Un secolo finisce solo quando ne scompaiono gli attori principali, quei personaggi che ne hanno modificato la traiettoria e che hanno stabilito i parametri chiari di quel desiderio di benignita’ sulla ferocia quotidiana della storia e della natura.
Siamo fatti di sogni e cellule pronte sempre a trasmigrare, ad abbandonarci, dentro un’instabilita’ che aumenta di complessita’ e che genera memoria, che genera quella capacita’ di imparare dagli errori, di misurare gli eventi, anche i loro segnali iniziali, in maniera sempre piu’ intelligente. Ma che non vale niente se non e’ trasmessa, se non diventa, negli anni, esperienza e saggezza condivisibili. Anche i dolori, gli amori, le passioni. Tutto lascia il segno, da tutto si impara. La razza umana ha smesso di evolversi fisicamente, non avremo mai sei dita o due fegati, ma il cervello e’ stato continuamente rimappato, ristrutturato, reso docile alle tecnologie, all’idea del nuovo, nei secoli. Ho la certezza che un essere umano del medioevo, esposto alle nostre velocita’ di elaborazione delle informazioni e delle decisioni, imploderebbe. Anche solo nello scoprire che si possono avere arance ogni momento dell’anno.
La grande battaglia dell’umanita’ e’ stata l’affrancarsi dalla fisicita’, per diventare sempre piu’ coscienza, res cogitans. Come anelito, come direzione, dovremmo, dovremmo voler volare sempre piu’ in alto.
Per questo, i nostri antenati inventarono l’epica, la letteratura, lo studio del passato come divinazione del futuro, della logica. Perche’ tutto contribuisse al gran racconto di affrancamento dell’umanita’ dalla barbarie. Quella fisica e violentamente manifesta dei soprusi, delle tirannie, dei capipopolo, e quella subdola della pressione sociale, della violenza verbale, del pressapochismo.
Abbiamo bisogno di epica, di un racconto dell’ultimo secolo e di come e’ scivolato nel nuovo, dentro le nostre memorie, di chi oggi entra od e’ a meta’ dell’eta’ della ragione, un’epica che salvaguardi le memorie, che individui i campioni e le campionesse delle tante storie che abbiamo vissuto da vicino. L’umanita’ real time delle storie che un tempo leggevamo sui giornali ed ora vediamo passarci di fronte, in maniera incontrollata, libera, ergo mirabile, Sam esposti all’informazione, a noi trasformarla in saggezza.
Calduccio pericolosoLa lunga strada verso la decarbonizzazione del riscaldamento domestico
Per un futuro edibile Vino, rete e sostenibilità
Rotta atlanticaAlle Canarie il calcio è uno strumento di inclusione sociale per i migranti
Shock e stupore Il lato giocoso e caustico dell’arte di Ally Rosenberg, tra sessualità e religione
A volte, mi sento Gianni Mina’, nei suoi racconti cubani, nelle sue memorie che noi, da ragazzini, un attimo trovavamo ridicole. Poi, crescendo, vedendo la distanza temporale fra gli eventi storici e il mio presente crescere, facendo lievitare le memorie, ho dato sempre piu’ importanza a trattenere, ricordare quelle pietre miliari dentro, nelle insenature del cuore: le fiaccolate per solidarnosc, la notte in cui Berlino divenne il cuore del mondo, il pomeriggio quando Aldo Moro fu trovato morto, il concerto dei Queen a Sun City, che divenne, credeteci o no, uno dei motivi scatenanti per i quali l’apartheid fu scontiffo e Mandela usci’ di galera. Mi ricordo di tutto, del ragazzo di fronte al carrarmato, di quando uno dei ragazzi di Tienanmen che io e il mio amico Carlo sentimmo parlare in un’estate caldissima in Riviera, ci abbraccio’ e ci disse ‘friends of freedom are my friends’. La liberta’ di pensare, volere, costruire, la conosco, la identifico subito con la necessita’ di permettere che altri ne godano. Liberta’ non solo di impresa, ma di avere accesso alle migliori educazione, sanita’, trasporti, supporto che un governo, che sia europeo, o nazionale, che sia un paese africano o sia un hypertech paese del nord europa, devono garantire.
So la differenza fra giusto e sbagliato, c’ero, ci sono stato nei cortei, nelle chiese, nelle sinagoghe, nelle moschee a pregare per sconosciuti in tribolazione, per amici scomparsi. E la mia preghiera era non tanto ad un Dio che non vedo in natura, ma a quei frammenti di divino che abbiamo dentro. L’anima del mondo siamo noi, queste generazioni che continuano a passare attraverso gli eventi, le notizie brutte e belle. E dobbiamo raccontarla questa storia, questa veemenza di comunicare, di esserci, di intaccare e cesellare le epoche acrigne che viviamo.
Appartengo al secolo scorso, lo ammetto. Ho quasi 43 anni. E so, ho visto, ho fatto esperienza della storia, degli eventi. Lacrime, fatica, le notti in ufficio, al telefono, la logica che viene sopraffatta dall’irrazionalita’. Ma, a questo serve l’epica delle persone, degli eroi, anche quelli quotidiani, che incontri, quei vecchietti che sorridono alle poste, gli amici con i quali condividi le storie di piccoli e grandi passi avanti nella vita, le ombre di chi non c’e’ e le luci radiose di chi cresce attorno a noi.
Le persone, il loro esempio, sono la benzina, il carburante del desiderio di farcela. Magari ad invecchiare, a sopravvivere, o, forse, a dare un altro supporto a questa incredibile, aliena eccezionalita’ che siamo nell’universo. Un giorno, qualcuno dei nostri pronipoti arrivera’ su un altro pianeta, si siedera’ e raccontera’ ai nipoti la storia di Ulisse, di Mandela e leggera’ ad alta voce Virginia Woolf. L’universo, una stanza tutta per noi. Passeranno i secoli, lasciandoci tornare terra, polvere ma la magia della parola, del racconto, della redenzione che e’ l’epica, viaggera’ nello spazio.
Giardini di Miro’ – Memories