Mi dicono che una vecchia mappa non puo’ essere utile per arrivare ad una destinazione nuova. Senza scomodare Vespucci o Da Empoli, spesso, neanche i navigatori satellitari riescono ad aggiornarsi in tempo, a donare le coordinate di questa psicogeografia mutevole che appartiene, completamente, allo spirito del tempo. Ci illudiamo che un giorno, fra occhiali di Google ed altre accidempolerie tecnologiche, riusciremo a prevedere ogni cosa, perlomeno nell’intorno dei prossimi dieci passi e della nostra prossima ora e ci aspetteremo di poter essere guidati a colpo sicuro fino alla lavanderia del quartiere od all’appuntamento di lavoro.
Sapremo tutto del certo, del sicuro, del prevedibile e dell’appurato e, sulla base di quei dati, proveremo a determinare degli scenari, delle aspettative. Anzi, ci ostineremo a comprare agende, a fare liste di cose da fare, di nodi da sciogliere e ad imporci scadenze e ultimatum.
Nonostante tutta questa pianificazione, non sapremo mai prevedere quando il nuovo, l’insolito, l’inaspettato, ci cogliera’ e ci fara’ dare un’occhiata appena pochi metri piu’ avanti. E’ sempre stata questa l’ossessione dell’umanita’, il poter immaginare il futuro, da quello triviale del risultato di una corsa di cavalli, a cosa accadra’ quando tutto il tempo e lo spazio saranno scomparsi e tutto tornera’ ad essere un punto, talmente denso da far concorrenza alla cioccolata di Rivoire. Quello spazio fra l’esame di un fegato di colombo o del cielo stellato, e le preghiere in punto di morte, quella vastita’ di attesa, speranza, preoccupazione, timore ed entusiasmo, e’ quella brama di riuscire a rendere agenda, diario, concatenazione, anche quello che non possiamo e, lo dico chiaramente, forse non vogliamo prevedere.
Spesso, ci si deve trovare in una terra di nessuno, con un foglio di carta bianco davanti, colori e una nuova geografia personale e collettiva, tutta da disegnare, con l’unico assunto che non ci debbano essere regole, che non ci debbano essere limitazioni o freni rispetto a quello che possiamo e dobbiamo immaginarci. Una distesa di mare di fronte ai nostri occhi ci racconta gia’ di terraferma da qualche parte oltre, come uno spazio in cui un aereo vola e scivola descrive gia’ che esistera’ un punto di arrivo, sopra deserti, montagne e citta’ dal traffico inviperito. Il problema e’ che, spesso, la destinazione esiste, si manifesta in una citta’ nuova, straniera e,quando ci arriveremo, non la riconosceremo, ma giureremo di esserci sempre stati, ci sentiremo subito familiari con le viuzze, i palazzi algidi e spropositati rispetto all’importanza dell’istituzione che vi risiede. Saremo i pionieri di questa novita’, lo siamo tutti i giorni. Ogni istante, la mappa del futuro e’ nuova, la costruiamo con le scelte, le parole dette e non dette, con gli intenti e sappiamo che la preconcezione, il pregiudizio, la morale sociale ed economica precostituite non aiuteranno mai a comprendere cosa ci prospetta il presente. Siamo reduci da ormai quasi cento anni e passa di accelerazioni incredibili, immersi in un mondo che, fino a venti anni fa, era assolutamente impensabile. Il lunghissimo secolo ventesimo e’ stato quasi eterno, per il semplice fatto che dieci, venti, trenta, cento secoli stavano passando uno accanto all’altro, gli imperialismi, le ideologie concorrenti, la frammentazione del logos economico in decine e decine di idee e posizioni. Ed il tempo e’ diventato l’ambito della mappa nuova, sconosciuta. Di azione in reazione, sono passati i decenni e il 1900 ci ha scaraventati, ammutoliti e seriosi, in un nuovo secolo che invece corre, straparla, sbuffa e prende sempre piu’ il largo. Mutano le relazioni fra le persone, gli stati, e deve mutare anche la politica, deve cambiare il respiro dei diritti e dei doveri. In breve, oggi, siamo pronti ad una nuova mappatura, a farci sorprendere da quello che troveremo in fondo alla strada che non conosciamo nel paese che non sappiamo neanche con chi confina. Come e’ successo a me qualche giorno fa a Lussemburgo. In fondo ad una via adornata da boschi di conifere e villette patrizie e borghesi, ambasciate in stile mitteleuropeo, un palazzo supermoderno, dall’architettura astratta e irreale. Neanche avessi messo in circolo tutte le mie idee, neanche avessi previsto tutto, mi sarei immaginato quella vista (foto sotto).
Di fronte alle scelte, che siano di politica economica o su cosa mangiare, il fatto di sapere che non esista mai una mappa adeguata, se vogliamo creare qualcosa di nuovo (e non rivoluzionario, ma proprio inedito), mi rende sempre stranamente lieto. Perche’ vuol dire che sta a me, a te, a noi, tracciare le linee e le tappe. L’incertezza dell’esito aiuta a capire meglio le meccaniche fondamentali o, come dice Hersh Shefrin (in “Beyond Greed and Fear”, un’ottima summa di Behavioral Finance), quella dinamica per la quale le persone continuano a credere in teorie che non sono valide. Lo fanno perche’ continuano a cercare un’evidenza delle loro ragioni, piuttosto che evidenza che le neghi. Quindi, non solo errore, ma straordinaria confidenza nella propria giustezza. Questo, di fronte ad un foglio bianco ed a direzioni ancora tutte da inventare, non accade.
Soundtrack
Koudlam – Sunny Day
Paper Kites – A Maker of My Time