Le circostanze in cui si è venuta a trovare l’azienda svedese erano tutt’altro che imprevedibili e men che meno inevitabili (e non solo col senno di poi). Ma è noto fin dai tempi di Laoconte o del mito di Cassandra che le previsioni negative più che come utili avvertimenti da tenere in considerazione vengono di norma accolte come profezie di sventura da esorcizzare.
In un mondo in cui i libri si “smaterializzano” in ebook e le idee si materializzano in prodotti finiti grazie alle stampanti 3D, saltando a piè pari catene di montaggio e canali di distribuzione, la Electrolux produce in maniera tradizionale prodotti naturi che per giunta sono anche beni durevoli. Se infatti è possibile rivoluzionare una scarpa come ha fatto Geox o innovare costantemente un panino come fa Macdonald, c’è ben poco di innovativo che si può fare per convincere i consumatori a non differire una decisione di acquisto che al momento non percepiscono come prioritaria.
Si tratta dunque del destino cinico e baro contro il quale nulla era o è possibile? Tutt’altro la chiave di lettura è semplicemente l’evoluzione e l’adattamento. Quando è nata la IBM produceva macchine per far di conto grandi come un edificio, in seguito ha prodotto piccoli computer che ognuno poteva tenersi in casa e oggi deve gran parte del suo fatturato all’attività di consulenza. La stessa Apple ha iniziato producendo computer, ma deve il successo della sua rinascita a lettori mp3, successivamente telefoni, tablet e oggi è tra i principali distributori via web di applicazioni, musica e video. Insomma, in natura prima e in affari poi, l’ambiente si modifica e sopravvive solo chi è in grado di adattarsi al cambiamento. E’ questa la bottom line che emerge da un recente speciale dell’ Economist dedicato proprio alla storica relazione tra innovazione e distruzione/creazione di posti di lavoro, un processo che nel medio termine ha sempre avuto un saldo positivo, ma che con riferimento alle più recenti “ondate” di innovazione tecnologica, potrebbe ingenerare tensioni in merito a come gestire i posti di lavoro persi nel breve.
Che dire di Electrolux, ma soprattutto dell’Italia e degli Italiani? Che oggi ci si può trovare di fronte alla scelta scomoda tra tirare la cinghia sopravvivendo come meglio si può oppure fare le valige per partire verso lidi più accoglienti, ma il problema di fondo non è rinviabile: per andare avanti occorre essere capaci di reagire ai mutamenti dell’ambiente circostante e questi mutamenti, oggi, avvengono con un rapidità senza precedenti nella storia a tutti i livelli.
La vicenda Electrolux dovrebbe destare preoccupazione, oggi è, forse, ancora possibile rinviare il problema, spremendo da un lato i lavoratori, ricombinando dall’altro la produzione e quasi certamente con un intervento dello stato, lo stesso attore che, gravando con un cuneo fiscale fuori scale è una delle determinanti principali del problema. Ma si tratta, appunto, di un rinvio non è pensabile che in futuro si possano vendere lavatrici come si vendono cellulari e che si riesca a fare utili producendo su larga scala in paesi con un sistema fiscale assimilabile al nostro. Come non è pensabile che sia sostenibile nel medio termine un apparato statale che estrae così tanto da chi è produttivo e vitale per fornire servizi assolutamente inadeguati e sussidiare chi distrugge valore invece di crearlo.
Il problema che doveva essere al punto 1 dell’agenda di tutta la classe politica e dirigente del paese, non oggi, ma da almeno 10 o 20 anni risiede in una serie di misure e riforme necessarie per far fronte ai mutamenti demografici, tecnologici, sociali che caratterizzano lo scenario globale. Invece, come ben scrive Marco Alfieri in questo editoriale, la classe politica e dirigente del paese sembra in questi giorni focalizzata esclusivamente sulla legge elettorale, il che non dovrebbe sorprendere dal momento che sono in ballo le regole del gioco con cui si deciderà quanto potere andrà e a chi e, dunque, la quintessenza del “particulare” per chi è convinto ragionevolmente di poter vincere le elezioni in futuro. Senza mutamenti strutturali e radicali è tuttavia possibile che gli aspiranti al trono si possano trovare, un domani, a regnare su una landa desolata.