Stanislas Wawrinka è arrivato in vetta. Ora deve continuare seguendo l’identica strada che l’ha portato fin qui.
Eravamo nel 2009, dall’altra parte del mondo. New York, precisamente Flushing Meadows, precisamente settembre. Juan Martin Del Potro batte Roger Federer nella finale degli US Open e diventa, a sua insaputa, un baluardo del tennis moderno: per i successivi quattro anni rimarrà l’unico tennista ad interrompere la diaspora dei tornei del Grande Slam verso i Fab4, un cannibalismo totale, un dominio senza eguali. Lo scorso anno poi qualcuno inizia a salire le scale; è svizzero come Federer ma diciamo che di considerazione, lui, ne ha sempre avuta poca. La sua partita opposto a Djokovic nel 2013 in Australia è votata a gran coro come la più bella dell’anno.
Da quella partita ne esce sconfitto, come defraudato risulta anche dal match di qualche mese dopo sempre in cinque set e sempre con il serbo, stavolta a Flushing Meadows. Insomma, nulla di nuovo: il potere è difficile da esautorare. Un grillo però viene mosso e la direzione è un tatuatore, la scelta una frase di Samuel Beckett, una citazione della novella Worstward Ho, scritta nel 1983. Il verso recita: «Ever tried. Ever failed. No matter. Try again. Fail again. Fail better», resa nella traduzione italiana in “Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio” . “E’ quello che io concepisco della vita e del tennis. Purtroppo se non sei Roger, Rafa, Nole o Andy sei destinato a fallire e a perdere. Ma c’è un modo per andare avanti, prendere sempre l’aspetto positivo dalle sconfitte e continuare a lavorare. Se una sconfitta ti ammazza non c’è modo di giocare a tennis”. Crudeltà inaudita in una frase per cui la presenza dei Fab4 è l’esemplificazione di un potere tirannico sotto il quale vige abnegazione assoluta.
Wawrinka ha dovuto navigare nei meandri dell’oblio dalla sua entrata nel mondo del tennis, spudoratamente dalla porta secondaria. Di origini polacche, il padre tedesco Wolfram e la madre svizzera Isabelle lavorano aiutando le persone diversamente abili. Una famiglia nata con la racchetta nella culla, con il fratello maggiore Jonathan che lo insegna e le sorelline Djanaee e Naellae che studiano e lo praticano. A 15 anni la decisione di mollare perché il tennis voleva fosse una questione più seria. Nel 2003 il trionfo al Roland Garros Junior. Buono direste, beh si, abbastanza. Se non fosse che appena un mese dopo Roger Federer si afferma per la prima volta a Wimbledon, quello dei grandi, dando contemporaneamente inizio ad una vita in seconda fila da parte del “secondo svizzero”.
La sua entrata nei TOP 10 rimane oscurata per l’imperio di Federer, le sconfitte con Djokovic dello scorso anno non erano altro che una logica conseguenza di un oligopolio impossibile da scardinare. Il tennis per Wawrinka è direttamente proporzionale al suo carattere, esplosivo. Il 12 dicembre del 2009 sposa Ilham, giornalista per la tv svizzera e il 10 febbraio nasce Alexia, sua figlia. A gennaio dell’anno successivo poi la separazione, poiché il tennis doveva esser preminente nella sua vita. “Da quando ha cambiato allenatore è cambiato, non lo riconosco più. Mi ha detto che ora il tennis è ridiventato la sua priorità, che gli restano solo cinque anni ad alto livello e che vuole concentarsi totalmente sulla sua carriera” le parole della moglie, totalmente destabilizzata alla notizia. Poi il ritorno sui suoi passi. Qualche battibecco troppo acceso con Federer per via della Coppa Davis: lui è nazionalista e ha sempre criticato allo svizzero di punta una prevaricazione degli interessi personali su quelli della nazionale rossocrociata. “Roger continua a dire da anni che la Coppa Davis è importante per lui ma a quanto pare non è così. E’ giusto che ognuno guardi la propria carriera, ma le sue decisioni le capivo più in passato che ora. Mi dispiace che si rigiri la cose a suo piacimento”. Un personaggio idiomatico, per cui la bellezza del tennis non è mai stata sufficiente al raggiungimento dei risultati. Lo scorso anno le due partite con Djokovic, la sofferenza e la velata consapevolezza di dover registrare un ultimo passo.
Da settembre ad ora la meditazione è stata fagocitata e i quarti, ennesima partita con il serbo, hanno regalato la prima vera vittoria di rilievo della sua carriera. Il resto è storia o per lo meno è storia il pugno sulla testa sui punti importanti, come a lui suggerito dal suo allenatore, Magnus Norman. Ah vero, dimenticavo, Norman segue Wawrinka da un po’, da quando lo svizzero prese le distanze dalla moglie. Il cruccio di Wawrinka era assestare la testa, troppo ballerina. Qualche scoria è ancora rimasta, tipo oggi con Nadal, ma Norman ha plasmato l’accolito. Lo svedese ha posto l’attenzione sull’aspetto mentale e quel gesto lo testimonia, continuamente. Un continuo portarsi l’indice al cervello, un continuo prevaricare della testa sulla tecnica. Oggi la testa ha funzionato, non ha vacillato durante l’uscita dal campo di Nadal per medical time out, rischiando di vacillare nel rimettere in sesto lo spagnolo ma riassestandosi ha fatto in modo che Stanimal (così viene chiamato ora) potesse crogiolarsi nei suoi residui di acne ancora giovanile sul viso e alzare le mani al cielo. Ora Wawrinka festeggia uno Slam al numero 3 del mondo, definitivamente sopra il suo celebre connazionale. E’ arrivato al secondo posto nel 2013 come sportivo del suo paese e probabilmente questo trionfo è già sufficiente per farlo trionfare ora.
All’inizio dell’articolo imperava il nome di uno spilungone argentino, Juan Martin Del Potro. Il suo trionfo, anche per via di un infortunio, si rivelò meno di un fuoco di paglia. Ora Wawrinka ha parzialmente esautorato un regime dittatoriale che imparava nel mondo della racchetta e pare che il suo, di fuoco, sia ben alimentato. Stanislas ha sempre avuto il tennis, ora l’ingranaggio mentale è stato eliso e questa vittoria, tra le tante cose, farà acquisire consapevolezza ad un tennista che, in forma, ha dimostrato d’esser devastante. Ora cosa fare? Continuare a guardarsi il braccio affinchè questo punto sia il primo metro di un bivio giustamente intrapreso, quello della definitiva maturazione. E continuare a portarsi l’indice sulla testa. Ora andrà a Novi Sad nel weekend per affrontare la Serbia in Coppa Davis, stavolta orfana di Djokovic, perchè la coerenza è un suo baluardo e la patria viene prima di tutto. Probabilmente sarà ancora reduce da una sbronza ma sarà comunque l’uomo di cui si parlerà. Dovrà abituarsi, ora è un vincente. Pare che la valvola sia stata sbloccata: alla fine per il tennis è un bene, no?
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