A volte l’opinione pubblico è così naïf da suscitare tenerezza
Dopo la bocciatura del Porcellum per incostituzionalità, da destra a sinistra si è chiesto a gran voce il ritorno delle preferenze. Il principio è quasi banale: se il cittadino vota direttamente il proprio candidato, questi in teoria sarà più responsabile della propria azione durante il mandato. A parte che la storia della prima repubblica, fatta di collegi con le preferenze, ha dimostrato che anche con le preferenze si potevano pilotare le elezioni per trovare in Parlamento i propri sodali, dopo anni di baccanali a spese della collettività e di norme bocciate ogni volta da questo o da quell’organo della magistratura il ritorno ad un contatto più diretto fra eletto ed elettore sembrava una necessità ineludibile. Un presa di responsabilità.
Purtroppo, l’elettore non si accontenta e chiede a gran voce di togliere pure i finanziamenti ai partiti, altra voragine nella fiducia fra eletto ed elettore. Dopo anni di menefreghismo, due richieste così forti nell’arco di un anno sono troppe. Infatti, la politica in entrambi i casi ha risposto con un “ni”. Da un lato la nuova normativa sui finanziamenti pubblici ai partiti emanata per decreto dal governo Letta e recentemente approvata al Senato (entro il 26/2 dovrà essere approvata dalla Camera) solo in parte taglia i contributi. Dall’altro, l’Italicum, che aspetta ancora l’approvazione definitiva, non elimina le liste bloccate, ma riduce la lunghezza della lista nella speranza di avvicinarsi un po’ di più all’idea delle preferenze libere. Tr
Di nuovo, davanti a queste due norme la pubblica opinione si è dimostrata impreparata e tutt’altro che maliziosa. Molti hanno apprezzato il gesto del governo Letta; altri hanno criticato l’Italicum solo perché è stato proposto da Renzi e concordato con Berlusconi. E sia il PD sia Forza Italia hanno difeso con forza la necessità delle liste (corte) bloccate senza suscitare particolare scandalo.
Ieri, un noto sito di gossip politico del Friuli Venezia Giulia ha proposto un post davvero interessante, ripreso poi da una testata locale, uno scoop se ne fosse dimostrato il contenuto. Il Perbenista ha scritto che un “importante dirigente di Forza Italia ci ha confidato che molte candidature per le prossime elezioni politiche avranno un prezzo di listino“. Infatti “il vero nodo non è poter eleggere chi si vuole, ma poter vendere i posti in alto nelle liste”. Semplificando: riducendo i contributi pubblici ai partiti, queste strutture monstre dovranno pure trovare finanziamento altrove!
Quindi se volete fare parte della lista bloccata, basta pagare.
Il prezzo? Si parla di 1mln di €. Poco? Tanto? Dipende.
Con una retribuzione annua omnicomprensiva di 144 mila € (netta), in 5 anni di carriera si guadagnano 720 mila €, a cui bisogna aggiungere l’adeguamento pensionistico a fine carriera. Sommando a queste cifre il potere di influenza e la possibilità di riciclarsi in altri incarichi istituzionali a fine mandato, il prezzo da pagare per un posto in lista non è così elevato in termini di resa: è solo alla portata di pochi.
Non penso che la vendita del seggio elettorale sia una novità, e in fondo il caso della compravendita del senatore De Gregorio dimostra che certe pratiche non sono sconosciute alla politica.
Ciò che colpisce è la superficialità con cui la società nel suo complesso ha affrontato il tema della riforma del sistema dei partiti. Tutti, io compreso, pensavamo che con due colpi di penna, uno sui finanziamenti e uno sulla legge elettorale, tutto sarebbe cambiato. Così non è stato, così non può essere. Un sistema complesso come quello dei partiti e della politica richiede tempo, riflessioni, e un cambiamento culturale anche degli elettori. Altrimenti ci troveremo con l’ennesima privatizzazione: quella dei meccanismi principali della democrazia.