Premessa. Odio gli asterischi e non li ho mai odiati come in questo momento in cui sembra che qualsiasi forma convenzionale di conversazione orale, scritta e tridimensionale debba basarsi su questa specie di griglia da tris,#mamma #scusa #che #per #caso #hai #visto #i #jeans. Io che di norma l’asterisco lo usavo solo per chiedere alla **** (non si può fare pubblicità, dice) quanti spiccioli mi erano rimasti nel telefono. Ma siccome siamo giovani (dice, once again – perché pure due parole della lingua d’albione bisogna metterci ogni tanto-) e siccome la campagna da cui prende spunto questa riflessione (vabbè mo, riflessione, per dire) ce lo mettiamo sto benedetto asterisco, lo piazziamo là davanti pure noi e non ci pensiamo più. Stop. (che vale sempre come parola ingleseggiante, no?)
Veniamo al dunque. Ieri è letteralmente esplosa sulle home dei miei vari Twitter, Facebook, Pinterest, insomma su tutti i socialcosi, la campagna ideata dal gruppo Zero, collettivo di artisti di base tra l’Italia e di certo qualche posto che non puoi chiamare con +039, che aveva e ha tuttora, ammesso che qualcuno non si unisca a me con l’intento di stroncarli, lo scopo di sensibilizzare l’opinione – e che opinione – pubblica sull’annosa tematica dei creativi sottopagati o pernientepagati.
Ora, innanzitutto. Un creativo, per l’esattezza, che è? No perché qui le definizioni si sprecano. Per dirne una, io che di certo non conto più di un fico secco, credo che Alessandro Del Piero sia un creativo. E pure tanti nostri politicanti secondo me sono creativi, perché tante idiozie una dietro l’altra con quelle facce là mica è facile dirle , provateci un po’ voi. Una, due, dieci, venti, alla trentesima poi vi stancate. Niente Giovanà, il record di 163 in tre primi quattordici secondi e trentuno decimi è tuo, dormi sereno. Oppure il creativo si guarda da altre cose, cose più sostanziali. Che ne so, la barba alla Robinson Crusoe, che senza quella non crei niente. La camicia a quadri, il maglione con le maglie larghe, gli occhiali che fanno tanto prima Repubblica.
Niente, tutto st’acidità gratuita e un po’ cattivella per dire una cosa, che poi è la verità scomoda dietro tutta sta storia che in pochi hanno la faccia di raccontare così per com’è. Essere creativi è una figata, è un lavoro faticoso e degno di rispetto come tutti gli altri, ma è un lavoro particolare. Particolare perché non tutti possono farlo, per esempio. Particolare perché non dà lo stesso valore aggiunto di altri mestieri, per esempio. Perché un logo per il tuo brand superfashion te lo posso disegnare pure io, che poi farà schifo, ma è un altro discorso, mentre se ti parte la caldaia ti fai tutto l’inverno tipo dependance sugli Urali, altro che Ticinese. E se nella Milanodabere (ma quanta sete c’avete?) c’è una densità più alta tra social media manager, designer, archistar e stilisti che tra i venditori di rose bengalesi, un problema evidentemente c’è. Ora non voglio scomodare ascisse, ordinate, x,y, domande e offerte, ma il mercato non ha la stessa necessità di creativi che di salumieri o imbianchini.
Perché provarci è giusto e doveroso. Non desistere di fronte alla evidenza dei fatti, è da cretini.
Ah, e per capirci: se accetti di lavorare senza farti pagare perché così puoi fare il figo su LinkedIn, altro che visibilità, altro che esperienza. #coglioneForse.
P.S. I tre video di Zero (http://zerovideo.net/) sono belli. Pensati bene, girati bene, realizzati bene. Perché i tre ragazzi hanno talento, e si vede. Quindi continuate così, lavorate, e fatevi pagare che ve lo meritate.
Michele Dello Preite
(er twitte’ uso quello de mi cugino @giuliopalazzo)