Povero fumetto, che preferisce entrare nei solotti di pochi invece delle case di tutti.
Povero fumetto, che si vergogna perfino del proprio nome. Che tristezza.
Povero fumetto, in balia dei meandri della rete. Come se un allenatore della nazionale andasse a chiedere consiglio ed elemosinasse approvazione in un bar sport.
Povero fumetto. Una volta, quando una storia funzionava, ti dicevano “bravo, sembra un film”. Oggi “bravo, sembra un romanzo”. Bel passo avanti, eh?
Povero fumetto. Fumetto italiano. Che ha prodotto generazioni di autori capaci di fare quadrare sempre una storia, di mettere assieme solidità e divertimento, ma inutilizzati, salvo rare eccezioni, da televisione e cinema. Perché sono solo fumettisti.
Povero fumetto, che in quei pochi salotti di cui sopra, quando riesce a entrarci, è guardato come un tipo bizzarro e divertente, che è molto “democratico” e à la page avere invitato alla festa, però adesso non deve esagerare e rompere i coglioni.
La citazione usata come immagine l’ho presa qui. E Gipi è un grande, anche nelle piccole cose.