Spin DoctorNCD, se anche il logo è senza quid

  Premessa/1 Il successo di una forza politica non dipende, o almeno non solo, dal logo, dallo slogan o dal colore della cravatta del suo leader. Dipende invece dalla capacità di proporre una narra...

Premessa/1

Il successo di una forza politica non dipende, o almeno non solo, dal logo, dallo slogan o dal colore della cravatta del suo leader. Dipende invece dalla capacità di proporre una narrazione politica coerente, in grado di esprimere in maniera netta e chiara valori, obiettivi, visioni politiche di breve e lungo termine. Ma soprattutto essa, per essere davvero efficace, non può limitarsi ad un susseguirsi di singoli elementi tenuti insieme solo da uno sviluppo dialogico. Deve essere una vera e propria storia, con un eroe e un antieroe, con un oggetto di valore chiaro, con delle prove simboliche da superare per dimostrare il proprio saper e poter fare. Dopotutto affermava François Mitterand “Viene eletto chi racconta al popolo il pezzo della sua storia che ha voglia di ascoltare in quel determinato momento. Con una condizione: essere l’eroe credibile di quella storia”.

Premessa/2

Nella comunicazione politica, e forse nella comunicazione in generale, si usa troppo spesso come metro di giudizio la categoria del “bello”: bello/brutto diventano estremi di un asse analitico appiattito su semplici varianti stilistiche. Di uno slogan, di un logo, di un manifesto. 

Forse bisognerebbe chiedersi di più, tra professionisti, politici e analisti: funziona? esprime valori coerenti con la narrazione che vogliamo proporre o che abbiamo proposto finora? Rafforza il nostro frame? Utilizzare la categoria del funzionale, accanto a quella del bello, forse permetterebbe non solo di valutare meglio determinati prodotti comunicativi, ma anche di produrne di più efficaci. 

Perché è meglio uno slogan banale ma che funziona, rispetto ad uno originalissimo ma del tutto incoerente con il nostro posizionamento. 

Premessa/3

Gli elementi creativi, soprattutto grafici, sono importanti. Può sembrare una contraddizione rispetto alla premessa/2 ma non lo è. Perché oggi è fondamentale avere un logo ben fatto, un’immagine coordinata coerente e riconoscibile, messaggi e parole chiave in grado di restare impressi nella mente dei potenziali elettori o di diventare tormentoni. Il problema sorge quando si pensa che questi, da soli o slegati gli uni dagli altri, siano sufficienti a portare un elettore alle urne e a votare per noi. 

Premessa/4

Giudicare il lavoro di altri professionisti non è mai facile. Anche perché troppo spesso si giudica quello che ha fatto, senza mai domandarsi cosa gli hanno chiesto di fare? A meno che non si lavori per se stessi c’è sempre un elemento di mediazione tra committente e professionista. Una mediazione che spesso si trasforma nella riproduzione di quello che il politico ha in testa. Anche se non sempre, per fortuna. 

Il logo di NCD

Il logo presentato da Alfano ha un limite fondamentale: non esprime un posizionamento identificabile, non ha elementi grafici o testuali che provino ad indicare una direzione, appare del tutto neutro dal punto di vista del significato e del significante.

Sul piano grafico manca un elemento saliente, se si fa eccezione della forma quadrata (nella scheda elettorale, però, i simboli devono essere circolari), che si ripete nella suddivisione dello spazio interno in quattro quadranti. Singolare la scelta di lasciare fuori la D dal riquadro che contiene N e C (che da soli richiamano troppo pericolosamente “Non Classificato”), quasi a voler marginalizzare il richiamo alla destra. 

I colori, bianco e blu, sono puliti ma un po’ freddi, una freddezza non alleggerita nemmeno dalla sfumatura del blu nell’unico quadrante pieno. Il quadrato, come detto da Alfano, dovrebbe essere simbolo di eguaglianza (tutti i lati sono uguali) e in un certo senso di equilibrio, forza, stabilità. Il problema è che la scelta di riempire solo il riquadro in alto

a sinistra e quello in basso a destra rende invece il nuovo brand di NCD instabile, come se fosse sospeso, in bilico. Una instabilità accentuata da quella D rimasta lì, un po’ appesa. 

Interessante invece la scelta del font, moderno e pulito. 

Il limite di questo logo, però, non è il logo in sé, quanto la storia che dovrebbe sintetizzare, la narrazione di cui dovrebbe essere un’espressione visiva e stilistica. Una narrazione che invece rimane ineffabile e irrealizzata, forse proprio perché ad oggi non esiste. Dopotutto è un discorso che vale anche per il nome del partito: Nuovo Centro Destra indica uno stato di fatto non una direzione, una qualità, un obiettivo.

Il problema non è solo comunicativo (nel senso di scelte comunicative) ma politico. La nuova formazione guidata da Alfano ad oggi esiste soltanto in antitesi a Berlusconi, non ha ancora espresso un proprio percorso, una propria “storia” in grado di sfilarsi dalla strettoia tra i falchi berlusconiani e l’appoggio al governo Letta. 

Per un partito che nasceva per differenza rispetto ad una forza esistente sarebbe servita probabilmente una scelta più coraggiosa, strategica prima ancora che comunicativa, in grado di generare “senso” politico da tradurre in azioni di comunicazione forti, riconoscibili, se non rivoluzionarie almeno di rottura. 

Ma dopo tutto, se il quid non ce l’hai, non puoi sperare di trovarlo in un logo.

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