Oggi mi piacerebbe ragionare su una delle caratteristiche più rozze e barbare di questo malato sistema chiamato Italia: l’impossibilità di poter cambiare opinione.
Ciò nasce sostanzialmente dal bisogno innato degli italiani nel catalogare le cose in semplici insiemi riconoscibili. Per potere immedesimarsi in un gruppo e individuare il più facilmente possibile cosa siano per noi gli altri insiemi: amici, nemici, intelligenti, coglioni, pedofili, veline, comunisti, evasori, eccetera.
Non sono propriamente stereotipi nella loro accezione, ma più che altro dei gruppi semplificatori, dei “macrostereotipi”, per farci sentire meglio con noi stessi e non farci ragionare o domandare troppo su cosa sia giusto o sbagliato. O non chiaro.
Ma questo forse è normale, è qualcosa di cui le persone hanno bisogno sia in Italia che in tutto il mondo.
L’anomalia italiana parte invece nello status quo indotto e obbligatorio di non poter appartenere a categorie diverse per sfumature dallo standard, per mix o per tempo determinato.
A mo’ di caste indiane, chi nasce velina non può laurearsi in ingegneria energetica perché viene tacciata di farlo per non voler sembrare velina (non perché le possono interessare modi innovativi di produrre energia), chi vota forza nuova non potrà mai votare un giorno pd, chi pensa che l’articolo 18 e i sindacati, così come sono oggi, siano una cagata pazzesca non potrà mai dire di essere di sinistra, chi milita in un partito non può cambiarlo nemmeno se da militante rimane deluso da comportamenti impropri della dirigenza, chi è per la legalità non può dire che Berlusconi non è trattato dalla giustizia come un cittadino normale (scegliete voi in qual senso). E via dicendo.
Spesso, chi esce dalle categorie a compartimento stagno imposte dalla maggioranza omologatasi ad esse, è accusato di incoerenza.
Ma che cos’è l’incoerenza? È la fedeltà ad un leader, ad una classe dirigente, a dei simboli, a delle idee comuni?
L’unica coerenza a cui dobbiamo rispondere è quella verso il confronto continuo del nostro pensiero rapportato al mondo: il mondo cambia sempre, di anno in anno, di giorno in giorno. Con una velocità impressionante.
Pensare di mantenere sempre la stessa idea per tutta la vita o, in alcuni ambiti, per tutto l’anno o addirittura per orizzonti temporali minori, non è coerenza, non è onore. È cecità, è idiozia, è paura di mettersi in discussione (non nel senso di discutere con altri portando le proprie stesse idee stabili dagli anni ’20 o ’70 ad oggi, ma nel senso di mettersi in discussione con se stessi).
Non raramente la coerenza in Italia viene scambiata addirittura, come già accennato, con la fedeltà a dei presunti leader, maschi alfa, condottieri, eroi e messia.
E così non si può contraddirli che si viene subito accusati di essere “komunisti e amici della sinistra”, oppure additati ad essere dei “rottamatori vuoti usciti da un bunga bunga con protagonisti Fonzie e Berlusconi che vogliono annientare la sinistra” (magari la sinistra delle barche a vela, meta di imprenditori bravi solo a tessere rapporti con politici potenti), oppure definiti da tastieristi invasati ad essere degli “amici della kasta che non riconoscono la gratitudine a colui che da solo, contro la censura dei media e del sistema, tenta di aprire il parlamento come una scatoletta di tonno con l’apriscatole”. (E anche là, non basta la comoda linguetta? Perché usare lo scomodo apriscatole?).
La fedeltà cieca ed indiscussa è il peggior nemico della coerenza della ragione.
E ciò vale sia nella politica, che nel lavoro, che nell’amore.
Ma questo va in contrasto con quello che la maggioranza impone per mezzo delle categorie: è vietato mettere alla berlina le stronzate dei propri leader, i preconcetti dei gruppi, i difetti del proprio insieme. Perché facendo così si esce dagli schemi.
Se abbandoni un tuo gruppo, o se anche solo lo critichi, non hai cambiato idea (in Italia). Sei solo un opportunista, un putrido traditore.
Non importa quanti anni tu abbia, quanto i tuoi percorsi formativi possano cambiarti nel tempo. Tu devi rispondere solo al gruppo in cui sei.
L’immobilismo italiano, sia nel mondo del lavoro che in quello politico, sia nel ruolo delle donne e dei giovani spesso emarginati, è dovuto a questo tipo di mentalità. Che per semplicità si potrebbe chiamare la coerenza degli idioti.
Essa fa molti più danni dei politici corrotti e ladri, fa più danni dei sindacati abbarbicati nelle loro posizioni antiche e nei loro risultati inesistenti se non disastrosi, fa più danni della mancanza di libertà personale italiana “per legge”.
Perché, se le leggi non danno libertà ai cittadini, è per via di questa mentalità chiusa e servile.
È ovvio che, se il modo di pensare delle masse è formato così, i politici possono fare i corrotti e i ladri, i sindacati possono rimanere quello che sono, l’apparato statale anche, il mondo imprenditoriale malsano può continuare a fare accordi con i politici a discapito degli onesti e il sistema giudiziario rimane inefficiente, iniquo e lento.
Ma mica piovono dal cielo questi tumori, sono tutti formati da persone.
Nate e sostenute dagli idioti coerenti.