Se la Seconda Repubblica ha creato qualcosa di buono, quel qualcosa è sicuramente il bipolarismo. Finalmente nel 1994, l’Italia si evolve: lascia da parte gli accordicchi parlamentari e mette in piedi un sistema politico ed elettorale che garantisce di conoscere immediatamente chi è il vincitore e lo sconfitto. Tutto molto bello. Poi a cavallo tra il 2005 e il 2006 arriva il Porcellum, la legge chiamata così anche dal suo stesso ideatore (Calderoli, nda): listini bloccati e gli elettori cominciano a mugugnare perchè incapaci di scegliere il proprio rappresentante parlamentare.
Ieri la Corte Costituzionale ha dichiarato la legge incostituzionale. In molti casi sono partite manifestazioni di giubilo: specie sui social network l’opinione pubblica ha salutato con gioia la messa al bando del vecchio sistema elettorale. Ma tutta la vicenda non può essere derubricata con un semplicistico e liberatorio “finalmente!”.
Innanzitutto bisogna dire che il Porcellum è (anzi era, buonanima) una pessima legge poichè l’Italia ha una pessima cultura politica: in molti Paesi esteri, che vengono usati come bandiere di democrazia – la Germania ad esempio -, esistono i listini bloccati. In Italia questa è una legge che non avrebbe mai funzionato, principalmente per due motivi.
1. Per la composizione della lista non si dava vita ad una competizione interna animata da proposte ed idee, ma semplicemente si sceglieva il più fedele al leader del partito; quello che poteva dare meno problemi. Con ciò si risparmiava molto tempo e ci si assicurava un gruppo parlamentare obbediente alle direttive calate dall’alto.
2. Il nostro sistema politco non è pronto (e forse non lo sarà mai) per una formula anglosassone, dove vi sono due partiti che si alternano al governo. Preferiamo avere partiti grandi – che possono raggiungere il 35% – e poi anche altri mille partiti con percentuali da zerovirgola. Ne abbiamo avuto prova quest’anno: il Porcellum ha creato un pareggio a tre e una nuova conformazione parlamentare.
Se si dovesse votare domani, voteremmo con una legge elettorale che stabilisce un proporzionale puro, con le preferenze, che tradotto vuol dire instabilità dei governi e frammentazione del Parlamento.
Insomma si ritornerebbe alla Prima Repubblica e alla logica del “Se mi voti avrai un posto di lavoro”. La logica che ha ingrossato il debito pubblico, che ha fatto affezionare gli italiani allo Stato assistenziale, che non garantisce governabilità e quindi riforme.
Insomma quello della legge elettorale è un passaggio cruciale: dipende il destino del futuro assetto politico. Una cosa è certa: avevamo conquistato il bipolarismo e ce lo siamo giocato in un batter d’occhio.