Non bisogna necessariamente essere giornalisti per amare i quotidiani. Ci sono i lettori, certo, ma ci sono anche tutti coloro che lavorano nel settore, dai poligrafici ai macchinisti, che contribu...
Non bisogna necessariamente essere giornalisti per amare i quotidiani. Ci sono i lettori, certo, ma ci sono anche tutti coloro che lavorano nel settore, dai poligrafici ai macchinisti, che contribuiscono, giorno dopo giorno, a rendere possibile la realizzazione, la stampa, nonché l’arrivo nelle edicole dei giornali quotidiani. Uno degli appartenenti a questo “esercito silenzioso” di tecnici e lavoratori che partecipano alla produzione dei quotidiani si chiamava Leon Rudek, americano originario della Polonia, o meglio polacco trasferitosi negli Stati Uniti. Il quale amava così tanto il proprio mestiere, e amava così tanto i quotidiani, da giungere a costruire una muraglia di prime pagine, di fronte a casa sua.
Il “muro di prime pagine” creato da Leon Rudek a Los Angeles
(foto dal Los Angeles Times; Gary Friedman, Los Angeles Times / November 18, 2013)
L’appassionante storia di Rudek è stata raccontata, nel corso delle feste natalizie, dal giornalista Bob Pool, sulle pagine di cronaca locale del Los Angeles Times, una delle più antiche, autorevoli e vendute testate d’America, nonché giornale datore di lavoro del “nostro” Leon, macchinista per ben 27 anni. Nella sua trentennale attività, Rudek, al termine di ogni giornata lavorativa, tornava a casa munito di alcune delle più interessanti “prime” del Times californiano e, attraverso il sistema delle lastre di plastica (parte di un processo ormai in disuso), le trasformava in blocchi di cemento, così da dare vita, nel tempo, a un originale muro di “front pages”, nei pressi della sua abitazione – ora abitata da nuovi proprietari – situata in La Prada Street, Highland Park, quartiere storico del nord est losangelino.
Un tributo al giornalismo di qualità. Una consacrazione di alcune delle notizie più memorabili del secolo scorso. Una testimonianza che si può tuttora ammirare, passando da quelle parti. Questa l’opera di Rudek, ritiratosi in pensione nel 1991 e deceduto undici anni dopo, il quale selezionava solo “i lanci più importanti”, come ha spiegato Marta, di lui vedova. Una muraglia di notizie epocali, dall’attentato a Papa Giovanni Paolo II all’invasione delle Falkland, passando per gli Yankees che sconfiggono i Dodgers e le dimissioni del Presidente Nixon. Tutto, rigorosamente, a caratteri cubitali, oltre che in calcestruzzo. “È quasi una cronologia della mia vita”, ha aggiunto John, suo figlio, nato nel 1966. Una cronologia di oltre trent’anni di lanci.
Il muro di prime pagine, oggi trasformatosi in una sorta di attrazione turistica cittadina, raccontato dall’articolo di Pool, ha contribuito a porre l’attenzione sulla avvincente storia di Rudek, degna di un film hollywoodiano. Nato in Polonia e fuggito al Nazismo e, dopo molte peripezie, giunto sulle soleggiate coste della California, Leon aveva solo tredici anni quando le truppe di Hitler invasero la sua terra d’origine: le SS lo catturarono, e lo portarono a lavorare forzatamente in una fattoria. “Lo trattavano come uno schiavo”, racconta Robert Rudek, suo figlio, chirurgo di Riverside. Ma lui riuscì a fuggire, uscendo anche dai confini, giungendo in Inghilterra, dove incontrò alcuni connazionali che, assieme a lui, formarono una piccola resistenza polacca. Nonostante la giovane età, a 16 anni si trovava nel Nord Africa, quindi in Italia, per combattere. Una volta terminata la guerra, non voleva tornare in Polonia. “Era spaventato dai Comunisti”, spiega l’erede. Così, nel 1948 partì per attraversare l’oceano e andare in Argentina, luogo dove conobbe un’altra immigrata polacca, che successivamente divenne sua moglie. Solo nel 1962 fece i bagagli con destinazione Stati Uniti, grazie all’intervento di un architetto, Richard J. Neutra, che gli diede lavoro e che firmò una lettera di raccomandazione per il Los Angeles Times.
Da qui, la nascita di un grande amore. Una incredibile dedizione per il suo mestiere. Una passione per il quotidiano che contribuiva a realizzare. E un forte sentimento per le sue notizie, per le sue prime pagine. Piccoli pezzi di storia quotidiana che Rudek desiderava tenere con sé, una volta terminati gli orari d’ufficio, portare a casa, e trasferirli nel cemento, in una sorta di emeroteca a cielo aperto. Un vero monumento, per gli addetti ai lavori. Ma anche un tributo al Times, alle notizie, al giornalismo. E a tutti i Leon Rudek che, giorno dopo giorno, contribuiscono a dare vita a quel piccolo grande miracolo che, da decenni, si ripete, ogni ventiquattro ore, in tutto il mondo.