E ora qualcosa di completamente diversoFermi tutti, F.D.I.! – parte 2

Come io compro te, così tu compri me   Sono passati pochi giorni dall'assemblea degli azionisti di Telecom che sembra aver segnato un momento di discontinuità nell'economia e nella politica italian...

Come io compro te, così tu compri me

Sono passati pochi giorni dall’assemblea degli azionisti di Telecom che sembra aver segnato un momento di discontinuità nell’economia e nella politica italiana.

A chi ha seguito la faccenda grazie agli articoli sul Linkiesta avrà capito quanto complessa è la questione poiché dietro lo scambio di azioni si nasconde una battaglia sul futuro del Paese e sui suoi meccanismi di potere.

A tal proposito gli analisti di Deutsche Bank sull’esito della vicenda decretano che “sta per finire l’era delle scatole cinesi in Italia, non solo per Telecom ma per tutto il sistema”.

Questo, è il caso di dirlo, è la prova degli effetti positivi che possono avere gli FDI [link precedente articolo]. Come il commercio di prodotti finiti, i FDI sono forme di scambio fra paesi, fra culture e fra know-how che, se fatti in maniera oculata, non possono che arricchire sia il chi investe sia chi riceve il denaro. In fondo, da sempre il flusso del sapere ha seguito gli oggetti, i beni scambiati.

Stando ai dati che si possono raccogliere dall’OECD, dal 1990 al 2011 le principali economie dell’UE, Germania, Francia, Italia, hanno visto crescere moltissimo sia la presenza dei loro FDI all’estero sia hanno raccolto diversi miliardi di euro, come si può vedere dalla seguente tabella.

Le tre prime economie dell’UE, insieme, hanno investimenti all’estero per più di 3000 miliardi di €. Una rete di relazioni fra imprese davvero impressionante.

In ogni caso, dai dati sono tre gli spunti che qui voglio sottolineare.

Primo, tutti e tre i paesi hanno visto crescere a dismisura lo stock di capitali nazionali verso imprese straniere così come lo stock di capitali esteri verso imprese nazionali. Da questo punto di vista, l’Italia ha fatto relativamente meno shopping all’estero fra il 1990 e il 2011, così come è stata capace di attirare molto meno denaro da imprese straniere.

Secondo, la Germania, in termini relativi, ha attirato molti capitali di quanti ne abbia esportati. Può essere annoverata anche questa forza di attrazione fra le ragioni del successo del modello tedesco.

Terzo, per quanto possa sembrare strano, il rapporto fra lo in entrata (inward FDI) e lo stock all’estero (outward FDI), molto altalenante all’inizio degli anni ’90 e ’00, negli ultimi anni si è stabilizzato intorno al 60%. Precisamente, in Italia per ogni € diretto all’estero ne entrano 0.65€, in Germania 0.64€, in Francia 0.6€. In sostanza, c’è molto più omogeneità oggi, con la moneta unica e tutti i problemi dell’UE che 20 anni fa. D’altronde, i dati sottolineano quanto per l’Italia il flusso di denaro giunga e vada principalmente verso gli altri paesi UE.

Pertanto, ci chiediamo, se il problema tutto italiano dell’italianità non sia più sensato, semmai, declinarlo a livello europeo: l’europeismo delle imprese europee. Questa può essere l’unica vera prospettiva di tutela, sempre che abbia senso questa tutela…

(continua)

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