In tanti pensavamo che il 1989 fosse l’inizio di un ‘nuovo mondo’. Caduto il muro, ci attendevamo un’era di democrazia, diritti, pace; se ne andava l’incubo nucleare, si avvicinava l’unita’ europea. Invece, poco piu’ di vent’anni dopo, ci chiediamo se il 1989 non sia stato piuttosto una fine; la fine di un certo modo di intendere la politica.
In pochi anni, la politica ha ceduto il passo ai mercati, soprattutto in occidente. Con Clinton e Blair e’ continuata la demolizione della democrazia sociale, e la politica stessa si e’ trasformata in mercato, diventando sempre di piu’ competizione tra presunti leaders, costruiti dai media e compiacenti alle ‘masse’. Cosi’, di spettacolo in spettacolo, tra ‘terze vie’, vertici in maniche di camicia, ‘speranza’ obamiana, e altro ancora, siamo arrivati alla piu’ grave crisi dell’occidente dal 1945 in poi. L’economia reale ha ceduto il passo alla finanza, e intere nazioni sono diventate schiave dei mercati. Alla crisi finanziaria si e’ accompagnata quella economica, e ora siamo arrivati alla fase sociale. Paesi ‘insospettabili’ come Svezia e Olanda hanno tassi di disoccupazione di 7.5 e 8.5%, rispettivamente. Quest’ultima, di solito associata alla Germania come rappresentante del ‘Nord’ puro e virtuoso, e’ in recessione da due anni. E la Germania stessa, che da anni ormai si regge su governi di coalizione, dove va? Nel 2013 e’ cresciuta di un misero 0.4% ed ha una popolazione in costante invecchiamento. E se i mercati dei capitali cominciassero ad accorgersene? Tra l’altro, l’UE continua a fare brutte figure, l’ultima in Ucraina dove si e’ anche presa un Fuck! da Victoria Nuland, la responsabile Europa del Dipartimento di Stato USA, non esattamente una neofita della diplomazia.
Gli USA si godono i vantaggi di un mercato enorme e di una ben maggiore mobilita’ geografica, ma dovranno prendere atto che dal 1989 in poi il baricentro del mondo si e’ spostato da occidente a oriente; dopo le parole (il ‘pivot to Asia’) occorreranno anche fatti. In ‘oriente’ (e nello spazio ex sovietico) la politica ha infatti resistito, ha portato crescita economica e garantito forza nelle relazioni internazionali. La Cina e’ uno Stato-partito autoritario e ha messo radici un po’ dappertutto nel mondo, crescendo ad un ritmo che non ha paragoni nella storia umana. Un balzo del 7.7% (cosi’ nel 2013) significa che in un anno la Cina si e’ aggiunta tutta l’economia turca: un intero paese, e tra quelli emergenti. Legittimo dunque che si parli di ‘area dello Yuan’, superborsa asiatica o ‘Dottrina Monroe’ cinese. Insieme con Cina e Russia, anche India e Brasile si sono fatti largo; chi l’avrebbe mai detto che Brasilia avrebbe un giorno trattato alla pari (in termini di PIL) con Francia e Gran Bretagna? I mercati possono spaventare l’Argentina, molto meno il Brasile che e’ ben collegato, per ora diplomaticamente, con gli altri BRICS. Altri paesi, piu’ piccoli e meno potenti, si sono fatti strada con modelli (spesso chiamati ‘sviluppisti’) in cui la politica ha svolto un ruolo chiave, o nell’attrarre investimenti, spesso in risorse (Cile, Kazakhstan, Malaysia), o nel dare impulso a industrie di qualita’ (vedi l’elettronica in Taiwan o Korea del Sud). Siamo quasi sempre li’, a parlare di Stati che si affacciano sul Pacifico. Gli USA, a parte l’era Bush, non hanno fatto politica estera, ma almeno, a differenza dell’Europa, si affacciano anche sull’oceano ‘giusto’, e dispongono di enormi risorse a casa loro.
E cosi’, dal 1989 in avanti, abbiamo ‘pagato’ soprattutto noi Europei. Allora viene da chiedersi: ma davvero abbiamo vinto la Guerra fredda? Davvero l’occidente liberale e democratico ce l’ha fatta? Poco piu’ di due decenni dopo, la somma delle economie di Russia e Cina (che nel 1991 non arrivava al 10%) equivale a oltre il 60% di quella USA. Oltretutto, mentre l’URSS e la Cina di Mao avevano un fascino ideologico che aveva catturato anche molti occidentali, i loro corrispondenti di oggi fanno pura Realpolitik, e sono regimi autoritari molto pragmatici. La Russia ha riguadagnato peso diplomatico e geopolitico, ed e’ oggi vicinissima alla Cina. Ai giochi di Sochi, che hanno anche ricevuto il saluto di Papa Francesco, ma non quello di un gruppetto di leaders occidentali ‘indignati’, gli atleti cinesi si sono presentati con bandierine di Pechino e di Mosca. Il 1989 si era aperto con speranza di democrazia e integrazione mondiale…oggi assistiamo a spettacoli diversi.
Uno degli ultimi relitti della Guerra fredda resiste a Pyongyang, un regime farsesco a cui una buona iniziativa politica ‘mondiale’ potrebbe forse mettere fine in maniera pacifica. In fondo, anche la Cina ha enormi interessi economici in Korea del Sud, ben piu’ importanti del rapporto con il giovane dittatore Kim. Eppure, quest’ultimo ha buone probabilita’ di durare. In fondo, la sua presenza conviene ai produttori di armi di tanti paesi, ed ha una certa risonanza mediatica che permette alla Cina (o ad altri) di fargli dire cose che essa (e altri) non potrebbero dire. Quanto dovremo ancora sopportare questo relitto? Riuscira’ almeno il mondo democratico a metterlo da parte e a ripartire dove ci siamo smarriti proprio nel 1989? O dovremo purtroppo aspettare altre guerre per rimettere ordine in un mondo che non riesce proprio a governarsi?