E così dopo il Porcellum arrivò l’Italicum.
La nuova legge elettorale voluta da Renzi con la sponda di Berlusconi e l’occhiolino alla Lega e a NCD ha visto la luce in tempi decisamente rapidi. A detta di molti suoi sostenitori è questo il suo pregio più grande: rappresenta una scossa al sistema, la capacità di aver chiuso in così breve tempo sulla riforma di questa legge dopo che per anni se n’era parlato senza fare davvero niente.
Giusto. Vero. Epperò, fissati premi di maggioranza e soglie di sbarramento (tra cui spicca un antiestetico 4,5 %), modificata la suddivisione dei collegi, le liste restano bloccate, così come resta confermata la possibilità di candidature multiple.
E quindi? Serviva una legge elettorale che fosse “nuova” e del resto chissenefrega, o una legge che migliorasse tutti i limiti della precedente? Dalle motivazioni di molti sembra prevalere decisamente la prima ipotesi. Tant’è.
Il tema è delicato, una legge elettorale è frutto di processi e interessi complicati e diversi, soltanto la reale applicazione ce ne svelerà fino in fondo pregi e difetti.
Però c’è un grande assente da questa riforma e sono le preferenze.
Le preferenze sono il terreno fertile per i baroni della politica, là dove attecchisce il voto di scambio, l’infiltrazione mafiosa, il controllo del voto. Il male assoluto, in sintesi, secondo i più accaniti sostenitori dell’italicum. E allora teniamoci le liste bloccate, composte nelle segreterie di partito dove sono stati creati quei giganti della politica che hanno calcato il parlamento in questi anni, dove si entrava bussando coi piedi e si usciva con un posto eleggibile in lista.
Dire no alle preferenze però è ammettere la pochezza morale della classe politica. C’è un elettore che vende il proprio voto perché c’è un politico disposto a comprarlo. E ancora di più, perché non c’è un politico in grado di motivarlo ad andare a votare senza chiedere niente in cambio, se non la promessa di impegnarsi per un Paese migliore. Il problema non è (solo) l’elettorato. Troppo facile metterla così.
E poi, se è vero questo principio, commissariamo subito comuni e regioni. Il voto sarà stato sicuramente viziato dalle preferenze, no?
Del dibattito seguito all’accordo sull’italicum però, il vero capolavoro comunicativo è stato il tentativo di bilanciare le liste bloccate con la promessa delle primarie per scegliere i candidati. Primarie panacea per ogni tipo di male elettorale, è il nuovo mantra della politica italiana, soprattutto piddina.
Però qui mi sfugge una cosa: il voto di preferenza è altamente inquinabile e quindi da evitare. Il voto alle primarie non lo è? Un voto riconosciuto dalla Costituzione non è sicuro, e quello gestito dai partiti, cioè un atto privato, si?
A me sembra un’affermazione gravissima. Non per le primarie in sé, sia chiaro, ma per il principio subdolo che insinua, e per il fatto che nel dibattito sulla legge in pochi l’abbiano sottolineato.
Le primarie, quello strumento nobile e bellissimo che nel lontano 2006 era servito a sancire la ricca e scontatissima vittoria di Prodi, come quella di Veltroni e poi di Bersani per finire con quella di Renzi, si proprio lui, l’unico ad aver partecipato come sconfitto sicuro ma non come comprimario, a differenza di tutti gli altri prima di lui.
Quelle stesse primarie che più di una volta sono finite nel nulla, annullate, adombrate da polemiche e sospetti, per non parlare di quelle finite sotto l’occhio della magistratura (alcune per falso in atto privato, per capirci).
O vogliamo parlare delle Parlamentarie? Organizzate a Capodanno, tu andavi a votare, poi il partito decideva i posti in lista, riservando al suo giudizio indiscutibile delle “fasce di garanzia”.
Siamo seri. Dire le preferenze no, le primarie si, è una fesseria.
Le primarie potrebbero anche essere rese obbligatorie per legge, è vero. Ma cosa cambierebbe? Perché il voto resta inquinabile e le primarie no?
La verità è che su questo punto bisognava davvero cambiare verso, anche fuori da Twitter. Anche perché mentre il Paese boccheggia, il sistema politico resta a parlarsi addosso, quando non è impegnato a menarsi, su uno 0,5% in più o in meno, se salvare la Lega o NCD.
Forse aveva un senso dare un segnale di apertura, di vero cambiamento. Invece no, “decidiamo ancora noi” dicono i partiti. Quelli in cui ha fiducia appena (appena!) il 4% degli italiani.
Ci voleva “tanto, troppo coraggio”, per dirla con De Andrè. Il coraggio di introdurre le preferenze. O quello di prendersi i la piena responsabilità di volere le liste bloccate.
Come al solito, si è scelta una via di mezzo, per non dire al ribasso. No alle preferenze, si alle liste bloccate ma con le primarie.
Dopo tutto si sa. Del porcellum non si butta via niente.