Noi italiani lo abbiamo appreso tragicamente con l’esperienza diretta diverse volte: quando alla furia della natura si frappone un argine debole alla fine il disastro è peggiore di quello che sarebbe stato se l’argine non ci fosse stato, perché quell’argine posticcio, che verrà inesorabilmente travolto, serve solo a far accumulare più acqua. Questo esempio può fare da metafora perfetta a quello che nell’ultimo anno è accaduto, e rischia di accadere ancora, nella politica italiana. La resistenza che in questi anni hanno pervicacemente opposto al rinnovamento le vecchie, esauste e compromesse (con la corruzione) classi dirigenti dell’unico partito che poteva, e può ancora oggi, far intraprendere al nostro paese un percorso di rinnovamento e di sviluppo, e questo non tanto per la qualità della sua classe dirigente, appunto, ma per la qualità dei suoi elettori e simpatizzanti, hanno svolto il ruolo di quegli ostacoli posticci che le alluvioni incontrano nel loro svolgimento e che travolgono dopo che l’acqua accumulata è un multiplo di quella che sarebbe scorsa normalmente, in tempo reale. Nel febbraio abbiamo assistito al trionfo del M5S, oggi assistiamo al trionfo di Renzi. In entrambi i casi si è trattato, sul piano dei contenuti programmatici, di un passo più indietro che in avanti, ma la spinta al cambiamento è passata sopra alle indicazioni programmatiche. Anche perché, dopo le continue delusioni, la maggior parte delle persone considera gli intendimenti programmatici dei nostri politici pura “aria fritta”, e poi siamo stati di fatto commissariati dall’Ue. In entrambi i casi nella scelta è prevalsa l’unica cosa chiara, concreta e di fatto alla portata di un leader domestico: la rottamazione della classe dirigente e connessa riduzione dei costi e dei privilegi della politica.
Il libro “La Casta” di Rizzo e Stella esce nel maggio 2007, fu il primo avvertimento serio alla politica che bisognava cambiare andazzo. Emersero i privilegi più assurdi e odiosi, come quello che riconosce la pensione di reversibilità alle/ai compagne/i dei parlamentari, cosa negata con sdegnato e falso moralismo ai comuni cittadini. Ma la classe politica non se ne diede intesa. Ricordo che in quei mesi l’argomento monopolizzava i sedicenti dibattiti televisivi, ma tutti i politici vi partecipavano con un ostentato distacco, più come “osservatori esperti” terzi che come veri responsabili della degenerazione. Ricordo che quando assistevo a qualcuno di essi rimanevo sbigottito. Io e mia moglie ci guardavamo in faccia e dicevamo “vuoi vedere che Rizzo e Stella ce l’avevano con noi?”. Poi sono emersi sempre più episodi di corruzione in cui erano coinvolti tutti i partiti, nessuno escluso. E ancora non succedeva nulla. Alle elezioni vi è stato il risultato sorprendente di Grillo, ma neanche questo è valso come avvertimento. Dicevano, spalleggiati anche dalla più alta carica dello Stato, che era tutta “antipolitica”, non avvedendosi che ormai l’antipolitica erano loro. Hanno promosso, in questo contesto, l’inciucio più sboccato come le “larghe intese”, che dava ragione ai peggiori critici. Indicavano le loro scelte come “senso di responsabilità”, lacera coperta retorica che cercava di coprire, nella peggiore tradizione togliattiana, intenti meno nobili, come nella fattispecie la spartizione delle spoglie di questa povera Italia. In questo la maggior parte del popolo di centro sinistra vedeva invece la replica del patto scellerato, evocato una volta da Violante, che ha impedito al nostro paese di avere una normale legge sul conflitto di interessi.
In un precedente “gessetto” paragonai l’incartapecorita classe dirigente del Pd a quella che i Tg in bianco e nero ci mostravano essere la decrepita e imbalsamata classe dirigente dell’Unione Sovietica nelle parate propagandistiche sulla Piazza Rossa. Qualche amico (anche esponenti nazionali del Pd) mi aveva scritto che avevo esagerato. L’epilogo attuale mi pare confermare il paragone. Infatti questi signori hanno capitolato nello stesso modo in cui capitolano i dirigenti che impongono la loro presenza al di là della volontà di tutti, chiusi ottusamente nel loro delirio. Essi infatti non hanno avuto neanche i voti di tutto l’apparato del partito, cioè di coloro che hanno beneficiato della loro ascesa, segno che l’appoggio di ieri si basava in alcuni casi non sulla condivisione di ideali ma su un puro e semplice “scambio”. Oggi chi può offrire di più sono altri.
E’ così arrivato il ciclone Renzi. Adesso però per il sindaco di Firenze si apre la partita più difficile. La vecchia classe dirigente, impersonificata soprattutto da D’Alema, nel suo delirio solipsistico, onanistico, senz’altro starà meditando la vendetta e quindi cercherà di far naufragare la nuova segreteria. L’obiettivo sarà quello di riuscire a far dire alla gente fra qualche mese “Renzi è come gli altri”. Allora, chi scrive la pensa come coloro che hanno già detto che i tempi di Renzi sono molto stretti, o ribalta la situazione subito o è perduto.
Tornando alla metafora iniziale, l’aver resistito pervicacemente e ottusamente al cambio di guardia, ha prodotto un ciclone che ha portato a destra il partito e tutto il centro sinistra italiano. Contenti? Ma cosa domando a fare? A certa gente dei programmi non è mai interessato nulla, figurarsi cosa gliene importa che ora la politica italiana virerà ancora di più a destra. Si preoccupano solo che forse, e sottolineo “forse”, perderanno le interviste dei giornali, i quali, beati loro, erano ansiosi di apprendere e divulgare al volgo il loro “alto pensiero” di professionisti della politica, del conteggio delle tessere, nonché “statisti” da strapazzo.