La libertà conduce alla noia, e la noia alla dittatura (Ennio Flaiano)
Poco prima delle dimissioni di Berlusconi nel 2011, l’intellettuale Pci per eccellenza, il professor Alberto Asor Rosa, evocò la necessità di un intervento dei carabinieri per sgomberare l’Aula di Montecitorio e instaurare un governo dei colonnelli che transitasse il Paese verso una nuova democrazia.
Oggi questo tema mi torna buono, e lo riprendo per i motivi per cui lo apprezzai all’epoca, cioè per la dirompenza del suo valore simbolico e provocatorio, dove la provocazione diventa un contributo al dibattito nel silenzio e nel piattume di una politica priva di idee e di una sinistra totalmente anestetizzata dal morbo del politicamente corretto.
In primo luogo per il tintinnare di sciabole che alcuni hanno sentito in dicembre, confuso nel chiasso indistinto di un fenomeno come quello dei forconi, che spiazza perché sfugge alle definizioni, perché toglie alla sinistra tradizionale e sindacale il primato sulla piazza, perché minaccia, per la prima volta da quando è esplosa la crisi, di bloccare il Paese non con i grandi numero di una manifestazione come, per esempio, quella della Cgil di Cofferati, ma con azioni locali e mirate al blocco effettivo del Paese nei suoi punti vitali, con azioni di sabotaggio e di intimidazione dal sapore squadrista. Sorvolando il modo estremamente prevedibile in cui il movimento dei forconi si è per ora sgonfiato, la domanda è lecita, se non doverosa: come può un movimento così confuso, così estraneo a qualunque formazione politica, storica e culturale, così lontano da qualunque tipo di struttura sindacale essere così minaccioso? A Torino il movimento ha bloccato la città per 3 giorni (trasporti pubblici e negozi chiusi): chi li ha lasciati agire così liberamente?
Dev’essere per forza eterodiretto; per i più catastrofici sono le prove generali di un colpo di stato, o almeno è l’intervento di forze estranee al circuito classico della contrattazione sindacale e dell’azione politica e ai soggetti storicamente deputati all’organizzazione della mobilitazione, forze che non disdegnano mezzi di stampo neosquadrista come l’aggressione, la minaccia, l’intimidazione, evocando immagine cupe del passato come i roghi dei libri.
D’altra parte nel gioco di reciproche supplenze ai vertici dello Stato che in questi anni rende l’assetto istituzionale e statale così liquido e deformato, mancherebbero solo i carabinieri!
La politica che indietreggia per mancanza di competenza e di selezione, il Capo dello Stato e la Corte Costituzionale che fanno il lavoro della politica, costretti ad intervenire aggravando la situazione con provvedimenti legittimi ma irrituali: la magistratura che interviene dove la sinistra non osa o non riesce; il Governo che non risponde più al Parlamento ma al Colle e alla Bce; l’Europa che si allarga entrando nei bilanci degli Stati,; il Papa che diventa rivoluzionario; la mafia, interlocutore politico e istituzionale; i media che fanno opposizione; le destre che diventano più sociali delle sinistre; i comici che prendono il posto dei leader politici e sindacali; gli esperti del web e i teorici dei complotti che sono i nuovi intellettuali; la cultura che diventa disponibilità quantità di informazioni on line; il pensiero che diventa cinguettio, partecipazione, click.
Un governo dei colonnelli sul modello greco, considerando l’inefficienza dei meccanismi elettorali, la crisi della rappresentanza degli ultimi vent’anni e la mancanza di strumenti che sostengano l’azione degli esecutivi, potrebbe rappresentare una prospettiva allettante per quanti sarebbero disposti a cedere un diritto di fatto svuotato per stabilità e lavoro, sempre che un governo autoritario possa offrire queste cose. Tra libertà e felicità, dice il demone di Dostoevskij, la gente sceglie sempre la felicità.
Certo, qua siamo nell’assurdo e nella provocazione e comunque non credo che chi sostenesse questa ipotesi valuterebbe a fondo i vantaggi e gli svantaggi. La sposerebbe come soluzione radicale, alla cieca.
In secondo luogo il tema del golpe torna buono nel senso utilizzato da Asor Rosa, o nel senso che io mi sento di dare alla sua dichiarazione, e cioè in un senso sostanzialmente provocatorio cui accennavo sopra, e si innesta nella dinamica delle supplenze incrociate cui stiamo assistendo.
Immaginiamo una parentesi di una decina d’anni in cui la democrazia venga sospesa così da creare una generazione potente di intellettuali, pensatori e politici tali da liberare il Paese e restituirgli la dignità persa, permettendo il recupero di una storia e di una tradizione culturale e politica che gli ultimi trent’anni di storia italiana hanno annientato. Immaginiamo censura, esilio, terrore, pensieri totalitari. Come accadde sotto il fascismo: un’onta che ancora umilia la nostra storia.
E allora ben venga una provocazione se può aiutarci a riflettere per evitare il peggio.
Scritto con il valente contributo di Francesco Chert.