionale di un cambiamento che cominci piano, lentamente ma che poi esploda in qualche maniera.

Usciamo dal localismo assurdo del disfattismo, dal posizionamento della tragedia che ci aspetta, che incombe su di noi. Come si fa, direte, lemming in giacca e cravatta che non siete altro? Facile, si cancella il passato, si elimina l’idea di rivoluzionare qualcosa che non deve esistere piu’. Se non esiste, non lo devo cambiare. Pianeti, stelle, costellazioni, anche loro evaporano, si sciolgono e le collezioni di giornali ci ricordano che ogni cosa che oggi ha una rilevanza incredibile, domani, fra una settimana, fra un anno, avranno la valenza di un singulto nella notte. Della coscienza, della Seconda Repubblica che sta morendo dietro le sue chimere, i suoi riti.

La vera rivoluzione e’ evitare che la storia si ripeta o, come diceva Mark Twain, faccia rima. Vorrei una storia nuova, che cominci appena possibile, una damnatio memoriae di tutta la vanagloria degli ultimi cinquanta anni. Le lune scompaiono, le citta’ si eclissano nelle nebbie, noi ci siamo, con le scarpe spaiate, con i sogni di grandezza relativa, con le passioni e la fame, la sete, il desiderio, di un posto adeguato, utile, conforme, in linea con le regole ISO della minima decenza possibile.

La rivoluzione e’ la pagina bianca, quella su cui spero potremo finalmente scrivere una pagina nuova di storia. No guru, no method, no teacher, dear friends. Di cosa parlo, mi chiedete, mentre siete a meta’ volo dalla scogliera. Dell’idea piccola, fertile, condivisa, che il paese sia ad un momento cruciale, talmente importante che da qualche altro pianeta ci staranno osservando, con ansia, sperando che questa cometa chiamata Italia sopravviva al contatto con il Sole della modernita’. Ed in questo momento, ognuno e’ guru, ognuno sappia che ogni istante di coscienza civile potra’ essere l’unica speranza per il paese. Votare, fare, pagare le tasse, prendersi le responsabilita’ che ci appartengono.

Ora, qui.

Ecco, qui sotto e’ gia’ tardi.

Guru – Allen Ginsberg (Primrose Hill May 65)

It is the moon that disappears

It is the stars that hide not I

It’s the City that vanished, I stay

With my forgotten shoes

My invisible stocking

It is the call of a bell

SOUNDTRACK 

Steve Wynn – Shades of Blue

www.youtube.com/watch?v=j5E0Rdh4Itg

JJ – Things will be never be the same again