Giravano, qualche settimana fa, foto di uomini distrutti dallo shopping delle loro compagne, mogli, amanti, sorelle, figlie, nipoti, etc. Insomma, di tutte quelle esponenti del genere femminile che un bel giorno si svegliano e, con un sorrisetto satanico, sussurrano dolcemente nell’orecchio della loro vittima: «Coraggio tesoro, alzati, ho un insopprimibile desiderio di scarpe nuove. Andiamo a fare shopping».
Andiamo a fare shopping. Punto, non punto di domanda, perché in effetti non è una domanda. Non è nemmeno un ordine, sia chiaro. È più una presa di coscienza, un dato di fatto: l’uomo accompagna la donna perché così è scritto.
Pensavo, guardando le foto di cui sopra con uomini ridotti allo stremo delle forze svaccati su qualsiasi superficie anche solo vagamente piatta, che fossero un’esagerazione, dei casi particolari creati per estremizzare una situazione diciamo noiosa ma non certo devastante.
Poi, ieri, sono andata a comprare una borsa.
Come ho varcato la soglia del negozio, alla mia destra e alla mia sinistra si sono palesate queste due creature mitologiche – metà tricheco spiaggiato, metà uomo in palese stato catatonico – sedute su due sedie ai lati della porta, con un’eleganza che nulla aveva da invidiare a quella di Malkovich-Valmont ne Le relazioni pericolose: gambe larghe, occhio spento, braccia cascanti, capello sconvolto.
«Eureka – ho esclamato, – allora esistono! Non è un complotto ordito dai media per distogliere l’attenzione dalle scie chimiche, gli uomini devastati dallo shopping sono realtà».
La mia, di attenzione, è stata per un attimo deviata dai vestiti intorno a me, ma, mentre la commessa si caricava le braccia di borse da mostrarmi, ho buttato l’occhio sul bradipo di destra e ho notato che non stava facendo niente di niente, nemmeno quelle cose che si fanno per noia, tipo controllare la posta o farsi un bel selfie di livello col manichino. Semplicemente respirava con lo sguardo perso nel vuoto, stremato. Il bradipo di sinistra, invece, mostrava segni di impazienza.
Delle compagne, nessuna traccia. Forse erano al piano di sopra, o forse, semplicemente, i due condannati erano solo dei resi. Chissà.
Poi, mentre non riuscivo a decidere se quei due uomini all’ingresso, a cui mancavano solo un telecomando e una mano nelle mutande, fossero per il negozio pubblicità buona (ehi quanto comprano le donne qui dentro, deve essere figo) o cattiva (ma ‘sti burinazzi? No, dai, andiamo da un’altra parte), è successo l’impensabile.
È entrata una coppia lui-lei per comprare una borsa (eh sì, che mondo sarebbe senza borse?) e lui non solo le stava accanto sorridendo, ma sembrava anche dire cose intelligenti. Io, la mia e la loro commessa abbiamo cercato di simulare indifferenza per darci un tono, ma non riuscivamo a smettere di fissarlo. Sembrava felice. Era felice. E non era un robot. Nemmeno un gigolo. Forse un marziano radical chic?
Mi sono avvicinata e con nonchalance gli ho toccato la fronte. Scottava. Fiuuuuu. Nessuna invasione aliena, solo febbre.
Nota patetico-sentimentale: domani questo blog compie due anni. Non avrei mai immaginato di avere così tante scemate nella testa. Grazie a tutti quelli che mi hanno dato e che mi danno la possibilità di raccontarle. Grazie a chi le legge. Grazie a chi mi consiglia, a chi mi stronca, a chi mi tira le orecchie, a chi mi fa meravigliosi complimenti (Vanesia è il mio secondo nome). Grazie a chi, ancora oggi, al lavoro si stupisce e mi dice basito, facendomi sorridere: «Accidenti, non pensavo che sapessi scrivere in italiano».