C’è chi, per far piacere le scienze ai ragazzi delle superiori, s’è inventato persino la “fisica del karate”. Lo ha fatto Concetto Gianino, insegnante di fisica, forse per rendere omaggio al liceo scientifico in cui insegna, a Ragusa, intitolato a Enrico Fermi. Un’esperienza che ha raccontato a Napoli, venerdì scorso, al convegno dedicato al Piano Lauree Scientifiche-Pls del Miur, il complesso di azioni di orientamento per avvicinare gli studenti allo studio delle scienze, Piano nato 10 anni fa.
Proprio in nel quadro di queste attività il prof. Gianino ha chiamato a scuola un istruttore di dojo Karate-do Shotokan di Scicli (Rg), Antonio Gianì. Insieme, il docente e il karatega, hanno organizzato un laboratorio per capire la fisica meccanica attraverso le mosse di questa arte marziale. “Durante le ore di lezione”, ha spiegato il professor Gianino, “affrontiamo argomenti di meccanica del corpo umano attinenti il karate e successivamente, in palestra, con l’aiuto dell’istruttore i ragazzi eseguono attività con il proprio corpo, finalizzate a percepire le leggi della fisica precedentemente studiate”.
Forza, resistenza, moto che, dai manuali in cui erano spiegati (con formule per taluni oscure), si sono incarnati nelle mosse, precise e veloci, di una cintura nera. E replicate e sperimentate dagli allievi che, in questo modo, hanno il privilegio di imparare, come ha detto qualche studente siciliano, “a sentire la fisica”.
“Tutte le esperienza laboratoriali del Pls, che dal 2005, anno di effettiva operatività del Pls, hanno coinvolto 173mila studenti in tutta Italia e, mediamente, 2mila docenti delle superiori in 800 scuole ogni anno, hanno il carattere della sperimentazione, spesso ludica, dove l’obiettivo è far scoprire il risvolto concreto delle scienze di base”, dice Nicola Vittorio, ordinario di Astrofisica a Tor Vergata e coordinatore del Pls.
E se a Ragusa si sono inventati il karate, a Padova, ateneo, Istituto nazionale di fisica nucleare-Infn e scuole hanno mandato un dozzina di studenti fino alle Canarie, all’Isola di Palma, detta il “Paradiso dei telescopi”, a capire fenomeni fisici come la velocità della luce. Una full immersion scientifica di alto livello, che ha consentito agli studenti di attività empiriche come fare il caffè con la moka, portando l’acqua ad ebollizione solo con l’utilizzo di uno specchio concavo.
A Pisa, invece, di nuovo a fisica e con l’ausilio della locale Ludoteca scientifica, hanno fatto fare a oltre 200 studenti esperienze laboratoriali fino a verificare della predizione newtoniana della distanza Terra-Luna, misurando tale distanza tramite una sequenza di fotografie della Luna scattate durante l’eclissi lunare.
A Bologna invece gli studenti, oltre 800, hanno scoperto quanta chimica ci sia nelle indagini di polizia: dal famoso luminol che serve a scoprire le tracce di sangue anche dopo un lavaggio, alle prove che consentono di rintracciare polvere da sparo sulle mani di una persona.
La “matematica nei giochi”, come Nim, Cento caselle e il Cubo di Rubik, è stata invece al centro dei laboratori organizzati a Roma dalla Terza Università e dal Liceo scientifico della Farnesina, in cui le dinamiche di un appassionante passatempo si sono trasformate in formule matematiche.
Del resto tutto il Piano Lauree Scientifiche appare una buona pratica: una delle poche che paiono funzionare davvero nella filiera scuola-università che, per l’orientamento in entrata, si riduce oggi davvero a pochissime cose oltre ai saloni dello studente in giro per l’Italia che mostrano ormai, sempre di più, gli oltre 20 anni di età della loro formula.
A volere il Piano come progetto fu, nel 2003, Letizia Moratti, alla quale andarono a parlarne, un po’ preoccupati, i responsabili di ConScienze, la conferenza delle facoltà scientifiche italiane. Nell’anno accademico 2000/2001, le matricole di matematica, fisica e chimica non superavano, nel complesso, le 4mila unità. Noi, il Paese di Galielo Galieli e di Enrico Fermi. E di Giulio Natta, nel 1963 Nobel per la chimica col suo Moplen, che è il simbolo stesso di un’epoca.
Pesava nelle scelte dei giovani italiani l’associazione psicologica della laurea scientifica all’insegnamento e forse un modo troppo teorico di insegnarle.
Operativo dal 2005, il Pls è riuscito ad inveritre la tendenza: l’anno scorso le matricole nelle stesse tre discipline hanno sfiorato quota 10mila.
Confermato dai ministri che arrivarono successivamente – di governi espressi da maggioranza politiche diverse è bene ricordarlo – il Pls ha certamente un altro valore: quello d’aver contribuito a diffondere un po’ di più la cultura scientifica in un Paese, come il nostro, che qualche problemino, da questo punto di vista, ce l’ha, come dimostrano le non brillanti performance dei recenti test Pisa dell’Ocse.
Eppure, come ha ricordato lo stesso Vittorio in un’intervista, non passa giorno che gli Italiani non siano sollecitati dall’attualità su temi – dalle cure staminali agli Ogm, dall’inquinamento delle produzioni industriali ai test sugli animali – che richiederebbero una cultura scientifica minmale per non essere in balia di chi urla più forte.
I 173mila che hanno imparato ad amare un pendolo, una provetta, un algoritmo perché li hanno scoperti diversi da come li proponeva il libro, finendo per capire le leggi che dietro a quegli strumenti stavano, saranno forse finiti a studiare Dante o a fare gli avvocati, ma certo l’inprinting con le scienze dure se lo porteranno sempre dietro. Diventando cittadini più liberi.
Per questo il Pls è un segnale forse ancora timido di dialogo fra scuola e università ma che faremmo bene a custodire.