La sera della vittoria, Matteo Renzi è salito sul palco sulle note di I love it. La canzone è un successo virale delle Icona Pop, una coppia di ragazze svedesi che miscela electro house, punk e indie pop. Il refrain è subito saltato alle orecchie: I don’t care (ovvero: “non m’importa”). Energetico e trascinante. Ma l’esatto contrario dell’I care di Veltroni, hanno subito notato alcuni commentatori. E’ una scelta calcolata? O uno scoperto lapsus freudiano? In entrambi i casi, l’I don’t care della sigla della vittoria racconta meglio di ogni altra cosa il “non m’importa” del nuovo segretario del Pd. Qualcosa che ritorna nella volontà di “restare ribelle” del discorso alla Assemblea nazionale del Pd di Milano di domenica 15 dicembre. Forse c’erano queste parole nella testa di Matteo Renzi, quella sera della vittoria…
Io sono Matteo Renzi. E non m’importa.
Non m’importa dei lamenti sulla crisi, perché la sinistra vince solo quando costruisce il futuro, non quando si chiude sul presente.
Non m’importa del gruppo dirigente che ha prodotto questa sconfitta, ma anche – e soprattutto – delle idee che non hanno funzionato, delle scelte che hanno fallito, dei metodi che ci hanno impedito di parlare con le persone del nostro tempo.
Non m’importa di quelli che era meglio un partito pesante rispetto a quello leggero, ma ci hanno lasciato un partito gassoso: si perché sono evaporati gli iscritti (passati dagli 800mila del 2009 ai 250mila attuali).
Non m’importa di chi ha la puzza sotto al naso e non vuole i voti degli elettori di centrodestra e di Grillo. Perché se non si ottengono i voti di coloro che non hanno votato il Partito democratico alle precedenti elezioni, semplicemente si perde.
Non m’importa della grande forza di sinistra che poi è talmente piccola che deve fare gli accordi con il centro. Queste cose lasciamole a D’Alema e agli epigoni di Cossiga.
Non m’importa dei gloriosi reduci di lunghe stagioni del passato perché il passato non può continuare a divorare il presente. Voglio parlare con le persone in carne e ossa che pensano alla loro vita presente e non alle nobili figure della storia.
Non m’importa, pertanto, di Berlinguer e di Martinazzoli, perché, come dice la canzone delle Icona Pop, “voi venite degli anni ’70” e “io sono una stronza degli anni ’90”.
Non m’importa di quelli che hanno accumulato i bollini di partecipazione al Pci, al Pds, ai Ds, ai Popolari, alla Margherita, alla Cgil, alla Cisl, e via dicendo. Perché le speranze delle persone non hanno bollini, non hanno etichette. Hanno bisogno di risposte.
Non m’importa delle bizantine e ottuse strategie che ci hanno consegnato alla sconfitta, perché il PD deve essere spalancato alla curiosità, non rinchiuso nelle proprie certezze.
Non m’importa di quei custodi della vera sinistra che hanno respinto ai seggi gli uomini e le donne che, con passione e fiducia, erano usciti di casa per esprimere un voto, una scelta per noi. Invece, dobbiamo fare l’esatto contrario, andare casa per casa a convincere, far uscire la nostra gente di casa e riportarla a partecipare, a scegliere insieme, a stabilire relazioni, a parlare di politica, a costruire l’idea che il partito ha del mondo.
Non m’importa del partito dei pochi intelligenti, lo voglio aperto a tutti quelli che ne avranno voglia.
Non m’importa di un partito degli addetti ai lavori: dobbiamo formare alla politica e comprendere le trasformazioni della società contemporanea.
Non m’importa di fare sempre le stesse cose, di vivacchiare sule rendite del passato, di parlare sempre e soltanto ai pensionati e ai dipendenti pubblici. Il mondo è cambiato.
Non m’importa di chi ha ridotto l’Italia alla serie B dei paesi europei nelle classifiche dell’istruzione lasciando la scuola nelle mani dei sindacati e di ministri incompetenti: dobbiamo rimettere al centro gli studenti e gli insegnanti perché sono le leve del nostro futuro.
Non m’importa di quella sinistra che si riempie la bocca di lavoro, ne parla ai convegni e ne scrive sui documenti, ma propone sempre le vecchie ricette e perde consenso tra operai e disoccupati. Per non parlare dei lavoratori a tempo determinato e occasionali.
Non m’importa, dunque, dei soliti garantiti e delle corporazioni che vivono di rendite. Il Pd deve occuparsi degli outsider che in Italia sono la maggioranza.
Non m’importa delle burocrazie di partito, chiedo l’impegno di circoli, amministratori locali e parlamentari.
Non m’importa dei dipartimenti centrali che producono solo funzionari: voglio investire sui territori.
Non m’importa di quella sinistra che flirta con i nostalgici della Prima Repubblica e del sistema proporzionale o con gli amanti delle larghe intese: la democrazia dell’alternanza è l’unica democrazia che funziona e per questo serve un bipolarismo compiuto.
Non m’importa, dunque, delle preferenze della Corte, dei sofismi dei saggi, degli intrighi di palazzo: voglio una legge elettorale maggioritaria che ci dica chi governa già la sera delle elezioni.
Non m’importa dell’ex Pdl in tutt’altre faccende affaccendato, e del M5S, che ha deciso di destrutturare e basta. Solo il Pd – guidato diversamente – può cambiare verso all’Italia.
Non m’importa delle domande su come dovrà essere il Pd. Perché il partito è uno strumento e noi siamo qui per cambiare l’Italia non per guardarci l’ombelico. Insomma: non voglio chiudere il Pd, ma spalancarne le porte.
Non m’importa della sinistra depressa e con i sensi di colpa, della sinistra che deve sempre espiare qualche peccato storico: voglio comunicare con forza la gioia del cambiamento.
Non m’importa di quelli che esauriscono tutto nello sviscerare i problemi, perché alla fine servono soprattutto le soluzioni. Meglio se sono semplici.
Non m’importa, quindi, dei pannicelli caldi, perché servono riforme strutturali.
Non m’importa di tutti i nostri tabù. Perché se per cambiare e ridare un futuro all’Italia serve, oggi, abbassare le tasse, tagliare e riqualificare la spesa pubblica, limitare la pervasività dello Stato e della politica, dobbiamo farlo. Adesso!
Non m’importa delle cose come sono sempre state fatte. Voglio farle in un altro modo.
Forse quella sera di dicembre Matteo Renzi la pensava così. Ne abbiamo qualche conferma dopo aver sentito la relazione di Renzi all’Assemblea nazionale del Pd a Milano. Adesso, però, agli italiani importa eccome che quelle cose si facciano davvero.
(Questo articolo – con pochi aggiornamenti – è stato già pubblicato da Gazebos)