E’ ufficiale la notizia che il pubblico ministero Nino Di Matteo, nella Dda di Palermo dal 1999, non abbia partecipato, per ragioni di sicurezza, all’udienza di stamani sulla trattativa Stato-Mafia, nell’aula bunker di Milano.
La Dia ha lanciato un allarme dopo aver ascoltato ore di conversazioni registrate nel carcere di Opera, Milano, tra il superboss corleonese Totò Riina e Alberto Lorusso, uno dei capi della Sacra Corona Unita pugliese. Dalle intercettazioni, di venerdì scorso, si è risalito al progetto di un probabile attentato nei confronti del pm Di Matteo, già in fase esecutiva. “Tanto deve venire al processo”, questa è una delle frasi captate, pronunciate da Riina. Era questo il processo?
Le misure di prevenzione per la sicurezza di Di Matteo sono state ovviamente adottate ma le minacce al pm scandiscono, ancora una volta, il pericolo e il rischio per il nostro Paese generato sia dalla mafia, quella propriamente detta, sia da quei rappresentanti dello Stato, affiliati alle cosche che, per indole criminale, favoriscono il potere mafioso.
A vent’anni dallo stragismo la storia si ripete. Anche il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, aveva, giorni fa, pubblicamente dichiarato che non è esclusa la ripresa dello stragismo mafioso.
Sentiamoci dunque ostaggi non solo del crimine organizzato ma anche di quei poteri alti, strettamente intrecciati e radicati negli affari delle mafie. Sentiamoci tutti come un loro obiettivo, nel loro mirino, perché se non uccideranno col piombo lo faranno, e lo fanno da sempre, con il consenso.
Sentiamoci tutti Di Matteo.