Alcuni giornali inglesi hanno pubblicato allarmati la notizia che una nave russa, la Lyubov Orlova, abbandonata vari anni fa dopo un’avaria in pieno Atlantico, si stia avvicinando alle coste inglesi, con il suo carico di topi cannibali. Si, avete letto bene, topi cannibali, il risultato del fatto che, per sopravvivere, i suddetti topi siano costretti a mangiarsi da soli, essendo l’unica risorsa di cibo della nave. Leggenda metropolitana o no, sicuramente l’idea di un vascello fantasma in qualche maniera stuzzica quella parte della nostra fantasia che, ancora, in certe notti di luna piena, crede alle fate, al mistero. In un mondo che piu’ connesso e controllato, non si puo’. Fuggiamo, scappiamo, ma, alla fine, ritorniamo a quella cattiveria antropologica che associamo agli alieni dei film, ai topi della Orlova, perche’ pensiamo sia ragionevole, in fondo, cannibalizzare il proprio simile, l’altro, in caso di fame e di necessita’. Homo Homini Lupus. Come se esistesse una sola forma di cattiveria, che e’ quella umana, della vendetta, del morso sulla chiappa. Invece, forse, la vera cattiveria, una volta abbandonati a mare, potrebbe essere quella di gettarsi, di nuotare fino a quando l’acqua atlantica comincia a farci intorpidire i muscoli, i sensi, per affogare nel blu ottico dell’Oceano. La cattiveria dell’assenza, una forma di perfidia ben affinata da vari esseri soprannaturali, che siano sirene o angeli, non svelandoci cosa giace dietro questa apparenza di vita.
Le leggende metropolitane aiutano, perche’ ci fanno uscire dalla trappola dell’umanita’, da quella sensazione che tutto sia svelato e ci fanno sentire leggermente diversi, padroni di un pezzo di puzzle del mistero, dell’ignoto. Che siano storie di coccodrilli albini, di scie chimiche al sapore di fragola o di fuochi fatui, i quali andavano forte nel XIX secolo fra visionari e veggenti londinesi. Quello in cui credi, definisce te stesso. Quello a cui ti affidi definisce la capacita’ del singolo di avere una razionalita’ piu’ o meno espansa, fluida, adatta ai tempi moderni, brillianti e difficili che viviamo e che dovremo vivere. In questo, l’etica del topo cannibale, del potere assassino, della cospirazione segreta, non dovrebbe appartenere al dogma politico, perche’, se credi in qualcosa e definisci gli altri secondo certe regole, che, appunto, qualcuno ti nasconda sempre qualcosa, da un chip nella cucuzza, a cospirazioni finanziarie, allora e’ perche’ in fondo tu definisci te stesso secondo gli stessi parametri. Sei contro le congiure, perche’ in fondo ne sei geloso, ne vorresti comprendere i meccanismi per ripeterli, per riusare le stesse tecniche. Sono strategie adattative, di guerra, della maniera con la quale nacque la guerriglia, nacque il terrorismo, perche’ lo scontro frontale non funzionava, ed allora bisognava disseminare paura e panico in altre maniere, piu’ subdole. Mettendo nella testa delle persone l’incertezza, il dubbio, fino a compromettere sempre di piu’ la rispettabilita’ dei credi altrui, delle istituzioni, delle persone che tutti considerano per bene. E la cattiveria antropologica diventa il pettegolezzo, la maldicenza, quel modo di definire l’altro come appartenente ad un’altra genetica, quasi.
Sul Transatlantico Italia, che e’ il Parlamento in questi giorni, queste dinamiche si vedono drammaticamente all’opera. Come la nave abbandonata in mezzo al mare, ma con ventimila telecamere attorno, con il circo mediatico che funziona come un oceano enorme fra gli attori del teatrino del Liceo Montecitorio e la realta’, quella realta’ del paese dove, forse, molte persone stanno male, sono ancora esposte ad una crisi economica senza precedenti, ma dove il livello di speranza ed entusiasmo, di voglia di fare e’ molto piu’ elevato di quello che i vari attori del teatrino vogliono credere essi stessi. I topi si stanno scannando, inseguendo fra di loro, fra persone di indubbia competenza, e bravura (you know who you are…) molti, troppi, politicucci di professione, o diventati tali, per niente politici accidentali, ma passati dall’anonimato ad una notorieta’ assassina quasi quanto i denti aguzzi dei dibattiti e delle offese, delle labbrate a mano piena, delle piccole frustrazioni che diventano motivi di lotta politica.
Il problema di questa situazione e’ che non si capisce quale ne sia la determinazione eteronomica, per usare Kant, o quale sia il motivo dietro al comportamento, perche’ non puo’ essere interiore all’oggetto, che sia legge elettorale o rifinanziamento della Banca d’italia. Non e’ quella la radice o la direzione in cui questo smantellamento del rispetto istituzioni, viene attuato. E’ qualcosa di esterno, una pulsione devastante di destabilizzazione, fin dentro il codice genetico della nostra democrazia. Per sostituire il dibattito parlamentare con un click di computer e la liberta’ individuale con la decisione del popolo, poco conta che sia un popolo non esistente, non presente se non nella rete.
Se definisci un comportamento, il secondo dopo lo imiti, dice la mia piccola sociologia. Se stigmatizzi, evidenzi che qualcosa ti manca, che qualcosa non e’ al posto giusto nella tua scala valoriale. Succede sempre cosi’. E si svuotano le parole del loro contenuto per usarle come scudi, che sia la democrazia, la crisi, la fame, la finanza, la sessualita’ altrui. Tutto diventa offesa e ragione di morso vampiresco. Perche’ in fondo non si vuole che la barca d’Italia arrivi mai in un porto, che arrivi mai al riparo di altre tempeste in arrivo. Si preferisce che tutto finisca a schifio, che la nave si inabissi. Se ci andra’ bene, magari troveremo il relitto della Orlova.
Oppure, rimettiamo le vele a questa nave, usiamo remi, braccia, per trovare la corrente giusta, per ritrovare una rotta di riforme e di cambiamenti strutturali non a quel senso di giustizia e di democrazia che nasce in un mondo aperto e libero, ma a tutto l’intorno del paese, dalle regole del lavoro, del credito, fino all’educazione di nuove generazioni. Non discendiamo dagli alieni, non siamo topi cannibali, non abbiamo microchip, ma abbiamo dentro un disperato bisogno di speranza. Che solo un cambiamento denso, profondo delle logiche antiche della politica vecchio stile e della politica della violenza mimetica grillina, potra’ offrirci. Perche’ l’atteggiamento consortile e ciclico, di un mondo senza riferimenti altri che se stesso, ma con un desiderio di nuovamente indefinito, appartiene anche all’ondata di populismo che si sta abbattendo sull’Europa. Invece, la politica nuova e’ quella che rompe gli indugi e rende il cerchio una linea, un tappeto semovente che si sposta e porta il paese, il continente, una societa’ dove non era prima e dove vorrebbe essere. Un posto migliore per tutti e non solo per alcune nuove piccole caste di illuminati.
Il paese non ha bisogno di cannibali, negromanti, stregoni, ne’ di troppe persone che si credono di poter interpretate i bisogni di tutti, persone cittadini ‘speciali’, perche’ il compito di cambiare le cose tocca tutti, e’ un ruolo che la politica vera eroga in uguale misura a tutti i cittadini. E chi ci rappresenta, non ci deve far sfigurare, non deve alienare quel DNA di democrazia che e’ nelle istituzioni del paese. A partire dal rispetto degli altri. La dignita’ della persona, anche di quella colpevole, viene prima di tutto, nel mio credo personale. La ragionevolezza, la competenza, la razionalita’ dell’azione e il sogno del futuro mi guidano molto di piu’ dell’approssimazione mediatica e del fanfaronismo ideologico. Non saro’ mai un topo cannibale, purtroppo. Navigatore, si.
Woodkid – The Boat Song