Ci sono due grandi convitati di pietra in qualsiasi discussione di politica nel nostro paese. Uno è l’imposta patrimoniale, l’altro è l’Euro e su entrambe le questioni prevale spesso la voglia di schierarsi, a favore o contro, piuttosto che la voglia di approfondire. Nei giorni scorsi due centri studi, Nomisma e Link Tank, hanno pubblicato due lavori interessanti che in realtà si parlano molto tra di loro. Partiamo dalla proposta di Nomisma che sul loro sito sintetizzano con “Soluzione 10% – Un prelievo straordinario del 10% sulla ricchezza finanziaria del 10% più ricco per reperire le risorse necessarie a combattere le tendenze all’impoverimento e rilanciare la crescita dell’economia”. In estrema sintesi Nomisma pensa ci voglia “qualcosa di forte” per far ripartire i consumi ed il lavoro. Partendo da una stima di Banca d’Italia che la ricchezza liquida delle famiglie italiane – al netto di attività reali, titoli di stato e partecipazioni in società di persone – sia pari a circa 2.400 miliardi di cui circa 1.130 miliardi posseduto dal 10% più ricco delle famiglie italiane (sopra i 450.000 euro a famiglia), Nomisma ipotizza un prelievo una tantum del 10% su questa fascia che darebbe un gettito di entrate per lo stato di 113 miliardi di euro da ridistribuire a favore delle famiglie più povere e delle imprese.
Nomisma coglie un punto quando, cifre alla mano, ci fa vedere in faccia la realtà. Le attuali previsioni, anche le più ottimistiche, dicono che il mercato del lavoro che non tornerà, neppure nel 2023, ai livelli pre-crisi (6% di disoccupazione) e che la mancanza di domanda rischia di tradursi in un deterioramento delle capacità di sviluppo della nostra economia, incidendo, insieme con la rarefazione del credito, su dimensione ed efficienza della base produttiva. Come ha ragione quando dice che una domanda maggiore è dunque oggi essenziale, più ancora delle riforme strutturali, per salvaguardare il lato dell’offerta. Sbaglia quando crede che un imposta patrimoniale del 10% sul 10% della popolazione possa realizzare un’accelerazione dell’attività economica verso i necessari ritmi del 2-2,5% all’anno tra il 2014 e il 2018. La diagnosi di Nomisma è corretta (ci vuole più domanda aggregata) mentre la cura proposta (la patrimoniale) sarebbe un errore fatale per il nostro Paese. Spaventerebbe senza poter essere implementata. Infatti una patrimoniale fatta solo su alcuni beni liquidi (molti a valori storici) sarebbe sicuramente ingiusta e non equa e quindi difficilmente passerebbe il necessario vaglio costituzionale. Oltre a questo questa tassa straordinaria potrebbe avere un effetto domino sull’occupazione se dovesse obbligare chi detiene una società di capitali, cosi sembrerebbe nel paper citato, a pagare il 10% del proprio patrimonio netto come tassa straordinaria anche se su quattro anni. Sarebbe la mazzata finale per tantissime nostre medie imprese. La media impresa l’ultima cosa di cui ha bisogno sono nuove tasse, infatti ricordiamo che nel 2012 in Italia si sono contate oltre 1.500 imprese con fatturato superiore a 50 milioni di euro che hanno un rapporto tra debiti finanziari e margine operativo lordo maggiore di 6 e se andiamo più in dettaglio sul numero totale di aziende con rapporto debiti finanziari – margine operativo lordo (PFN/EBITDA in gergo finanziario) maggiore di 6, il 93,5% presenta un fatturato compreso tra 50-500 milioni di euro (oltre 1.350 imprese) ed il 51,2% presenta un rapporto PFN/EBITDA addirittura superiore a 10. Un quadro non tanto allegro.
Ma c’è anche una risposta ancora più forte e di prospettiva e su questo passiamo al lavoro “Euro sì-Euro no: all’Italia conviene la moneta unica?” di Paolo Manasse e Tommaso Nannicini uscito come anticipazione su Linkiesta.it. Questo documento analizzata gli effetti dell’euro su alcune variabili utilizzando una metodologia statistica che, partendo da un gruppo di potenziali paesi “di controllo” con cui confrontare l’Italia, ne costruisce una combinazione, una sorta di Frankestein simile all’Italia, capace di mimare accuratamente l’andamento dell’economia italiana prima e dopo dell’ingresso nell’Euro.
Per rendere più evidenti i risultati viene dato un voto di che impatto l’Euro abbia avuto rispetto a quattro aspetti: 1) l’andamento del commercio con l’estero; 2) l’andamento dell’inflazione; 3) i rendimenti del debito pubblico; 4) gli effetti sulla crescita e produttività. A leggere il rapporto si capisce come l’Euro abbia avuto un effetto positivo sull’andamento del nostro commercio estero, sia stato complessivamente neutrale nella dinamica dell’inflazione e dello spread, mentre l’Euro sembra aver avuto un effetto estremamente negativo per l’andamento della produttività del lavoro. Come potete leggere nel grafico le traiettorie dell’Italia e del controllo sintetico si separano nettamente, in concomitanza con l’avvento dell’Euro.
Che cosa è successo? L’ opinione di Link Tank è che con l’ingresso nell’Euro, quindi in un contesto più competitivo e con maggior integrazione commerciale, l’Italia invece di rispondere con maggiori riforme nel mercato dei beni e del lavoro (come è avvenuto in Germania) si sia seduta sugli allori usando il dividendo dei bassi tassi di interesse e del maggior commercio internazionale. Cioè il decennio dell’Euro appare come l’ennesima occasione mancata per la nostra politica non solo economica, che non ha saputo orientare il nostro modello in un contesto competitivo radicalmente mutato. Quindi la risposta è completare il percorso riformista iniziato, tra errori, nel mercato del lavoro, nella pubblica amministrazione e sulla concorrenza. Non ci sono scorciatoie ad un grande progetto riformista.
Ma per realizzare le riforme ci vuole un economia non depressa come quella di questi alcuni anni. Basta spaventare produttori erentier. Voltiamo pagina, no a qualsiasi “Soluzione 10% “perché sarebbe una mazzata alla fiducia dei consumatori. Bisogna percorrere la strada opposta e rilanciare la fiducia ed i consumi aumentando il gettito e dare così la possibilità concreta di abbassare il cuneo fiscale.
Per non essere troppo generici diamo, anzi ridiamo, un’idea su come dare fiducia alle famiglie e trovare gettito fiscale per dare fiato ad imprese e famiglie. Facciamo nel 2014 un grande accordo fiscale tra contribuenti e Fisco in cui i cittadini accettano la riforma della dichiarazione dei redditi delle persone fisiche che comprenderà finalmente anche la situazione patrimoniale (come accade in molti altri Paesi occidentali tra cui Svizzera e Stati Uniti) ed in cambio – per chi volesse ed a pagamento – il Fisco accorcia i termini di accertamento sulle persone fisiche.
Sarebbe una rivoluzione permanente nella lotta all’evasione e si potrebbe farebbe cassa (alcune stime parlano di decine di miliardi di euro) a tutto vantaggio dei consumi e degli investimenti. L’Italia ha bisogno di crescita della domanda aggregata e di riforme, non di annunci di nuove tasse.