Il prossimo ex-precarioLa superbia è un vizio capitale

Di Toro ne scrivo già molto, ne sento parlare più del necessario e lo vivo allo stremo. Ergo per cui, potevo anche evitare questo post, ma l'ultimo panettone della stagione non mi è andato giù e du...

Di Toro ne scrivo già molto, ne sento parlare più del necessario e lo vivo allo stremo. Ergo per cui, potevo anche evitare questo post, ma l’ultimo panettone della stagione non mi è andato giù e dunque sono qui a scriverne ancora.
Speravo che il Natale con il suo carico di bontà e regali e il Capodanno con la sua tradizione da buttare e i nuovi propositi da esprimere potessero cambiare qualcosa in me. Un sentimento agrodolce verso una persona che mi faceva sentire quasi in colpa a causa dei punti in classifica maturati.
Speravo che le feste nella loro interezza potessero cambiare qualcosa anche in lui. Che è uomo dagli oggettivi pregi.
Un gioco che, piaccia o no, il Toro ha riacquistato dopo anni di palla lunga e palle a terra. Una crescita generale di squadra e società molto lenta, ma costante. La fiducia fatta ritrovare ad alcuni giocatori che ora dal granata possono ambire all’azzurro.

Invece no.
Invece sono qui alla prima di campionato del 2014 e ho già il fegato marcio. E non è colpa di canditi, dolcetti della befana o degli ettolitri di Moscato.
È colpa di quella persona, la stessa che avevo imparato ad amare (meno) e odiare (più) nel 2013.
Perché i talenti di un uomo si misurano dal modo in cui maschera i propri difetti e se i secondi finiscono per oscurare i primi, anche solo per un giorno, anche solo per 15 minuti, quello non può ritenersi un uomo giusto.
Credo che i giocatori non abbiano sempre ragione, credo che soprattutto alcuni di loro meritino più ramanzine di altri e che spesso, anche se impopolare, una misura drastica può far bene al singolo, allo spogliatoio e al risultato.
Credo che un allenatore sia chiamato a scegliere sempre per il meglio della società che lo stipendia, che debba essere sempre cazzuto il giusto, sereno il possibile e lucido più di tutti.

Giampiero Ventura lunedì ha dimostrato di voler essere semplicemente l’unico protagonista sulla scena.
Immobile ha accusato un acciacco (pare…) e, seppur nel primo tempo fosse stato l’uomo più pericoloso con un gol e un’occasione sciupata, il tecnico ha deciso per la sostituzione. Ci sta. Se l’infortunio è reale, preservare il tuo migliore attaccante (l’unico a vedere gli altri) è non solo un diritto dell’allenatore, ma quasi un dovere.
Le giustificazioni di Ventura iniziano però a scricchiolare vedendo la scenata in campo con Petrachi. Mistero. Nebbia fitta anche per ciò che riguarda la lite avuta nell’intervallo con Cerci. Qui scatta la valutazione (mia, personale, umilmente di parte) sull’operato dell’uomo più che del mister.
Sostituire Cerci, in questo specifico caso, è stato un errore quadruplo: perché è il tuo uomo migliore e nel secondo tempo già non avrai più a disposizione Immobile; perché con Cerci in campo avevi una minima possibilità di riacciuffare il risultato; perché i due sostituti (che tu stesso, Ventura, hai scelto) hanno anche loro dei pregi, ma sono inadatti ad un campionato di Serie A; e infine, perché reagire così ad una divergenza di opinioni è una punizione che sembra inflitta più da un egocentrico e presuntuoso bambino delle elementari che da uno dei “senatori del calcio italiano”. In poche parole, quella sostituzione, nonostate ipotetiche offese del giocatore, è un errore perchè non è la miglior scelta per la squadra, ma solo la via lastricata di egoismo per non cadere dal piedistallo della propria auto-considerazione.
Un errore si perdona a tutti, ma non quando arriva, come la ciliegina su una torta di speranze disilluse, come ultimo atto di un processo menefreghista di distruzione di quella cellula granata, ricostruitasi grazie all’entusiasmo dei tifosi, non di certo per merito dei suoi atteggiamenti: Bianchi tenuto fuori carognescamente alla sua ultima partita, l’onta di Torino-Genoa, la B non vinta, la salvezza risicata a causa (anche) delle 3 vittorie in quasi 30 partite, il rifiuto dei paragoni con un passato ingombrante, ma incancellabile nella mente di quegli stessi tifosi che la domenica gli dedicano cori e applausi, le giustificazioni post-derby, le dichiarazioni del tipo “prima di me non eravate nulla”.

Il Toro è una piazza difficile per tutti, brucia spesso giocatori, allenatori e presidenti, ancor prima di conoscerli. Ora però, mister Ventura, la conosciamo molto bene, a 360°.
E non toccherà a noi decidere, ma a maggio, che sia settimo o quindicesimo posto, ci ricorderemo di tutto, ci ricorderemo di lunedì e ci ricorderemo (sempre umilmente, sempre di parte, sempre io in particolare) di come lei, ogni singolo giorno, ci tenga a sottolineare come, prima di ogni altra cosa, la luce che emana da Giampiero Ventura oscura tutto. Anche il Toro.

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