Eppure lo dovrebbero ricordare bene. Per il semplice fatto che l’hanno inventato prima e sperimentato dopo loro. Quei Democratici di Sinistra, che rappresenteranno solo in seguito l’anima motrice del Partito Democatrico, proprio loro che nel 2004, in Toscana, misero appunto una legge elettorale che cancellava il precedente sistema incardinato sulle preferenze.Una storia lontana, quella della legge regionale toscana, la numero 25 del 13 Maggio 2004, ma che testimonia come il meccanismo di scelta diretta affidato alle preferenze non appartenga alla storia politica della componente diessina del Pd, allevata da sempre nel sacrale rispetto dell’Apparato.
Ed ora che la polemica interna al Pd infuria proprio sull’opportunità di inserire le preferenze nell’accordo blindato da Renzi, è giusto fare chiarezza sulla legge che ispirò, solo un anno dopo, il leghista Calderoli.
«Anche da noi c’è una legge porcata e va cambiata. Il nostro non è un Porcellum. E’ un Cinghialum», ricordava recentemente Matteo Renzi, sindaco di Firenze e Segretario del Pd». Una legge proporzionale a liste bloccate, senza preferenze e con un grosso premio di maggioranza segnano la completa sovrapponibilità tra il sistema toscano e quello con cui dal 2005 sono stati affrontati per 3 turni di elezioni politiche.
Peccato che la votarono tutti. Proprio tutti. Compresi quelli che, a Firenze, da anni dichiarano stentorei di essere pronti a cambiarla immediatamente e a Roma, prima e dopo Renzi, gridano al complotto contro la libera volontà democratica.
L’unico di quella giunta, guidata da Claudio Martini, ds e oggi senatore Pd, ad opporsi pubblicamente alla volontà della maggioranza fu Tommaso Franci, ecologista dei Verdi e Assessore all’Ambiente. Ma l’accordo c’era e metteva d’accordo tutti, trasversalmente. Leggenda vuole che Agostino Fragrai, segretario regionale dei Ds, incontrasse in gran segreto, Denis Verdini, capo indiscusso di Forza Italia in Regione, e Maurizio Bianconi di Alleanza Nazionale. In poche parole, un patto così era insuperabile. Congegnarono il meccanismo più semplice: un piano che prevedeva l’allargamento dell’assemblea regionale da 50 a 65 membri e l’incompatibilità della carica di assessore con quella di consigliere, rendendo disponibili altri 14 posti. In pratica si passò da 50 a 79 cariche (più 60%), aumentando di conseguenza i costi del Consiglio Regionale e della Giunta.
L’antipolitica sarebbe arrivata qualche anno dopo a infuriare gli animi degli italiani e a far mutare di conseguenza le opinioni e posizioni delle anime belle degli ex diessini che, ora preferenzialisti targati Pd, di nulla si accorsero di quello che in questi anni è accaduto in Toscana. Per mano loro.