Il 17 novembre è apparso sul New York Times un articolo a firma di Paul Krugman dal titolo “A Permanent Slump”, ripreso da Repubblica il 2 dicembre con il titolo “Come convivere (a lungo) con la depressione economica”. Il premio Nobel ci racconta che nel corso della conferenza annuale del Fondo Monetario Internazionale, Larry Summers, economista (nipote di Samuelson) ed ex Segretario al Tesoro con Clinton, ha affermato che quella attuale appare sempre più come una crisi di lungo periodo, addirittura “secolare”, nella quale la cosiddetta crisi finanziaria è solo un episodio. In sostanza vi sarebbe un trend negativo di lungo periodo intorno al quale ondeggia la sinusoide degli andamenti congiunturali. E indovinate un po’: quale sarebbe la causa di questo trend secolare negativo? “The indequate demand”, “domanda insufficiente”, è la risposta. Summers ha fatto presente che la crisi finanziaria è finita da più di quattro anni, ma la produzione e l’occupazione continuano a stagnare, se non a decrescere. Negli anni scorsi le volte in cui l’economia ha mostrato dei tassi di crescita avvicinandosi alla piena occupazione, è stato a seguito di “bolle” che l’hanno gonfiata artificialmente. L’ultima, chiosa Krugman, quella dell’aumento dell’indebitamento delle famiglie che ha surrogato l’insufficienza di domanda proveniente dai redditi disponibili. L’analisi di Summers e Krugman guarda soprattutto alla situazione Usa, ma il ragionamento è ovviamente valido per tutti i paesi avanzati e di riflesso per il mondo intero. Speriamo sia l’inizio di una riflessione seria, e libera da preconcetti ideologici, sulle cause vere di questa crisi. Che si smetta finalmente di parlare solo di banche, finanza, debito pubblico, politica monetaria ecc. ecc., di invocare genericamente investimenti quando poi le aziende non saprebbero a chi vendere le loro produzioni incrementali. Il problema vero è quello di rilanciare la domanda a livello globale. Se si vuole sintetizzare in un unico concetto tutto l’insegnamento di Keynes si deve far riferimento proprio al fatto che traino di un’economia con una rilevante capacità produttiva, come quella del XX e XXI secolo, è la domanda effettiva. Tutto il resto è contorno.
La cosa strana nell’articolo di Krugman è che poi non cita tra le cause di questa “inadequate demand” la diseguaglianza distributiva, pur avendo fatto riferimento all’indebitamento delle famiglie, né cita la perequazione tra i rimedi. Non si capisce se è perché li dà per scontati o cos’altro. Egli si sofferma invece sulla crisi demografica e i deficit commerciali strutturali, mentre in altri interventi indica soprattutto la spesa pubblica come propulsore. Sono forse anche “dimenticanze” come questa che inducono alcuni keynesiani “duri e puri” a prendere pregiudizialmente le distanze da Krugman?