E se il Trio Lescano si fosse messo a cantare i testi cupi di Marco Masini o quelli pop degli 883? Se le candide dive anni Cinquanta invece di intonare, con ritmo swing e sorrisi ammiccanti, Op Op Trotta cavallino avessero proposto una travolgente versione di Teorema?
Beh, succede con Ladyvette: e il risultato è esilarante. Il merito va a tre attrici, di grande professionalità, che hanno individuato nella forma “trio retrò” una chiave per dar vita a concerti-spettacolo di sottile e intelligente ironia.
Look adeguato da gran dame, rossetto sfolgorante, gesti eleganti, e un repertorio che spazia dai classici del passato (Lo chiamavan Bombolo o Sola me ne vo e altri) interpolate, inframezzate, da creazioni originali o da micidiali riletture di classici anni Ottanta e Novanta. Ecco, dunque, Fisico Bestiale, oppure un Disco Samba declinato in versione linguaggio fitness ipercontemporaneo; ecco l’orrida Vaffanculo di Masini o La solitudine della Pausini, ma tutto reinterpretato in chiave rigorosamente vintage, swing e d’antan.
Il trio Ladyvette è composto da Teresa Federico, Valentina Ruggeri e Vera Dragone ovvero in scena Sugar, Pepper e Cherry: tre personaggi, tre storie, tre modi di affrontare le canzoni, i testi, le coreografie. La prima elegante e a tratti dominante, la seconda più smaccatamente comica e diretta, la terza ingenua e sensuale, ma compatte e funzionali a tenere le fila di una composizione poliedrica e armonica.
Perché Ladyvette non dimentica la matrice meramente teatrale, e il concerto si muta presto in un vero e proprio spettacolo, in cui l’intertestualità travalica e si impone in un gioco fatto anche di brevi e simpatiche gag, di piccole derive sentimentali, di mirabili microritratti umani declinati in canzoni. Così, nei testi originali della brava Teresa Federico trova spazio l’eterno e angosciante problema della depilazione femminile, o l’affannosa ricerca d’amore: vi è molta autoironia in queste tre fanciulle, che sorridendo ammiccanti e disinvolte svelano, per contrappunto, il lato mostruoso e spesso grottesco che si cela dietro le canzonette. Nell’impeccabile lavoro di arrangiamento e riscrittura musicale, curato magistralmente da Roberto Gori, trovano dunque spazio rimandi i più vari, da Irene Grandi e Ambra Angiolini a Alessandro Canino (l’indimenticabile Brutta, del 1992): quasi a segnare un filo rosso (anche lievemente macabro) che lega la “spensieratezza” anni Cinquanta alla inquietante follia del nostro presente. Ne esce un racconto sottile, non privo di disarmante e parodica ferocia, un ritratto ritmato e ballabile da orchestrina del Titanic, un canticchiare allegre la fine, la follia, la solitudine, la risata che svela denti pronti ad azzannare. Ladyvette, visto nel piccolo e vivace spazio del Fanfulla teatro di Roma, ha grandi potenzialità. Viene voglia di rivederle, presto, su grandi palcoscenici.