Lo scorso agosto abbiamo pubblicato una lunga inchiesta sul traffico illecito delle opere d’arte: un tema poco conosciuto e poco dibattuto anche in sede legislativa, tanto che, diceva proprio a Linkiesta il maggiore Antonio Coppola, comandante del Reparto Operativo Tutela Patrimonio Culturale (TPC) dei Carabinieri «è uno dei più sicuri perché non perde valore ed è semplice da sottrarre all’aggressione patrimoniale». Una semplicità dovuta principalmente ad un immobilismo legislativo decennale, come ricordava Gian Antonio Stella in un più recente articolo sull’edizione cartacea del Corriere della Sera, e, come hanno invece sottolineato gli stessi inquirenti questa mattina «le opere d’arte, non essendo soggette a particolari registrazioni, in molteplici casi sfuggono ai provvedimenti ablativi emessi dall’Autorità Giudiziaria, rilevando la loro presenza solo in una fase successiva, all’atto dell’emissione di specifici provvedimenti che colpiscono l’indiziato di appartenere ad associazioni mafiose, ovvero che risulti vivere abitualmente con proventi illeciti».
Il tema torna d’attualità perché i numeri indicano il mercato illecito dell’arte in crescita. Numeri che vanno a foraggiare trafficanti e criminalità organizzata a livello globale. Nell’ambito della più articolata “Operazione Trent’anni” che, già il 12 novembre scorso, aveva portato al sequestro di numerosi beni, quote societarie e conti bancari nella disponibilità di uno dei capi storici della Banda della Magliana, Ernesto Diotallevi e degli altri componenti del suo nucleo familiare, è continuata questa mattina con il sequestro di un prestigioso immobile in Piazza Fontana di Trevi, per un valore complessivo di circa 25 milioni di euro, quote societarie, 27 beni mobili, opere d’arte e oggetti di antiquariato.
Sono 27 le opere d’arte sequestrate a Diotallevi: un vero e proprio tesoro a cui sono arrivati i Finanzieri del G.I.C.O. ed i Carabinieri del R.O.S. rilevavano la presenza di numerose opere d’arte, poi esaminate con l’ausilio anche del Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico del Nucleo Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Roma.
Il sequestro, chiosano gli investigatori « conferma ancora una volta come la caratura criminale di un soggetto trovi spesso diretta espressione nel reinvestimento degli illeciti proventi accumulati in opere artistiche». Opere come quadri di Giacomo Balla, Mario Schifani, Sante Monachesi, dipinti di scuola romana, campana e francese dell ‘800 e del ‘900, e poi mobili di antiquariato di ingente valore, un pianoforte di mogano, tavoli intarsiati, specchiere.
«Troppo spesso», hanno detto fonti investigative a Linkiesta lo scorso agosto «siamo costretti a veder passare questo denaro e valore su cui è sempre troppo difficile intervenire a livello patrimoniale: la legislazione attuale» lamentano anche dal Nucleo Tutela Patrimonio Culturale dei Carabinieri «da un punto di vista investigativo è sfavorevole, e alcuni reati sono di difficile dimostrazione, inoltre le pene previste dal codice sono irrisorie». Il messaggio però, a Palazzo, ancora non è arrivato.