Il tentativo, da qualche settimana a questa parte, di far passare un po’ di filosofia per Twitter si rivela un’operazione in parte naif, dato che al di là di qualche effetto baci-Perugina, non si va. E in parte di marketing, per sponsorizzare dei libri di un noto giornale (cosa legittima, ci mancherebbe). Probabilmente è il limite del mezzo, ma forse anche la sottostima del valore di pratica che il pensiero filosofico esige. Non credo che il genere letterario «pop-filosofia» vada al di là di un felice brand per vendere i libri degli emuli italiani di Slavoj Zizek. Di molto sopravvalutato, certo, ma che pure suscita la sua dose di simpatia. La filosofia italiana ha la sua eccellenza nella tradizione storico-filosofica. Quando si mette a fare teoresi, e quando non scimmiotta le mode tedesche, parigine o analitiche, ha due canali privilegiati: la tradizione storicistica, e l’eleatismo. Quando invece si prova nella divulgazione, rischia spesso di dissolversi in un effetto a metà tra la filosofia per dame e il pastiche philosophique.
Ma nel generale sconquasso della «crisi nella crisi» (di sistema economico, e di anime in p(i)ena) forse un po’ di pillole di saggezza potrebbero riattivare un’altra grande scuola: quella di Cicerone e delle Tusculanae Disputationes. Terapia filosofica per il male di vivere. Il neo-ellenismo in cui viviamo, con le impressionanti analogie tra l’attualità e il periodo tra il III secolo a.C e il II d. C, la dissoluzione dei poteri nazionali, l’emergere di poteri decentrati e vagamente anonimi, il bisogno di salvezza o almeno rassicurazione esistenziale, sembrano favorevoli a questa torsione terapeutica 2.0 del logos filosofico. Basteranno 140 battute a evitare l’effetto posta del cuore, o la «carte postale» è il destino dell’epoca?