La nuova Europa non cade dal cielo

Il 21 dicembre scorso, il Manifesto ha ospitato l’appello “Invertire la rotta” (http://ilmanifesto.it/invertire-la-rotta/) di un gruppo di eminenti intellettuali tra i quali Stefano Rodotà e Guido ...

Il 21 dicembre scorso, il Manifesto ha ospitato l’appello “Invertire la rotta” (http://ilmanifesto.it/invertire-la-rotta/) di un gruppo di eminenti intellettuali tra i quali Stefano Rodotà e Guido Rossi, che auspica un deciso cambio di rotta delle politiche europee e in particolare la non applicazione dell’obbligo del pareggio di bilancio previsto dal fiscal compact; appello meritorio, perché nel fumoso dibattito italo-italico cerca di riportare l’attenzione sull’importanza delle politiche europee; qualche giorno dopo, Michele Salvati, sul Corriere del 29 dicembre si è chiesto se quell’appello sia “utile ed educativo” in quanto, concentrandosi solo sulle politiche europee e non sulla necessità di intervenire con delle riforme interne per rimediare ai mali nazionali, lascia fuori una parte assolutamente cruciale dell’azione utile per  uscire dalla crisi. 

Io penso che sia l’appello che l’osservazione di Michele Salvati contengano punti importanti; ma entrambe hanno il limite di non indicare quali siano le conseguenze in termini di azione politica che bisogna trarre da entrambi gli approcci. A mio parere, Michele Salvati quando sostiene che le politiche europee siano tutto sommato lontane dalle riforme di cui si discute in Italia, sottovaluta l’impatto devastante che hanno le politiche sbagliate  della UE a maggioranza conservatrice e la crescente sfiducia e delegittimazione del progetto europeo sulla nostra ripresa economica e sociale. E i firmatari dell’appello prendono in considerazione solo una parte del problema e soprattutto non dicono che l’uscita dalle politiche di austerità “non cade dal cielo”, ma può solo derivare dal cambio delle maggioranze politiche che oggi governano l’Europa; prime fra tutte le maggioranze del Parlamento europeo e della Commissione. Se alle prossime Europee del 25 maggio 2014, si eleggerà un Parlamento nel quale sarà necessaria una “grosse Koalition” permanente, a causa della presenza ingombrante di forze politiche anti-europee e totalmente inutili nella definizione di politiche positive e dall’ulteriore ridimensionamento di quelli che Barbara Spinelli chiama “gli europeisti insubordinati”, dai federalisti presenti in ogni partito, ai Verdi, a parte dei Liberali e della Sinistra unitaria, possiamo stare sicuri che assolutamente nulla cambierà e l’UE continuerà a essere irrilevante quando non controproducente per la soluzione della crisi. Quindi, gli appelli sono degli utilissimi “promemoria” e il giusto monito sulle responsabilità nazionale è davvero importante. Ma lo sarà ancora di più la capacità dei partiti, delle associazioni, della società civile, degli intellettuali e dei media pro-europei di fare della prossima campagna elettorale non un referendum tra forze nazionali, ma un momento di confronto sull’Europa che verrà.

Io penso davvero che in questo momento società politica e civile non abbiano ancora davvero capito che cosa si rischia, senza una grande mobilitazione a favore di un’Europa capace di investire in attività industriali sostenibili e in nuovi lavori verdi invece che in infrastrutture inutili o carrozzoni malridotti di un’economia decotta; pronta a riprendere con decisione in mano i grandi casi di violazione sistematica delle regole europee in materia di ambiente come la Terra dei Fuochi, l’ILVA o la Caffaro; o a eliminare le ambizioni di multinazionali come l’ENEL, l’ENI, EDF o EON di ammazzare lo sviluppo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica, facendoci tornare al petrolio, al carbone al gas, con l’appoggio di Ministri compiacenti come Zanonato.  Un’Europa forte e fiera anche perché capace di rappresentare un vero scudo contro derive autoritarie come in Ungheria, corruzione e malaffare in Italia, Bulgaria o Romania, nazionalismi velleitari e incapaci di risolvere i problemi, come in Francia e in molti altri paesi.  Un’UE che sa essere un porto sicuro, anche se temporaneo, per chi fugge dalla guerra. E, naturalmente,  capace di realizzare una vera Unione bancaria, mettendo in minoranza la Merkel e separando le attività speculative da quelle di credito del settore bancario.