Il termine periferia generalmente evoca palazzoni che sembrano scatole nelle quali le linee estremamente semplificate degli esterni si tramutano nell’essenzialità delle finiture all’interno. Luoghi quasi sempre in gran parte dell’abitare nei quali l’intorno oscilla tra la zona desolata di campagna e quella caotica immersa nella città. Mutano i modelli, cambiano le storie, perfino le architetture, ma rimangono sostanzialmente analoghi gli esiti. Da Milano a Roma, da Palermo a Genova, da Napoli a Torino. Dall’Italia a diversi Paesi europei, da questi a molti di più asiatici e sud americani. Il vizio iniziale quasi un filo rosso che accomuna una grande quantità di quartieri periferici sparsi per le città e le metropoli del mondo. Ma a fare la differenza in alcuni casi sono i progetti di riqualificazione. A creare una reale discontinuità con il passato interviene un progetto complessivo nuovo. Ed è proprio questo che è accaduto a Ijburg, quartiere alla periferia est di Amsterdam, per il quale architettura ed ingegneria hanno dovuto dialogare secondo consuetudine per il sito, ma molto più di quanto non siano costretti a fare altrove. Ijburg è il più grande complesso edilizio costruito sull’acqua. Disegnato dallo studio Marlies Romher, mentre le banchine e i pontili in alluminio sono di Villanova Architecten. Il collegamento con la terraferma assicurato da un doppio ponte bianco progettato da Nicholas Grimshaw & Partners. Nel nome del progetto, Waterbuunt cioè “quartiere sull’acqua”, la sintesi dell’operazione urbanistica realizzata su sette isole artificiali, comprendente 165 case galleggianti. Niente a che vedere con le house boat, i battelli che s’incontrano lungo i canali di Amsterdam, nei quali molti abitano. Le case sull’acqua hanno altre caratteristiche. Tutte hanno un massimo di tre piani. 55 sono ville monofamiliari da 156 a 100 mq. Le altre sono invece appartamenti di varie dimensioni, con posto macchina. Per non creare contrasti cromatici con l’acqua i colori esterni sono chiari, il disegno “pulito”, geometricamente essenziale. Naturalmente il ricorso a pannelli solari e l’utilizzo di vetri termici assicura ottimi risultati senza sprechi. Per il resto con l’aiuto di un architetto di fiducia era possibile scegliere materiali e soluzioni personalizzate per gli interni.
Il progetto di sviluppo edilizio Ijburg viene ufficializzato dall’Amsterdam Dienst Ruimtelijke nel 1999. Ormai è quasi totalmente realizzato. In coincidenza degli ingressi sulle banchine, barche e biciclette dei nuovi proprietari. Riflessi nell’acqua gli interni di quelle floating house che ormai nulla hanno della periferia. Considerati anche i loro costi. Una villa monofamiliare parte da una base di 500mila euro fino a un milione. Poi ci sono gli appartamenti da 70 mq., i più economici, che partono da 220 mila euro.
Ad accrescere il valore, evidentemente anche simbolico, delle nuove case galleggianti, c’è la constatazione che esse sono parte di un tutto. Il progetto Waterbuunt, una tessera di un grande, complesso, puzzle. La riqualificazione di quest’area, inserita in un’operazione ben più vasta intesa al recupero di uffici, capannoni e spazi industriali e alla loro trasformazione in edilizia residenziale. In tre anni 350 mila mq abbandonati sono diventati 16 hotel e 2100 residenze private. Zone che erano diventate sinonimo di degrado, rivitalizzate. Come accaduto a De Overkant, vecchia area industriale lungo il fiume nella quale sono stati impiantati spazi creativi e non solo.
E’ evidente come le città non siano nelle condizioni di regalare spazi all’abbandono. Non possano lasciare parti inutilizzate del loro tessuto, quasi alla deriva. L’esperimento di Amsterdam dimostra come le periferie possano essere trasformate. Anche concettualmente. Avvicinandole con gli strumenti dell’architettura e dell’urbanistica al centro. Fino a farle addirittura parte di esso.