Sulla decisione della Corte Costituzionale riguardo l’incostituzionalità della legge elettorale 270/2005 nota a tutti come porcellum (definizione di Giovanni Sartori dopo che il firmatario, il leghista Calderoli, la definì “porcata” con sommo compiacimento) si è acceso un confuso dibattito. Innanzitutto bisogna giudicare nel merito quel che ha espresso la Corte: no al premio di maggioranza e no a meccanismi che evitino il rapporto cittadino-elettore. I media hanno tradotto un no a qualsiasi premio di maggioranza e il sì alle preferenze, deducendo poi che si tratta di un ritorno alla legge proporzionale del 1993.
La spiegazione è più complessa. Perché il no al premio è dato dal fatto che una minoranza può avere alla Camera il 55 per cento dei seggi e influenzare decisamente l’elezione di alcuni organi fondamentali per il funzionamento della democrazia come il Presidente della Repubblica (che, ricordiamo, dopo 3 votazioni può essere votato con il 50 per cento più uno dei grandi elettori, ovvero deputati, senatori e i rappresentanti delle regioni). Mancando tra l’altro una soglia minima per ottenere questo premio (cosa che c’era nella legge elettorale che portò i blocchi nazionali e i fascisti poi al governo). Curioso invece il giudizio sulle liste bloccate, visto che in buona parte d’Europa esistono senza giudizi di incostituzionalità.
Il punto è che questa sentenza delegittima automaticamente il premio di maggioranza, che è di fatto eliminato a meno che di una sua corretta applicazione dal Parlamento, ma non può automaticamente inserire le preferenze. Serve un intervento legislativo, parlamentare se vogliamo rispettare correttamente la Costituzione. Strano che la Corte non si sia espressa criticamente per la presenza del capo della coalizione che è un modo indiretto per indicare il presidente del Consiglio. Innanzitutto perché parliamo di una carica rappresentativa di un’altra che è quella centrale (il Consiglio dei ministri) e poi perché l’incarico per ottenere una maggioranza con Fiducia spetta al Presidente della Repubblica e non al corpo elettorale, sempre secondo Costituzione.
Sono partiti i più bizzarri commenti su un ritorno al proporzionale dopo la decisione della Consulta.
Spiegano che si ritorna alla Prima Repubblica, peccato che il sistema del Pentapartito si è sviluppato in un contesto particolare: l’Italia era la cerniera tra il mondo occidentale e quello comunista con il più forte partito comunista d’occidente legato alla Russia sovietica, questo non permise un’alternanza né una collaborazione tra Pci e Psi, il che portò ad avere un grande partito (la Dc) sempre al governo e un grande partito sempre all’opposizione.
Spiegano che così aumenta il debito pubblico, come nella Prima Repubblica. Il debito schizzò negli anni 70, nel 1992 era di 1300 miliardi. Col bipolarismo tanto decantato e la Seconda Repubblica siamo arrivati a oltre 2000 miliardi. Sulla stabilità possiamo dire che è in parte vero. Nel 1994 il governo Berlusconi non aveva una maggioranza e la dovette contrattare in Parlamento (Giulio tremonti era in un’altra coalizione), il centrosinistra vide dal 1996 al 2001 ben tre cambi di governo; il governo Berlusconi 2001-2006 vide più rimpasti mentre quello Prodi durò due anni…l’ultimo Berlusconi arrivò a tre anni e mezzo prima dell’arrivo di Monti.
Sottolineiamo pure che la Corte Costituzionale non ha riportato in vigore la legge proporzionale in vigore fino al 1992, né probabilmente un ritorno automatico al Mattarellum in vigore dal 1994 al 2005. Ha solo detto cosa non va bene facendo presente che sta al Parlamento ora pronunciarsi per correggere quel che la maggioranza di Berlusconi fece a pochi mesi dal voto del 2006.
Su chi critica il fatto che noi non siamo in grado di avere un bipartitismo perché vogliamo tanti piccoli partiti faccio presente che i voti sono dati dai cittadini e andrebbero rispettati se nel rispetto delle leggi e della democrazia. Ma soprattutto di andarsi a vedere i sistemi partitici in Gran Bretagna (patria del bipartitismo costretta a una coalizione!), Canada, Francia, Australia.
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