Altro che test Pisa, altro che graduatorie Ocse, altro che risultati delle prove Invalsi. La certificazione che l’istruzione italiana abbia davvero toccato il fondo arriva dalle odierne immagini dei presidi in sciopero. Seicento capi di istituto che, con sgargianti pettorine azzurre, si sono assisi in Viale Trastevere a Roma, sede del ministero dell’Istruzione, per un sit-in, dicono le cronache, durato dalle 11,30 al primo pomeriggio, a urlare col megafono la loro rabbia contro il ministro pro-tempore, Maria Chiara Carrozza.
La notizia fa fatica a comparire sulle home-page dei principali quotidiani nazionali che, da sabato scorso, essendo rientrato in pista Silvio Berlusconi, si occupano prevalentemente di lui, anche pur l’ennesima inchiesta giudiziaria che lo vede protagonista.
In un altro Paese, probabilmente, quelle immagini avrebbero campeggiato nella parte alta dei portali di informazione e, domani, i quotidiani avrebbero dedicato alla vicenda le loro aperture. Il ministro competente avrebbe dovuto riferire d’urgenza in Parlamento.
Da noi, invece, la crisi del sistema educativo è spinta ormai così a fondo ed è probabilmente così incistata, che non ce ne rendiamo più conto.
Ci pare persino normale che dei dirigenti dello Stato, gente che ha nell’ufficio la foto del presidente della Repubblica per intendersi, uomini e donne cui è affidata una funzione delicatissima e la responsabilità di luoghi, le scuole, che definiscono i nostri valori civili e la nostra stessa modernità, ci pare persino normale, dicevamo, che dirigenti dello Stato scendano in sciopero. Contro lo Stato, ovviamente.
A prescindere dal merito della loro protesta – fondi negati e salario ridotto, ha spiegato Giorgio Rembado che ne dirige l’associazione dagli anni ’90 – i presidi che scioperano sono l’ennesima crepa nell’immagine dello Stato e nell’idea che i valori in esso affermati resistano comunque all’urto dei problemi, al logorio delle beghe, all’insipienza di chi governa. Archivia per sempre la convinzione profonda che per qualcuno quell’entità, chiamata Stato, venga prima, anche solo per mestiere. Che, insomma, ci sia un’ultima soglia.
Non che credessimo ancora alla scuola deamicisiana di Cuore ma, oltre i presidi col fischietto e le bandiere, c’è solo il maresciallo dei Carabinieri che appende sul portone della stazione il cartello “agitazione sindacale”.