Quello di Porcia non è uno stabilimento competitivo.
Lo dice l’azienda svedese che ha sede legale della controllata italiana a Porcia.
La domanda più ovvia dovrebbe essere: competitivo rispetto a cosa?
Piccolo ripasso di economia aziendale.
Un’azienda continua la propria attività nel tempo se i suoi ricavi superano i costi. I ricavi derivano dalla vendita dei beni o servizi prodotti; i costi dipendono dai fattori impiegati nella produzione. Pertanto, un’impresa cercherà sempre di massimizzare la differenza fra ricavi e costi, quello che comunemente chiamiamo profitto.
Profitto= RICAVO – COSTO
L’Electrolux non fa eccezione: in questo momento, l’azienda cerca di ridurre i propri costi per aumentare i profitti. Data la sua dimensione internazionale e la sua natura giuridica (è una public company) si pone prima degli obiettivi economici in termini di profitto per poter pagare i dividendi azionari e per aumentare così il valore delle azioni. Poi, sulla base di questi obiettivi, decide le strategie.
Per esempio, se l’ammontare delle vendite è stabile, per aumentare i profitti (e raggiungere il target prefissato), l’azienda ridurrà i costi.
COSTO + Profitto = RICAVO
Fissato il ricavo, per far crescere il profitto si riducono i costi. Semplice matematica.
COSTO |
Profitto |
RICAVO |
8 |
2 |
10 |
7 |
3 |
10 |
6 |
4 |
10 |
Cambiamo il punto di vista: invece di concentrarci sui COSTI (lavoro, energia, burocrazia, ecc…), poniamo la nostra attenzione sui RICAVI.
La vertenza Porcia, come altri casi analoghi negli ultimi anni da parte dell’Electrolux in giro per l’Europa o da parte di altre aziende anche in Italia, nasce dalla volontà esplicita da parte di Electrolux di garantire alcuni parametri chiave per il mercato finanziario dell’azienda stessa. Per esempio nel 2011 i target per il futuro erano: EBIT in crescita del 6%; Capital Turnover pari a 4; ROCE pari al 25%; Organic Growht al 4%.
Per chi non conoscesse il significato di questi indici, sappiate che hanno a che fare con il profitto, quindi con il rendimento per gli azionisti dell’azienda e tutti e 4 dicono: vi faremo guadagnare
La cosa interessante non è tanto la promessa, ma la strategia messa in atto per mantenerla.
Per esempio, poniamo che le vostre vendite nette dal 2007 al 2011 siano calate, diciamo del 15%. Per una PMI sarebbe un problema: minori ricavi incideranno sul profitto, riducendolo, magari annullandolo. E 4 anni di minori ricavi in un contesto di credito strozzato portano alla chiusura. Invece, per un’azienda grande, una multinazionale, le regole sono diverse, così può dimostrare agli vostri azionisti che il risultato operativo è cresciuto nello stesso periodo del 35%: un bel successo. Ancora, nonostante il capitale dell’azienda si sia ridotto, il rendimento dello stesso misurato come RONA è cresciuto, e parecchio.
Riassumendo, nonostante le minori vendite, l’azienda si è dimostrata solidissima a livello finanziario e, proprio per questo, viene ripagata: nel 2012 il valore delle azioni di Electrolux sono cresciuto del 57% mentre il mercato cresceva solo al 10%.
Non solo: con la promessa di crescere sui mercati emergenti, ci saranno ancora più azionisti disposti a comprare le azioni di Electrolux.
Se poi, da un’analisi accurata, ci si accorge che la promessa è solo tale, visto che il mercato italiano da solo vale di più della somma di quello russo e cinese, poco importa: ciò che conta è la promessa e la dimostrazione di essere pronti a tutto pur di far crescere il valore dell’azienda.
Ma come ha realizzato questo miracolo?
Ce lo raccontano loro stessi: dal 2004 a metà del 2012 la produzione presso aree a basso costo (low cost areas) è passata dal 28% al 65%, riducendo sia il numero di fabbriche (di 10 unità), sia il personale (di almeno 3000 unità). Insomma, contrazione dei costi in ogni modo, con un risultato incredibile: l’utile per azione (l’anticamera del dividendo) sale dal 2008 al 2012 del 540%; il valore delle azioni, nello stesso periodo, sale dell’87%.
Per analogia, per quanto forzata, è come se un lavorato vedesse crescere il suo salario dell’87% in 4 anni (tipo, da 1000€ a 1870€) e i premi aziendali del 540% (da 1000€ a 5400€).
Capito il gioco? Se vi è chiaro, ripensate ora alla vertenza Electrolux. Per garantire i parametri riguardanti il profitto, che portano all’aumento del valore delle azioni, l’azienda decide di ridurre i costi, liquidando uno stabilimento come quello di Porcia. A parità di RICAVI, per garantire maggiori Profitti riduco i COSTI. Tutto qui.
Due sono le considerazioni da farsi in questa storia.
Prima: perché gli azionisti sono più tutelati dei lavoratori? Perché, per esempio, è giusto che lo Swedbank Robur Fund della Swedbank (una fra le prime banche svedesi), proprietario del 4.3% delle azioni del gruppo, veda il valore della sua partecipazione in Electrolux crescere del 51% in Euro (l’87% in corone svedesi) in 4 anni a costo di licenziare diverse migliaia di persone a causa di stabilimenti “poco competitivi”? Nello stesso periodo l’Electrolux, proprietaria del 7.4% del capitale, ha guadagnato in questo modo € 234 mln.
Se un’azienda macina utili creando valore per gli azionisti, perché si suppone che sia moralmente giusto licenziare un numero rilevante di dipendenti?
Perché l’azionista, in un mondo sempre più diseguale, in un mondo in cui gli azionisti potrebbero diventare sempre meno e forse sempre più ricchi, ha maggior potere negoziale del lavoratore o di altri stakeholders? E se per una volta la soluzione fosse mettere tutti sullo stesso piano, azionisti, lavoratori, indotto (e poi, ambiente, salute, tasse, ecc…)? A quanti proventi dovrebbero rinunciare gli azionisti per tenere Porcia? Sono dati che l’azienda, le parti coinvolte e la stampa possono rendere pubblici a beneficio della discussione e della negoziazione, o sono segreti cui può accedere solo chi ha i mezzi per acquistare grassi pacchetti azionari?
Che cosa accadrebbe all’immagine di un’azienda, e quindi alle sue vendite, se fosse reso esplicito, evidente, che i tagli al personale in un momento di crisi generale non sono l’extrema ratio per salvare l’azienda, ma una prassi per garantire elevati margini di profitto a pochi fortunati?
Secondo, se il gioco non può essere cambiato e siamo costretti alla dittatura dell’azionista, perché non si usano i fondi pubblici per acquisire azioni Electrolux, come fa il Governo Norvegese o Svedese? Se la Regione FVG investisse € 80 milioni in azioni dell’azienda (circa l’1.2% del capitale), con un rendimento del 51% in 4 anni avremo un capitale finale di circa 120 milioni. Restituendo il finanziamento ai contribuenti (80mln) e dividendo in parti uguali la rendita per i 1200 dipendenti di Porcia, avremo un sussidio di 34.000€ a testa pagato dall’Electrolux non dallo Stato. Altro che Cassa Integrazione!
Lo ripeto, cambiamo il punto di vista: è l’unica azione che può davvero salvarci.