Finche il grano non torna ad essere mietuto, una guerra non e’ finita, dicevano i nostri nonni, mentre osservavano le colline ricoperte come da un manto d’oro, ma senza forza lavoro necessaria a raccogliere i cereali. I vigneti e gli oliveti ci misero anni per essere rimessi in riga ed ognuno mise mano al proprio campo, al giardino di casa, producendo quello di cui c’era bisogno. Erano anni difficili, tosti, dove la situazione economica non era sicuramente favorevole. E, come sempre, la vera opera di bonifica e di miglioramento avveniva ai margini dei grandi latifondi, delle grandi estensioni arabili, nel piccolo contesto della vita delle persone. Nascevano consorzi, cooperative ed un’economia dove i soldi dei prestiti, dei finanziamenti americani del piano Marshall, il flusso monetario che riprendeva, nonostante tutto, crearono le condizioni per la crescita dell’Italia e dell’Europa. Ci volle coraggio, tanto coraggio, e ci vollero anche ponti, strade, ci volle la ricostruzione delle chiese e delle scuole, dei selciati e delle abitazioni distrutte dai bombardamenti.
Ci vollero riforme, e mica da poco, dato che nel settembre del ’46 gli Italiani scelsero la Repubblica. Ed in pochi anni, una schiera di politici ancora giovani, forse inesperti, o con competenze ed aspirazioni che non erano quelle di fare politica, crearono riforme tali che modificarono non solo la normativa vigente, ma interi territori, la geografia e la societa’ di intere regioni del paese. Se passate dalla Maremma, noterete la grande abbondanza di cognomi veneti, come, al nord, se avete un cognome del sud, c’e’ il caso che voi, pero’, siate di almeno terza o quarta generazione, da quando un nonno od un bisnonno emigrarono nelle grandi fabbriche. Quella generazione invento’ l’Europa, la inventarono proprio, dato che la sua estensione attuale non rispecchia quella di nessun impero del passato, neanche di quello Romano. Perlomeno, il risultato e’ stato ottenuto in pace.
Siamo tornati al 1946, con un paese che sta vivendo una delle piu’ importanti diaspore degli ultimi 50 anni, in un momento dove le grandi riforme non accadono, in assenza di quel senso di urgenza che avevano i nostri nonni, i quali dovevano costruirsi le strade per tornare a casa, dovevano asfaltare i tratturi, per far accelerare I commerci. Noi non lo percepiamo, o perlomeno non lo percepisce chi di dovere. Oggi non stiamo all’indomani di un conflitto, ma, nell’Italia del 1946, I fondamentali sono sempre gli stessi: il paese esita ad uscire dal grande collasso finanziario del 2008, stenta a fare altro che a credere in un mix di dirigismo economico e di liberismo belligerante, dove non accade la sintesi, dove non si mescolano, come sta accadendo altrove, e come accadde nel 1946, gli interessi della politica, dell’industria, e del privato cittadino. Invece di ricomporre, si dilania, invece di offrire soluzioni, ci si picca di momenti di gloria e di piccoli espedienti. Perche’ tanto sono le persone a raccogliere le olive, a piegare la schiena, a tirare le reti per I pesci, a continuare a far fare I compiti ai figli a casa. Sperando che non vadano troppo lontano, che rimangano perlomeno a poche ore di volo. La storia eterna che raccontano tutti i ragazzi che incontro, ormai quotidianamente, nei ristoranti, e nei negozi di Londra. Partire per non sparire, per non rimanere invischiati, per non sentirsi parte di un ingranaggio di un motore che gira a vuoto, che non offre speranza, ma delusione.
L’italia del 2014 e’ come quella del 1946. Anche nella coscienza che ci possa essere un’opportunita’ ancora, per il paese, per le sue mille anime. Che non e’ un’uscita dall’Euro e dall’Europa, non e’ ancora piu’ rabbia, piu’ confusione sotto al cielo, ma un ritorno ad un modello di sviluppo che riparta dalla riparazione dei muretti a secco, delle reti dell’orto personale, della rimbiancatura di una casa, dall’apertura di un’impresa artigiana, di un centro servizi, di qualcosa che appartenga alla persona, e che lo sia in funzione della comunita’. Quel limite che oggi e’ stato ben delineato da filo spinato e fossati, fra impresa e societa’, fra cooperazione solidale ed intervento pubblico. La riforma agraria che dava terreni e casolari, ai contadini i cui figli studiando potevano diventare dottori. Studiare per diventare qualcosa, tranne che politici. Nel 1946, chi prese le redini della Costituente, del primo Parlamento della Repubblica, erano persone che si erano preparate ad una vita completamente diversa. Ed erano finite a gestire la res publica. Ed il grande errore e’ stato non aver colto in quel momento un fabbisogno di amministratori capaci, preparati, lasciando all’istinto personale e ad una politica fatta sempre piu’ di magheggi e di rendite di posizione, la guida di quelle classi produttive che, mano a mano, lentamente, si sono disaffezionate alla gestione del futuro collettivo, che e’ lo spazio di azione della politica stessa. La gestione delle opportunita’, delle decisioni.
Io auguro che il 2014 sia un nuovo 1946, un nuovo momento di riforme radicali e di coscienza civica che diventi sempre piu’ diffusa, un dopocollasso, un dopotregenda, se non fosse che siamo ancora nella curva discendente e se non fosse che la nostra piu’ spericolata gioventu’ lascia il paese, i borghi, le periferie. E, ogni biglietto, ogni passaporto controllato con sopra lo stellone della Repubblica e con dentro una di queste facce radiose e solari dei ragazzi e delle ragazze del Bel Paese, sono come fibre, tasselli di questo puzzle che e’ il paese. Un puzzle, piu’ che un rebus. Piu’ che un enigma. E sarebbe gia’ un successo prenderne coscienza, che ognuno e’ vitale, ognuno e’ importante e che la politica la facciamo io e te, noi, ovunque, la politica accade e puo’ accade, anzi, deve accadere fuori dai palazzi, dai congressi, ma tornare ad essere quel meccanismo di trasmissione di idee, spunti, che diventino la maniera autonormativa con la quale la societa’ indica la direzione dove vuole andare. Solo questo ci permettera’ di smettere di credere alle promesse, perche’ ce le faremo a noi stessi. E sarebbe un po’ tradirsi da soli, n’est pas?
Vi auguro un 2014 di mani che afferrino una spiga di grano, la stacchino e ne esaminino il contenuto e che accanto qualcuno vi spieghi la differenza fra la pula, la crusca, il germe e il seme del grano. Da cui arriva la farina, e con cui viene fatto il pane, quel pane il cui odore, nonostante tutto, nonostante tutta la modernita’ di cui siamo capaci, ci fa ancora pensare ad un mondo sereno, sicuro, dove i campi non siano abbandonati, e dove ci sia voglia di ricostruire, magari partendo proprio dal forno in pietra.
Vi auguro un 1946, scusate, un 2014, di grandi attese, informi ma vitali certezze e di energia che non diventi rabbia e diverbio, ma azione e collaborazione.
“Tutto questo un tempo era un deserto, una palude, una collina piena di sterpi. Queste mani che vedi dei tuoi nonni, dei tuoi avi, nelle foto, nelle immagini che tieni dentro, quei piedi e quegli occhi, ognuno di questi muscoli, hanno difeso le coltivazioni, hanno tolto i sassi dal campo, hanno continuato a pagare quello che c’era da pagare, perche’ ogni cosa di buono potesse nascere, arrivasse a te, a voi, ai miei nipoti. Prendi alcuni chicchi di grano e portali con te, perche’ appartieni a queste zolle, a queste colline che scendono e ci abbracciano. Anche i politici che decidono, lontano da qui, mangiano questo pane. E qualcuno ogni tanto deve ricordarglielo, perche’ una societa’ che funziona e’ l’unica forma di difesa dall’entropia“
K.J. Okker ‘Politica ed Energia’
SOUNDTRACK
Fink meets the Concertgebouw Orchestra – Yesterday was so hard on all of us
http://www.youtube.com/watch?v=qvsfRSm9Au4&feature=youtu.be
Questa canzone e’ dedicata a tutti, ma, in particolare, all’amico Luigi, con il quale ci venne un’idea di usarla per un video alla Leopolda del 2011. Perche’ dice una cosa semplice, che, se non ce la faremo insieme, se non prenderemo atto insieme che qualcosa deve cambiare, non ci troverete piu’ in giro la prossima volta.