Giovine Europa nowGli USA e le rivalita’ globali nell’era della finanziarizzazione

Oggi torna Andrea Lagna  (vedi biografia a fine articolo), che dopo i bitcoins ci parla di potere USA nell'era della finanziarizzazione. Grazie Andrea, amico, ricercatore e...appassionato di finanz...

Oggi torna Andrea Lagna  (vedi biografia a fine articolo), che dopo i bitcoins ci parla di potere USA nell’era della finanziarizzazione. Grazie Andrea, amico, ricercatore e…appassionato di finanza!

L’egemonia americana nell’era della finanziarizzazione

Secondo uno studio condotto dalla Commissione Europea, la crisi finanziaria del 2007 ha solo scalfito la crescita economica degli Stati Uniti. Infatti, il reddito pro-capite medio americano ritornerà ai livelli pre-crisi durante il periodo 2014-2023. Quali sono le ragioni del successo americano? In altre parole, perché gli Stati Uniti sono sempre dati per morti e poi sono sempre risorgenti? Proverò a rispondere a questa domanda allontanandomi da formule macroeconomiche, per esplorare invece la costruzione dell’egemonia politico-economica, finanziaria e socio-culturale degli Stati Uniti nell’ordine globale. In linea con il recente lavoro di Leo Panitch e Sam Gindin dal titolo The Making of Global Capitalism, la tesi centrale è che il potere statunitense si riproduce tramite le dinamiche della cosiddetta finanziarizzazione, cioè l’espansione della finanza in ogni ambito delle relazioni umane.

Internazionalizzazione della finanza americana, 1945-1970

Tra il 1945 e il 1970, gli Stati Uniti costruirono connessioni egemoniche con altre nazioni capitaliste nei settori commerciali, produttivi, della sicurezza e della conoscenza. Allo stesso tempo avveniva qualcosa di meno noto: le banche americane – le quali primeggiavano nell’innovazione finanziaria orientata al mercato fin dagli inizi del ventesimo secolo – seguivano di pari passo quest’espansione. Nel fare ciò, la finanza americana consolidava l’uso globale del dollaro e costruiva le basi affinché l’amministrazione Nixon potesse liberarsi delle restrizioni imposte dal sistema monetario di Bretton Woods (vedi Triffin dilemma), giungendo infine a interrompere la parità dollaro-oro. Come dimostra Michael Hudson nel suo classico lavoro Super Imperialism, questo fu possibile perché Nixon spinse europei e giapponesi verso un bivio: o accettavano i dollari e investivano in buoni del Tesoro americani, oppure avrebbero potuto vendere i dollari che avevano in riserva. In questo caso, il calo di valore del dollaro avrebbe comunque aiutato le esportazioni americane. Europei e giapponesi accettarono la prima scelta poiché la finanza americana – insieme al suo satellite londinese – era talmente innovativa da essere in grado di assorbire fondi stranieri denominati in dollari garantendo un buon ritorno d’investimento.

Difficoltà e incertezze nella costruzione dell’egemonia finanziaria americana, 1970-1979

A questo punto iniziò a formarsi quello che Peter Gowan definì come Dollar-Wall Street Regime, un fenomeno che funziona in due direzioni. Da un lato, la centralità del dollaro rinforza i mercati finanziari americani perché la maggior parte dei paesi vuole mantenere le loro riserve in dollari, piazzandole nel sistema finanziario americano (o londinese). Dall’altro lato, l’importanza della finanza americana consolida l’egemonia del dollaro poiché essa presenta le risorse migliori in termini di liquidità, diversificazione, innovazione e competitività.   

Durante gli anni ’70, le amministrazioni Nixon, Ford e Carter lasciarono crescere la finanza americana in termini di valore e ingegneria finanziaria –vedi per esempio il continuo sviluppo delle tecniche di cartolarizzazione, la teoria delle opzioni e il lancio dei derivati finanziari sui mercati ufficiali. Sfortunatamente, come spiegato da Martijn Konings in The Development of American Finance, questa costruzione del potere finanziario americano avveniva in modo contraddittorio. Mentre la finanza cresceva, quest’ultima era però bloccata dalla recessione economica, la militanza operaia e la politica monetaria espansiva. A causa di questi problemi le autorità americane erano incapaci di contenere l’inflazione a due cifre, il declino del dollaro e la fuga di capitali. In breve, lo scenario politico-economico interno non forniva le basi affinché i mercati finanziari americani potessero assorbire a pieno i flussi di credito mondiali, consolidando in modo strutturale l’egemonia americana attraverso il predominio finanziario mondiale.

Il consolidamento del potere finanziario americano, 1980 a oggi

Paul Volcker divenne Chairman della FED nell’agosto 1979 e – grazie all’uso temporaneo delle teorie monetaristiche – spinse i tassi d’interesse verso livelli altissimi. Questa manovra pose fine alla politica monetaria espansiva, annientando indirettamente la lotta operaia e rinstaurando i profitti delle imprese statunitensi. In breve, il cosiddetto Volcker shock terminò le suddette contraddizioni – inflazione, declino del dollaro e fuga di capitali – che avevano afflitto l’economia americana nel decennio precedente. Come spiega Leo Panitch, a questo punto le dinamiche politico-economiche e socio-culturali a livello domestico erano finalmente in grado di far degli Stati Uniti – grazie agli asset denominati in dollari oltre, ai suoi mercati, attori e tecnologie finanziarie, oltre che all’amministrazione Reagan e il suo assalto sulle unioni sindacali – il santuario dei capitali mondiali. Tale mutamento nelle istituzioni domestiche comportò la finanziarizzazione del capitalismo statunitense.

A questo proposito, per semplificare, è necessario osservare due aspetti riguardanti sia la produzione sia il consumo. Primo, come dimostrato da Greta Krippner in The Financialization of the American Economy, gli alti tassi d’interesse spinsero le grandi imprese americane ­– afflitte da una crisi di sovrapproduzione – verso l’investimento finanziario anziché produttivo. Questo processo riorientò le tecniche manageriali, il grado di specializzazione e le relazioni industriali secondo il principio dello shareholder value (sull’argomento vedi William Lazonick e Mary O’Sullivan, Maximizing Shareholder Value: a New Ideology for Corporate Governance). Iniziarono gli anni dello smantellamento delle grandi aziende grazie soprattutto ai leveraged buyouts dei corporate raiders finanziati tramite junk bonds. Secondo, gran parte della forza lavoro americana fu licenziata durante le grandi ristrutturazioni industriali. In questo modo, mentre le famiglie a reddito medio-alto aumentarono la propria ricchezza investendo in varie bolle speculative, la maggior parte della popolazione iniziò invece a indebitarsi sempre di più per mantenere i propri consumi – come analizzato da Louis Hyman in Debtor NationThe History of America in Red Ink.

Insomma, la finanza penetrò sia il mondo imprenditoriale sia la quotidianità delle famiglie e dei lavoratori statunitensi. Dal 1980 in poi, questo fenomeno ha raggiunto in modo eterogeneo altre economie occidentali, funzionando come modello di riferimento per questi paesi. Per esempio, nel caso italiano, le forze politiche di centro-sinistra insieme ai tecnocrati del Tesoro e Banca d’Italia utilizzarono l’ideologia dello shareholder value durante gli anni ’90. Lo fecero nel tentativo di trasformare gli assetti proprietari del capitalismo italiano – i quali erano da sempre concentrati nelle mani dello stato e di poche famiglie (sul tema vedi Richard Deeg, Remaking Italian Capitalism? The Politics of Corporate Governance Reform).

Conclusioni

Il dominio del dollaro e della finanza americana costituiscono la base dell’egemonia statunitense nell’ordine mondiale. Tale situazione fa degli Stati Uniti un’area ad alti livelli di finanziarizzazione, un processo che gran parte dei paesi occidentali emula in modi differenti e per ragioni specifiche ai vari contesti.

La crisi del 2007 non ha interrotto questi fenomeni. Al contrario numerosi studi – vedi per esempio Martijn Konings, Rethinking Neoliberalism and the Subprime Crisis: Beyond the Re-regulation Agenda oppure Oliver Kessler e Benjamin Wilhelm, Financialization and the Three Utopias of Shadow Banking – suggeriscono che le attuali riforme mirano a rinforzare ancora di più il potere strutturale americano e la finanziarizzazione della vita umana.

Andrea (PhD Sussex) è amico e ricercatore associato presso Universität Erfurt. Si occupa di politica economica, finanziarizzazione e l’uso politico degli strumenti derivati.

Twitter: @a_lagna   w: https://sussex.academia.edu/AndreaLagna

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