Roma, stazione Termini: mi trovo in libreria quando un tweet mi informa che a Savona un gruppo di manifestanti ha invitato un libraio a chiudere e bruciare i libri. Il fatto subito rimanda all’episodio nazista del 1933 in cui furono bruciati i testi scomodi per il regime, o ancora mi fa tornare alla mente i vari roghi storici dei libri proibiti. Insomma, l’evento non ha certo suscitato piacevoli ricordi.
I libri sono messaggeri della cultura, sono e saranno i preziosi custodi della memoria, della storia e dell’insegnamento che essa ci lascia.
Per Bertolt Brecht, vittima culturale dei roghi nazisti, i libri sono un’arma che procura sapere al bambino che va a scuola, all’uomo in carcere, alla donna in cucina e al senza tetto infreddolito e affamato.
Dal rogo dei libri alle cause di un degrado culturale
L’importanza dell’apprendimento si pone a difesa delle tenebre dell’ignoranza che rende l’uomo schiavo dei diktat altrui, che imprigiona l’uomo nei suoi stretti confini.
L’episodio di oggi è lo specchio dello stallo culturale italiano, riflette il disagio della parola educazione nel vocabolario quotidiano. Analizzarlo nell’ambizioso tentativo di allargare gli stretti confini dei ragazzi manifestanti presuppone una riflessione sullo stato della formazione in uno dei paesi padri della cultura nonché culla della civiltà moderna.
Le cause sono molteplici, elencarle dettagliatamente tutte sconfinerebbe in mille e più collaterali. Mi limito ad aprire una riflessione su quelle ritenute principali.
C’è la politica, con riforme scolastiche concepite nell’ottica della rivincita verso il predecessore, come tutela dei già tutelati e già garantiti. Riforme che strizzano l’occhio a bacini elettorali consistenti rappresentati dal corpo docenti, e ancora, una gestione del potere scolastico in accordo con le dirigenze e i baroni universitari. Politica che non mette in atto interventi per la tutela del merito, per il rispetto del principio di uguaglianza sostanziale, pur costituzionalmente garantito.
Vi è poi la cattiva gestione economica delle risorse, la mancanza di programmazione seria, l’educazione concepita come spesa e non come investimento, come peso e non come risorsa. Alla mancanza di programmazione è strettamente correlata la necessità di un vero e proprio moltiplicatore culturale, capace di far crescere esponenzialmente gli investimenti in educazione nell’ottica di creazione di ricchezza (sapere) a discapito del profitto immediato. Investimenti congrui in strutture, personale, territorio e sostenibilità. Un paese che tende allo sviluppo concepisce l’educazione come leva positiva in vista della formazione di una futura classe dirigente.
Il mondo della scuola non sfrutta la capacità di apertura del proprio sistema, tende sempre più a chiudersi, con il rischio di diventare autoreferenziale, o peggio estraneo alla realtà. La crisi culturale-sociale è degli educatori, l’importanza del loro ruolo di fatto inesistente. La formazione delle menti e delle coscienze passa in secondo piano, è affidata alla strada, alla televisione, ai new media (che poi tanto new non sono).
Iniziare a concepire la formazione come dignità per gli educatori e a vantaggio degli studenti sarebbe un piccolo passo per la scuola, ma un grande passo per la società del domani. Risolvere i problemi comporterà uno sforzo enorme, ammutolire il grido che inneggia al rogo dei libri sarà dura. La forza del sapere è anche questa, affrontare le sfide con mente e coscienza intelligentemente formate.
Angelo Leccese
twitter: @Angeloleccese