In una terra desolata qual è il ritratto pinteriano delle famiglie e delle coppie di amanti tutto si gioca a colpi di cattive intenzioni nei gorghi aspri e divertiti di una drammaturgia che insiste su vortici sordidi, abbandonati a un cerebralismo secco e mirato. Una capacità pressoché unica di piegare la creta dei personaggi alla loro anima più sinistra e alienante. Il condimento felice della scrittura di Pinter è poi l’ironia che tesse i fili e colorisce le battute, senza cedere al compromesso con la bassezza o la monotonia dei testa a testa.
Si può dunque ben comprendere come Peter Stein, regista di fibra spessa, abbia scelto di solleticare lo spirito del premio Nobel riuscendo finalmente a portare in scena un’intenzione masticata dall’inizio della carriera. Il ritorno a casa, copione del giovane Pinter che lo firma nel 1964, ha impresso quasi una legge in chiunque si accinga a dirigere una scena o a comporla: la vicenda di una famiglia di soli uomini, – un padre, uno zio e tre figli maschi, di cui uno soltanto colto, laureato in filosofia e fuggito in America per esercitare la professione accanto a una moglie devota e tre bambini morigerati – è il primo livello di una strategia complessa, che fa lentamente venire a galla il lerciume dei sessi e del loro affronto generazionale.
In un interno liso e fieramente britannico anni Sessanta, apre i discorsi Max, il vecchio seduto su una poltrona in cui nessun altro osa sprofondare. La ruvidezza grande di Paolo Graziosi ne plasma le dichiarazioni di forza e gentilezza lanciando insulti a uno degli scansafatiche di casa, Lenny, protervo e smodato nell’interpretazione di Alessandro Averone. I due discutono di scommesse su cavalli e fiuto, finché la continuità del finto ascolto reciproco non è guastata dall’ingresso dello zio Sam (Elia Schilton), spirito garbato che cova rabbie pronte a esplodere e dà il vero avvio alle insidie di Max, il fratello ingrato e insultante.
Un primo quadro che Stein osserva dalla prospettiva riservata di un birdwatcher che dosa l’attenzione senza perdersi nulla, ma calcando la parola e il suo contrario nella cifra di chi ha il dovere della pronuncia polivalente. A quel che viene detto in materia di ricatti, incapacità croniche, meriti e insinuazioni corrispondono mimiche ed eccessi virali, caricature per affrontare la durezza di Pinter senza quell’estetizzazione forzata degli squali in formalina di Damien Hirst, ma sfruttando orme di rabbia inglese e contraddizione umana che ispessiscono il passato incombente sulla famiglia, teca primigenia.
Così, all’ingresso sregolato di Joey (Rosario Lisma), pugile afasico e senza recupero, si oppone poco dopo una battuta che ne elogia la disinvoltura. L’effetto immediato è la risata, il che può riconoscersi in linea con la tradizione dell’equivoco, ma si scorpora dalla serratura crudele dei dialoghi pinteriani. Di forte speranza e investimento è poi l’atto in cui fanno l’ingresso i disturbatori della dimora maschile: Teddy (Andrea Nicolini), figlio immigrato negli Usa, e Ruth, moglie imbalsamata che nei passi calcolati e nello sguardo fisso di Arianna Scommegna sottintenderebbe una rivoluzione tarda o un crescendo di efferatezze per tenere a bada un branco famelico di uomini.
Eppure, proprio del fuoco che si riconosce sottopelle in un’attrice di raro fulgore e sincerità come Scommegna, non si riesce a cogliere che un lapillo. Stein la presenta alla famiglia di Teddy con passaggi lenti, che ne tagliano il volto al riparo della scala che porta al piano superiore e divide da scena e pubblico. Sempre agli occhi della platea non la fa voltare, come invece al primo arrivo, ma restare dimessa, atterrita e rintanata alle spalle del marito, che la protegge ignaro del meccanismo malsano che lei stessa cavalcherà per vendicarsi delle bestie di famiglia. L’impronta camuffata di Ruth si smaschera così per poco, come una deviazione temporanea che ne fa assaggiare la metamorfosi e prepara alla freddezza con cui accarezzerà il capo dei cognati imploranti e pronti a venderla al migliore offerente per risanare la cassa comune di famiglia.
L’incredulità di Teddy conferma debolezza e istinto di fuga, mentre il colpo al cuore di Sam, dopo aver rigettato l’ennesima verità sul conto della moglie del fratello Max, proroga il malessere fisico, la cancrena del nucleo di coperte rimboccate e colpi di bastone, di prodezze da spacconi ed etichette di puttana affibbiate a Ruth, altra moglie e madre da cui si invoca un bacio mai dato. Chi è gentleman è un bruto senza appello, chi smania per la pulizia di un’altra vita è costretto ad andarsene lasciando la porta aperta su oggetti e ricordi che non sono mai esistiti o rimandano a impenetrabili fessure nel buio pesto.
Il ring di Stein porta all’estremo solo alcune ritorsioni del linguaggio di Pinter di cui evidenzia il calco multiforme e certo non datato, come spesso si finisce per liquidarlo non sapendo bene che fare di una tela con un’impressione pittorica che sconfina in mille direzioni possibili. Tuttavia, proprio in questo scavo analitico e sempre prezioso, si perdono altre progressioni vitali che forse, pur nella lievità epidermica d’insieme, si captavano meglio nella versione di Le Retour firmata Luc Bondy, forte dell’utile attitudine diabolica di Emmanuelle Seigner e di un dominante Bruno Ganz.
Con Stein si torna piuttosto alla fissità di Ruth e al complotto di Max, Lenny e Joey senza che si riesca ad assaporare fino in fondo tutta la rabbia nel mezzo, ma una sua porzione esclusiva dei vortici mentali. Se da un lato si fa abile scorta di calcolo e cinismo pinteriani, dall’altro, non si attraversano in vero crescendo le crepe d’innesco, quelle che fanno detonare un gioco di famiglia molesto fino al midollo.
Fino al 1 dicembre 2013 – Piccolo Teatro Grassi Milano
Il ritorno a casa
di Harold Pinter
traduzione Alessandra Serra
regia Peter Stein
scenografia Ferdinand Woegerbauer
costumi Anna Maria Heinreich
luci Roberto Innocenti
assistente alla regia Carlo Bellamio
con (in ordine di apparizione)
Paolo Graziosi, Alessandro Averone, Elia Schilton,
Rosario Lisma, Andrea Nicolini, Arianna Scommegna
produzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana, Spoleto56 Festival dei 2Mondi
foto di scena Pino Le Pera