ControTempoRiaprite la memoria, è tempo di Federer contro Nadal

Quindi ci risiamo, pare esser arrivato il momento di riaprire il libro tenuto tra le scartoffie per tanto tempo. Eravamo arrivati a leggere insieme il capitolo 32 di un manuale che per esser steso ...

Quindi ci risiamo, pare esser arrivato il momento di riaprire il libro tenuto tra le scartoffie per tanto tempo. Eravamo arrivati a leggere insieme il capitolo 32 di un manuale che per esser steso ha necessitato di 10 anni di lavoro. Probabilmente non sarà finito e, conclusesi le vacanze di Natale, bisogna riprendere la penna in mano e rimettersi a scribacchiare qualcosa. La realtà sussurra stavolta qualcosa di penetrante, un incudine che permea il foglio. Il capitolo 32 era terminato a novembre, con la 22esima vittoria di Nadal su un balbettante Roger Federer al Master di fine anno. Il punteggio (75 63) fu fin troppo benevolo con lo svizzero, il cui cadavere il maiorchino decise di dissanguare a piacimento. Lo stesso canovaccio era stato seguito pedissequamente in 14 dei precedenti 18 scontri diretti (l’ultima volta che Federer riuscì a sopravanzare la resistenza dell’acerrimo rivale per due volte consecutive fu nel 2007 tra Wimbledon e il Master di Shanghai di fine anno).

Ecco, proprio quel 2007 qualcosa la rimembra ai più accaniti sostenitori di una memoria troppo volte letargica: lo scontro a Wimbledon fu l’ultimo nel quale Federer riuscì a battere Nadal in un torneo del Grande Slam. Facendo, in modo alquanto approssimato, due conti, si tratta di sei anni e mezzo. Da quel momento mattanze continue, ivi compresa quella che Rafa gli riservò nella semifinale dei canguri due anni fa. Insomma, dopo aver snocciolato un po’ di meri numeri (bisogna anche soddisfare gli appassionati di statistiche in questo tipo di articoli e, fidatevi, non sono finiti) è tempo di analizzare una partita dai mille volti, espressione fenomenica della più grande rivalità della storia del tennis dell’Era Open (e non solo mi verrebbe da esclamare a gran voce).

I due arrivano ad un match che è già un possibile crocevia della stagione: Federer ha perso fino ad ora un solo set, contro Murray, ma più per distrazione che per effettiva sudditanza di gioco. Non credo che la cura Edberg abbia iniziato a dare i suoi effetti (ammesso che mai ne dia dal punto di vista prettamente tecnico) ma indubbia appare la trasformazione del suo gioco. Accantonati i martorianti problemi alla schiena almeno per questa prima settimana e mezza, il nativo di Basilea ha sprigionato sul campo un tennis d’antologia contro Tsonga che Murray. Edberg ha chiosato in un 60-70% la percentuale di volte che il suo accolito dovrà approcciare la rete durante la semifinale ad azzannare il punto. Insomma, quello che più o meno gli si ripete come un mantra da quando la rivalità con Nadal ha iniziato ad assumere contorni che valicassero la normalità. Roger ha trascorso poco temp in campo benchè il suo quarto fosse nettamente il più scriteriato e martorizzato dal sorteggio; ha quindi speso relativamente poco, giocando sprazzi di un tennis allucinante e inavvicinabile. Poteva giocare ancora di meno se la testa l’avesse assistito in alcuni momenti (un’ora regalata al pubblico in un match, con Murray, in cui ha avuto sulla racchetta la possibilità di servire per il match sul 5-4 del terzo set e due ulteriori match-point durante il tie-break dello stesso parziale).

Da qui parte un fil rouge con il suo avversario, legame improntato sulla testa, un fattore che più volte ha salvato il secondo e condannato il primo e che sta tenendo a galla un Nadal fin troppo poco arrembante per non poter esser veramente scalfito. Lo spagnolo, dopo aver surclassato Tomic, Kokkinakis e Monfils, ha iniziato ad accusare il suo (e altrui) gioco dal match con Nishikori (perdendo per ben 4 volte il servizio) e con Dimitrov (lasciando per strada il primo parziale del torneo). Se nella mattinata di domani stiamo per raccontare di un apologetico 33esimo atto è grazie ad un’attinenza al match probabilmente senza eguali (e per la poca degli altri), di un servizio estremamente incisivo nei momenti importanti e di partite risollevate nel cervello piuttosto che nelle mani. Ah, ecco, le mani. E’ di oggi la foto sprofondata in prima pagina su Marca di ferite sconfortanti nelle mani del maiorchino, che accusa questo tipo di problemi dall’inizio del torneo anche se pare si stia allenando senza ausilio di bende. Senza entrar nel merito della questione pare esser un problema che sta deliberatamente condizionando un gioco che altrimenti vorrebbe esser fluido e profondo. Nadal ha però anche rassicurato tutta l’équipe di assaltatori di notizie presenti in Conf Press dando per buone le sue condizioni, sicuramente non al meglio ma pronte a sfociare indistintamente in una battaglia.

E’ questo conciliabolo di motivi che rende (anche per i bookmakers) il match meno chiuso di quanto effettivamente quel mattino di lunedi 13 che ha aperto i battenti del torneo potesse immaginare. 2-0 agli Australian Open, 8-6 sul duro, 22-10 come detto il totale, numeri che domani forse non conteranno. Avranno importanza i 22 Slam su 25 che i due hanno portato a casa dal Roland Garros del 2005 al Roland Garros del 2011, gli 8 Wimbledon (2003/2010) e i 9 Roland Garros (2005/2013) consecutivi che sono riusciti ad ammucchiare e probabilmente l’impatto mediatico che due uomini sono riusciti ad imprimere ad uno sport che, prima del loro avvento, attraversava un netto periodo di “crisi al buio”. I due giocatori sono vicini, sensibilmente vicini e la fibrillazione intorno ad una partita dai tanti contorni immaginifici gira su questo, sulla possibilità che un viaggio immaginato stupidamente breve dai più possa far figurare invece un’odissea. Il tavolo di tela su cui il match si dipanerà è fin troppo ovvio: si avrà partita, indipendentemente da chi vinca, se entrambi riusciranno ad esprimere un gioco degno delle loro caratteristiche. Starà a Federer l’incessante avvicendamento alla rete, a Nadal cercare di far scorrere il match sugli stessi binari degli ultimi anni, travi di ferro di sofferenza, di top spin sul rovescio del rivale e di sua conseguente sudditanza psicologica.

Così dovesse essere si parlerà della prima finale svizzera della storia o del primo giocatore dell’Era Open a provare a vincere per due volte i quattro tornei del Grande Slam di fronte ad un newcomer, affamato di successo e consapevole dei suoi mezzi come pochi altri. Se ne parlerà però con gli occhi ancora rivolti indietro, degli occhi memori di una Partita (appositamente scritta in maiuscolo) che ha permesso ai tifosi di continuare a discutere, agli amanuensi di poter tramandare qualcosa ai posteri e a noi di poter sfogliare pagina, aspettando il capitolo 34. Le previsioni meteo minacciano pioggia; tanto meglio, il tetto sarà chiuso e la magia di un match potenzialmente epico sarà compressa a permeare l’animo di quei fortunati che potranno assistervi.

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