Supponiamo che essere giovane in un dato paese dell’Unione europeanon sia un fatto casuale – semplice conseguenza dell’essere nati in un dato luogo anziché in un altro – ma l’esito di una scelta deliberata, come la decisione sul modello di smartphone da acquistare in un negozio. Entriamo allora nel reparto “giovani in Europa” per scegliere il prodotto che fa per noi. Sugli scaffali messa in bella evidenza c’è l’offerta “giovani in Italia”, seguono poi alla rinfusa tutte le altre. Anziché fare la scelta più “scontata” soffermiamoci a leggere con attenzione le caratteristiche dei vari prodotti, valutando costi e qualità.
Iniziamo allora a vedere che il prodotto “essere giovani in Italia” contiene un debito pubblico molto maggiore rispetto a quello dei coetanei negli altri paesi (solo la Grecia è messa peggio). Poco favorevoli sono anche le condizioni sul lato occupazione e innovazione. In particolare, nei suoi rapporti sulla condizione dei giovani la Commissione europea insiste molto su due indicatori: la quota di Neet (under 30 non più studenti e senza lavoro) e l’investimento in “Ricerca e sviluppo”. Chi offre ai giovani su questi due aspetti un “prodotto” peggiore rispetto all’Italia? La quota di Neet (dato Eurostat del 2012) da noi è pari a 23,9% mentre la media Ue-27 è 15,9%. Peggio di noi solo Bulgaria e Grecia. L’investimento in Ricerca e sviluppo – strettamente legato alle opportunità di valorizzazione del capitale umano delle nuove generazioni – è per l’Italia attorno a 1,25% (un terzo sotto la media europea, attorno al 2%).
Se prendiamo in considerazione il “Global Competitiveness Index” calcolato per il biennio 2013-14, troviamo l’Italia al 49esimo posto con una perdita di 7 posizioni rispetto all’edizione precedente. Sotto di noi, oltre alla Grecia, solo il Portogallo e qualche paese dell’Est Europa.
Rispetto, poi, alla capacità di incidere sui processi decisionali, il confronto con gli altri paesi ci dice che la nostra Penisola presenta le barriere anagrafiche più severe di accesso al Parlamento (25 anni per la Camera e 40 per il Senato) e l’età media più alta della classe dirigente (attorno ai 60 anni).
Sulla base di questi dati salienti, proviamo a fare un bilancio. Qual è il “prodotto” meno appetibile? Ovvero: qual è il peggior paese in cui esser giovane in Europa? Quale presenta condizioni meno favorevoli in termini di spazi, strumenti e opportunità nel consentire alla nuove generazioni di dare il meglio di sé? Forse non è l’Italia. Ma sta diventando sempre più difficile trovare, nel mondo sviluppato, valori più deludenti dei nostri sugli indicatori più importanti.
Valutare le occasioni all’estero è quindi per un giovane una scelta del tutto razionale. L’alternativa non è rimanere per accontentarsi, ma riconoscere quello che non va nel “prodotto” italiano per migliorarlo. E questo non possono certo farlo le generazioni che hanno guidato il paese negli ultimi trent’anni.
Il rischio è quello di una generazione che si ritrova ad essere perdente senza mai essersela davvero giocata.