Lo si può trovare seguendo il suono di un sax o di una chitarra, mentre si passeggia per Corso di Porta Ticinese fermandosi a guardare le saracinesche dei negozi messi “ad arte”. Alle volte basta alzare gli occhi al cielo al momento giusto, in quel tratto di strada che non vi dico perché dovreste già conoscerlo da voi. Potrebbe esserci qualcuno lì, alla finestra di “Maurizio”. Un ragazzo o una ragazza potrebbero invitarvi a salire e voi abbandonare ogni esitazione e cogliere l’occasione al volo. Non è semplice. Bisogna prima svuotarsi. Solo dopo si può accedere al cuore di Via dell’Ironia, cantiere dinamico di comunicazione, condivisione, covo di artisti, tana per musicisti, laboratorio per pensieri liberi, difformi, informi, in movimento.
Via dell’Ironia è un progetto itinerante creativo di rigenerazione artistica urbana ed “umana” nato qualche anno fa a Milano. Quando la scopro non so nemmeno che esista, che abbia cioè anche un nome. È una sera diversa dalle altre. Il Forum della Comunicazione col suo peso di big data, startup e marketing-soprattutto quello-si è spento da qualche ora. Sono con degli amici, prima ero da sola. Vogliono presentarmi Maurizio, sanno che mi piacerà. Andiamo a casa sua. Varcato l’ingresso ci accoglie un odore pungente. Sa di barba incolta, aromi forti indistinti. Qualcuno si porta avanti a salutare. Io non riesco a muovermi che adagio, curiosa, incredula: c’è qualcuno che non ha paura del suo kaos. “Cose” ammassate in ogni angolo della grande stanza a catturare lo sguaro, a stordirmi. Raggiungo gli altri che riesco ancora a pensare: qui si inciampa per cadere nel niente, accogliere quello che si crea, istante dopo istante, siamo nel sogno di chi voglia portarsi il mondo dentro senza lasciarne scivolare gli attimi. La testa a parte, lasciata fuori la soglia. Un lungo e largo tavolo al centro, discarica a tempo determinato per libri, pennelli, fogli, riviste, bicchieri, piatti, stampe… Sopra, sotto, intorno. E poi strumenti musicali: dalle chitarre alla batteria, dai bassi a insolite percussioni anonime per i più. Siamo alla soglia dell’entropia e stiamo per viverla insieme, mischiano i nostri disordini. condividendoli.
Ai margini c’è un computer-tastiera in legno-acceso per cercare istruzioni per scaldare l’ambiente, poi lasciato addormentarsi da solo. Noi ci si brucia lenti tra canti, vino e chiacchiere. Niente candele e vasi da terracotta-quelli che:”sarà pure una bufala ma l’altro giorno ha funzionato”-. Bastiamo noi insieme a lasciarci andare in fumo. Siamo essenze tra quelle cose a spartirci gli spazi e i respiri. Tutto è occupato. Drammaticamente. “Ora è così perché non ho avuto tempo di ordinare”, spiega Maurizio Romani, l’orafo-letterato padrone di casa. È un uomo dall’aria rassicurante, occhiali a proteggerci dagli occhi troppo grandi e pieni persino per noi che ci crediamo eterni. Non vi dico l’età, non importa. Padre, biologicamente e in senso “lato”, milanese dai tratti un po’ mediorientali e i capelli ricci-vi basti sapere questo-e poi cordiale, evidentemente generoso. “Sto bene se vedo star bene gli altri”, confida, “il mio è egoismo”.
Parla, parla tanto. Mentre gli altri ospiti si scelgono un ruolo per la sera chiede ad un ragazzo cubano quale sia il materiale migliore per realizzare i cayons. Sono sgabelli da percussione. Lo stesso ragazzo ci è seduto sopra. Maurizio vuole farne costruire degli altri, tentare una rivoluzione a cavallo di cayons. Li immagina cavalcati da donne, perché “le donne hanno quel senso materno e di comprensione universale che manca all’uomo”. Perché sono sono troppo spesso disegnate dal mondo in caratteri limitati del giudizio altrui:“nei paesi arabi devi mettere il burka altrimenti sei una poco di buono, in quelli occidentali devi essere appariscente e alla moda altrimenti non vai bene”, si lamenta. Provo a fargli un’intervista, incuriosita da quello che eleggo a logo del covo: una statua che rappresenta due amanti, arricchita da una chitarra e un pennello poggiati da qualcuno a completare l’opera. Sono il simbolo della musica che incontra l’arte, quella che non ha bisogno di parole per fluire, quella che poco o niente viene stimata… Maurizio è un fiume, ascoltatelo nel VIDEO: “Non c’è spazio per il sentimento. Se sei uno spazzino o un gran dottore, quando stai insieme per la musica, in quel momento conta solo quello che fai, che comunichi. È la meritocrazia dell’arte. Quando suoni il pensiero si annulla, sei concentrato sul presente. C’è un’altra strada che va dagli orecchi al cuore senza passare per l’intelletto. Abbiamo bisogno di stimolare l’irrazionale, il senso. Il bambino è sano, l’adulto lo rovina…Sai qual è il vero problema? Il ghetto generazionale. Siamo divisi in compartimenti stagni. Il vero artista sfida se stesso, conosce i propri limiti e tenta di superarli, è in tensione costante, deve sempre migliorarti. Non fa le cose per gli altri, per apparire, come quelli che a un certo punto si siedono, come fanno quelli che hanno potere...I soldi e il potere sono un’ottima moglie ma una pessima amante”... È uno tsunami! Critica velatamente anche facebook, l’atteggiamento diffuso di “taggare per farsi pubblicità non diverso da coloro che fanno le cose per raccogliere il consenso degli altri e non per se stessi...” Per interrompere la conversazione scivolo via dalla casa restando ancora un po’ sulla soglia a sentire quell’uomo che ha deciso di fare la sua rivoluzione colorata e armonica tra le strade di Milano. Poi scendo giù, mi siedo in strada a pensare. Non ho idea che, risalita, mi accoglierà un nuovo spettacolo: luci a illuminare danzando le pareti, i volti, le mani, le corde, i sorrisi, le mie, i miei, le loro, i nostri, le nostre… Sfoglio gli opuscoli de Il Corvo Rosso che mi ha appena regalato,“apri una pagina a caso e troverai la risposta che stai cercando”, mi ha suggerito allungadomeli mentre scendevo le scale. I passanti mi guardano, poi alzano gli occhi. Nemmeno loro sanno ancora nulla. Però c’è qualcuno alla finestra, lassù, verso il cielo.
EDIT: questo post oggi era stato cancellato per ironia della sorte e per un malinteso.
Mi ha fatto “guadagnare” uno dei 102 cayons che Maurizio, al telefono, mi ha detto di aver fatto preparare. Imparerò a suonarlo perché la musica e il ritmo sono dentro di noi, mi ha detto. E nel mentre, esercitandomi nella mia cameretta, scoprirò qualcosa di me stessa di cui non avevo coscienza.