“In fondo ci conosciamo tutti, perché siamo nati a Torino e a Torino i gradi di separazione sono sempre meno di sei, perché siamo cresciuti tutti sotto l’occhio vigile della stessa matrigna, quella che una volta dettava il ritmo del nostro lavoro, del nostro riposo, che definiva l’orizzonte dei nostri sogni e che oggi, invecchiata e indebolita, è come quelle donne, un tempo bellissime, che del loro passato di creature magnifiche e crudeli, non hanno saputo conservare che la spietatezza.”
Torino, meta della più grande emigrazione dal sud che il nostro Paese abbia visto e per questo città simbolo del lavoro negli anni ’60. Cosa è cambiato da allora? Quali punti di contatto esistono tra quel passato di lotte sindacali, ma anche disordine sociale, brigatismo, e il nostro presente costellato anch’esso di licenziamenti, riduzioni del personale, cassa integrazione?
La storia raccontata nel romanzo di Alessandro Perissinotto, “Le colpe dei padri”, sembra voler tracciare un trait d’union tra queste epoche apparentemente così lontane.
Inizia con due amici al bar che discutono della crisi, dell’esasperazione della gente, rimpiangendo provocatoriamente il tempo andato delle brigate rosse, e passa poi a raccontare la storia recente di Guido Marchisio, manager d’azienda alle prese con un programma di ristrutturazione che vedrà la messa in cassa integrazione, e quindi il successivo licenziamento, di 61 dipendenti. Quella di Marchisio è una vita di uomo di successo a tutti gli effetti: guida una macchina lussuosa, ha una compagna bella e di 20 anni più giovane di lui, è un leader forte che non mostra alcuna debolezza sia nel lavoro che nella vita.
Mentre però procede nel suo piano ben studiato che prevede una serie di tappe precise, un uomo incontrato in un bar gli rivela di essere perfettamente somigliante a una persona conosciuta alcuni anni prima: stessa eterocromia degli occhi, stesso neo sullo zigomo. Da questo momento l’idea di un sosia, o di un gemello chissà, inizia a insediarsi a poco a poco nella sua mente: lo seguiremo, capitolo dopo capitolo, tra bar di periferia, registri scolastici, uffici comunali, nell’indagine che lo porterà sulle tracce di questo fantomatico personaggio.
Nel frattempo, di pari passo con l’avanzare delle tappe del piano di ristrutturazione aumentano le minacce nei suoi confronti: nella schiera dei dipendenti della sua azienda, che vedono in pericolo il proprio posto di lavoro, ci sono di sicuro alcune teste calde che non hanno dimenticato la stagione della lotta armata e degli attentati. Una recrudescenza di episodi incresciosi costringono Marchisio ad armarsi ma, in verità, non sembrano occupargli la testa più della ricerca dell’uomo che gli somiglia e del quale è riuscito a conoscere quasi tutto, fino però a una data limite, oltre la quale, d’incanto, scompare ogni notizia.
“Le colpe dei padri” è un romanzo dall’impianto solido, studiato alla perfezione, un meccanismo narrativo che presto ti rapisce per poi condurti con sagacia verso il finale. Per la sua indubbia qualità di scrittura, di sicuro pochi avrebbero avuto da ridire se avesse vinto il Premio Strega dello scorso anno. Certo, la letteratura non è nuova a storie del genere, come non è nuovo l’espediente metanarrativo che vede l’intromissione frequente dell’io narrante, eppure Perissinotto fa bene il suo mestiere, creando con le sue brevi digressioni sospensioni efficaci, che ti spronano a continuare a leggere.
“Le colpe dei padri”, Alessandro Perissinotto, Piemme, 2013, 316 pagg.