Banche e Onorabilità
Si è molto discusso, purtroppo solo fra gli addetti del settore, della rivalutazione del capitale della Banca d’Italia.
Si tratta del processo di aggiornamento del valore del capitale della Banca che la legge bancaria del 1936 aveva fissato in 300 milioni di lire (156.000€). Dal 1936 nessuno aveva sentito la necessità di intervenire sul capitale della Banca d’Italia. Non è difficile comprendere perché: solo la Banca d’Italia poteva cambiare la norma relativa al suo capitale attraverso una modifica statutaria e qualunque soggetto esterno alla Banca d’Italia si sarebbe trovato nella condizione di dover convincere gli organismi della Banca della necessità di una qualsiasi variazione. Inoltre, per definizione, una Banca Centrale non può fallire, quindi il capitale non serve a garanzia.
Tuttavia, già Tremonti nel 2005 ci aveva inutilmente provato con l’intento di portare sotto l’ala protettiva (o avida?) del ministero del Tesoro il controllo della Banca. Le ragioni del fallimento della proposta di Tremonti si possono comprendere sulla scorta del principio della separazione dei poteri in stile Montesquieu: la Banca d’Italia è un organismo di controllo e garanzia della politica monetaria e come tale deve rimanere indipendente. Questo concetto di indipendenza, che spesso fa urlare al complotto troppi persone prive di adeguata conoscenza della materia, verrebbe a mancare nel momento che qualcuno possa esercitare un potere di indirizzo a favore di qualcun altro. Se è vero che chi possiede le quote di una banca comanda in una qualche misura nella banca, Tremonti voleva comandare a Palazzo Kock. Ci provò, all’epoca, e non ci riuscì.
Oggi, in un momento di emergenza per il sistema bancario nazionale, il ministero dell’Economia e della Finanza, agli ordini di Saccomanni, ex direttore generale della Banca d’Italia, chiede alla Banca d’Italia di rivalutare il proprio capitale. La rivalutazione proposta aumenterà il capitale della Banca di 50.000 volte, portandolo a 7.5 miliardi di Euro in quote societarie liberamente scambiabili, sotto il vincolo che nessuno possa possedere più del 5% delle quote stesse. Per capirsi, chiunque potrà comprare quote della Banca d’Italia purché trovi qualcuno che gliele venda. A dire il vero, chi già le possiede non avrà alcun buon motivo per venderle, non a breve almeno.
Infatti, come ci spiega il Governatore Visco nella Relazione del Governatore all’Assemblea straordinaria dei Partecipanti al capitale della Banca d’Italia, «l’aumento di capitale a 7,5 miliardi di euro [avverrà] mediante utilizzo delle riserve statutarie». Quindi, capitale pubblico, le riserve delle banca, finanzieranno l’aumento di capitale a beneficio di investitori privati, cioè le banche italiane. Insomma, un bel regalo per chi è già azionista.
Non sono difficili da comprendere le ragioni di questa scelta. In un articolo di Antonio Vannuzzo e Fabrizio Goria si avanzano diverse ipotesi e nessuna di queste va nella direzione di indicare un’azione a vantaggio unico della Banca d’Italia. In sostanza, si sta sfruttando una delle poche realtà pubbliche sane per aiutare ancora una volta quelle banche che, è il caso di ricordare, sono da sempre sostenitrici del libero mercato finché fanno utili, mentre diventano pseudo stataliste quando si tratta delle loro perdite.
Qui però vorrei soffermarmi su un particolare del nuovo statuto. Il Consiglio Superiore, organo interno della Banca, avrà il compito di vigilare sul rispetto dei requisiti per la partecipazione al capitale della banca, «inclusi quelli di onorabilità in capo ai soggetti acquirenti».
Fin da subito il Consiglio sarà chiamato a vagliare chi saranno gli acquirenti delle quote di Intesa San Paolo che possedendo il 30% o di Unicredit che ne possiede il 22% del capitale della banca.
Sarà interessante capire quali siano i requisiti di onorabilità d’interessa per il Consiglio. Se per onorabilità si intende l’assenza di condanne passate in giudicato, condizione rara nel mondo dell’alta finanza, allora il requisito è privo di valore nell’attuale sistema giuridico. In caso, prima si cambi l’ex Cirielli e le sue insensate regole sulla prescrizione, poi il criterio di onorabilità così inteso avrà un senso.
Ma se, come sarebbe auspicabile, alla Banca d’Italia si chiede un aiuto a favore delle banche nazionali grazie alla rivalutazione delle quote e alla distribuzione dei dividenti, sarebbe auspicabile che il criterio di onorabilità sia più stringenti e venga chiaramente definito.
Propongo che si parta dalla alla posizione con il fisco dei soggetti acquirenti. Lo Stato che aiuta dovrebbe assicurarsi che chi è aiutato abbia fatto di tutto per meritarsi. Una banca che evade il fisco a che titolo potrebbe chiedere un ulteriore aiuto dallo Stato?
Ecco, da cittadino potrei accettare ben volentieri di dare un ulteriore aiuto alle banche solo alla condizione che finalmente si mettano dei paletti ai comportamenti che queste banche possono condurre. Altrimenti, come speriamo di insegnare qualcosa a questi banchieri se ad ogni loro errori li diamo uno zuccherino?