Sogni di meritoElectrolux vuole delocalizzare e Fiat si sposta legalmente a Londra? Per fortuna! Svegliamoci

In questi giorni si parla molto, in mezzo al maremoto perpetuo delle aziende che chiudono o delocalizzano, dei casi big della ormai ex italiana Fiat e della svedese Electrolux. La Fiat qualche anno...

In questi giorni si parla molto, in mezzo al maremoto perpetuo delle aziende che chiudono o delocalizzano, dei casi big della ormai ex italiana Fiat e della svedese Electrolux.

La Fiat qualche anno fa ha rinunciato ai giochi perversi antimercato italiani: ha rinunciato ai sussidi ed è uscita da Confindustria.

Ha poi scalato la Chrysler fino a possederla sempre più e a controllarla. Ad oggi il gruppo è uno dei più grandi al mondo nel mercato dell’auto (e in generale nel mondo delle multinazionali). E così come ormai nessuno investe in Italia (a cominciare dagli stessi italiani), perché mai questa nuova potenza dovrebbe castrarsi nello stato tra i peggiori del mondo avanzato?

Ed infatti la Fiat si salva e, giustamente, cambia con buone probabilità sede legale andando in UK (e con intenzioni di quotarsi sulla borsa inglese).

I motivi sono ovvi, quale multinazionale starebbe mai in una nazione in via di inesorabile declino, con indecente tassazione a fronte di zero o sottozero servizi, indecente costo del lavoro e dell’energia, tempi burocratici da fare imprecare Matusalemme, corruzione come regola, controlli fiscali nazisti e sindacati convinti di essere negli anni ’70 al lato destro del muro? Nessuno infatti. O forse al massimo gli amici degli amici, i cosiddetti rent seekers.

(In più é anche piuttosto probabile che Landini non sappia l’inglese e non prenda l’aereo). 

Demonizzare la Fiat? No, risolvere i problemi scritti sopra e portare l’Italia ad essere attraente non solo per lei, ma anche per Audi, Peugeot, volvo, Rover, ecc.

Il caso Electrolux è un poco diverso: è una grossa impresa straniera che vuole chiudere lo stabilimento italiano per via del costo del lavoro assai troppo elevato (le buste paga a monte, quindi al lordo di tassazione e derivati, sono tra la più elevate al mondo. Mentre al netto sono tra le più basse dei paesi OCSE. E ai dipendenti arrivano ovviamente in tasca le seconde).

Electrolux ha proposto di abbassare gli stipendi e far lavorare di più, altrimenti si sposterebbe in Ungheria. E qui sembra cattiva. Ma invece l’azienda è stata costretta a proporre ciò, visto che è da anni che tutte le imprese urlano disperate allo stato di ridurre il cuneo fiscale abnorme sul costo del lavoro (tassazione che, a livello logico, non dovrebbe nemmeno esistere).

Unito al fatto che la produttività italiana è ferma da 20 anni ed è bassissima rispetto ai partner che dovrebbero essere sul nostro stesso livello (guardate dati produttività Germania, Svizzera o USA…) è chiaro che alle condizioni attuali, per un’azienda come Electrolux, tenere aperto qui non solo non è conveniente, ma è un incubo.

E ripeto: non è uno sfruttare i cinesi da venti centesimi all’ora: tutto dipende da costo e produttività, e quindi competitività: infatti, mentre è conveniente rispetto a noi investire anche nei paesi dove si guadagna una volta e mezzo, il doppio o ancor di più che in Italia (quindi ovviamente né Cina né, nella fattispecie Electrolux, l’Ungheria), ma in cui la produttivitá é ancora piú alta e quindi più che compensa il costo del lavoro.

Questo trend negativo del rapporto tra costo del lavoro e produttività italiana non solo è peggiore di tutti i nostri “compagni di classe”, ma è in ulteriorie futuro peggioramento e non esistono ad oggi programmi o intenzioni politiche volte a cambiarlo.

Ergo, il problema non sono Fiat ed Electrolux spietate, ma uno stato sordo, cieco e arrogante (e ribadiamolo anche oggi: ladro) che ruba ai dipendenti il 50% del loro stipendio, rallenta le imprese con inutili burocrazie (magari esistenti solo per dar lavoro ai 26000 dipendenti pubblici che il buon governatore siciliano Crocetta non vuole licenziare, 26000 voti in meno, infatti, sono molti) e numerosissime leggi poco chiare, facendo perdere produttività, già bassa come scritto prima per i costi dell’energia più elevati che all’estero, nonché della benzina e delle autostrade, nonché avendo una penosa rete ferroviaria.

Se ci sono da fare scioperi, essi sono contro lo stato, richiedendo maggiori semplificazioni burocratiche e minori tasse sul lavoro (e minori tasse in generale) da compensare con enormi tagli agli sprechi e riallocazione della spesa esclusivamente nei settori più produttivi.

Ma bisogna essere in molti ed urlare forte perché non ci sentono e a Roma i problemi sembrano altri: infatti ieri il ministro Zanonato ha risposto ad una mia amica su twitter digitando dal suo iPad (pagato probabilmente con la mia IVA al 22%) chel’IRAP non si può assolutamente tagliare, poiché bisogna finanziare la sanità con quel gettito.

Credo allora sia urgentissimo avvisare immediatamente tutte le nazioni, come Canada, Svizzera, Australia e Nuova Zelanda, che finanziano la sanità senza IRAP e devono smetterla di avere la sanità. O se proprio proprio la vogliono è meglio che introducano l’IRAP e tassino il lavoro per almeno il 48%.

twitter @gioviravetta

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